Giove è un gigante, ma ‘astratto’ perché non ha superfici solide. Solo gas: idrogeno e elio. Però è turbolento perché tormentato da una miriade di vortici tra cui un’enorme tempesta anticiclonica che dura almeno da 300 anni. Mercurio, invece, è il ‘piccolo’ di famiglia, il più vicino al Sole e anche il più lento con temperature incandescenti che il giorno raggiungono 350 gradi e la notte scendono fino a 170 gradi sotto lo zero. Ancora più caldo è Venere: un vero e proprio inferno con gradazioni di calore fino a 450 gradi. Saturno forse è il più ‘irascibile’ con un vento che soffia anche a 1800 chilometri all’ora. Nettuno e Urano, i più lontani dal Sole, sono gelidi: li chiamano i ‘giganti ghiacciati’. E poi c’ è Marte, sicuramente il pianeta più abitato dai robot. Che camminano, perlustrano fotografano in continuazione. L’ultimo, l’infaticabile Opportunity, è ‘spirato’ pochi mesi fa dopo aver percorso 40 chilometri sul suolo del Pianeta Rosso in 14 anni di intenso lavoro. Erano finite le batterie... Però presto sarà sostituito da un fratello più giovane e intelligente che ha il compito di trivellare il terreno fino a 2 metri di profondità alla ricerca di quelle tracce di vita presente o passata che tanto ci hanno fatto sognare.
Guardandoli tutti insieme questi ‘signori’ della galassia viene da dire che ci è andata proprio bene. La Terra, a parte alcune aree e ad eccezione di qualche intemperanza climatica neanche troppo violenta, in fondo è stata accogliente. Ha permesso la nascita e la crescita di esseri viventi che ora, andando a curiosare nello spazio profondo, vogliono sapere sempre di più dell’universo che li circonda. Cosa abbiamo fatto e dove siamo arrivati fino ad oggi ce lo racconta una spettacolare mostra al Palazzo Blu di Pisa con foto, strumenti e video del National Geographic: Sulla Luna e oltre. Aperta fino al 21 luglio, è la storia delle grandi missioni nello spazio, da Yuri Gagarin a Samantha Cristoforetti, ma è anche la storia della scienza che con potenti strumenti come il telescopio Hubble e le sonde Voyager ci hanno aperto nuove finestre sul cosmo. “Solo coltivando il passato si può costruire un futuro appassionante”, ricorda Marco Cattaneo, direttore di National Geographic Italia e curatore della mostra. “Non ci dimentichiamo che siamo arrivati appena a due passi da casa, come un bambino che gattona. La strada da fare è ancora lunga e difficile”.
Una conquista, quella del cielo, che è da sempre il sogno dell’umanità, prima incoraggiata dalla fantasia, poi dalla fantascienza e, infine, dalla scienza. E quell’inarrestabile desiderio di piantare le bandierine oltre i propri confini è diventato il motivo, oppure la conseguenza, di una guerra combattuta, per fortuna senza bombe, tra i due colossi dell’economia mondiale: gli Stati Uniti e la Russia. Cominciò il 4 ottobre del 1954 con il lancio del satellite Sputnik da parte dei sovietici e la sfida continuò nel 1961 quando Yuri Gagarin, russo figlio di un falegname e di una contadina, fece il primo volo orbitale sulla capsula Vostok1.
Erano gli anni della Guerra Fredda e gli americani non potevano accettare il primato degli avversari. Con la nascita della Nasa, nel 1958, le iniziative spaziali statunitensi si intensificarono e il primo uomo che mise piede sulla luna fu Neil Armstrong, ufficiale e aviatore dell’Ohio. Oggi, a distanza di 50 anni dal suo ‘piccolo passo’, migliaia di ‘occhi’, sotto forma di satelliti e cannocchiali, esplorano ogni giorno l’infinito universo.
Da allora più di 500 uomini e donne, di 38 diverse nazionalità, hanno viaggiato nello spazio, alcuni di loro vi hanno addirittura passeggiato, altri - in tutto 31 - hanno pagato con la vita il prezzo della conoscenza. E lassù, a 400 km di distanza da noi, c’è una grande casa con uno spazio abitabile di 800 metri cubi in cui vengono compiuti esperimenti su farmaci e nuove tecnologie. Un vero e proprio laboratorio scientifico per capire gli effetti che si verificano in assenza di peso. È la Stazione Spaziale Internazionale dove fino ad oggi sono stati ospitati 230 astronauti, tra cui 5 italiani. “È così bello essere lì: è come fare l’Uomo Ragno perché sei in caduta libera”, racconta Paolo Nespoli, 62 anni, di cui uno trascorso nello spazio. “All’inizio ti senti un po’ sbarellato. Provate a sdraiarvi su un materasso, se potete... Lì sei sospeso e se all’inizio questo ti fa sentire strano, dopo ti dà una leggerezza incredibile perché perdi completamente la coscienza della forza di gravità”.
Sulla Stazione Spaziale, dove, per conto della comunità scientifica europea, Nespoli si è occupato anche di esperimenti di biologia e fisiologia umana, lui è salito e disceso tre volte e non è per niente deluso. “Sulla Terra non si riesce mai a perdere la sensazione del proprio corpo, mentre lì siamo completamente a riposo”, racconta durante un incontro-intervista a contorno della mostra. “Tu stai guardando la Terra, ma il tuo corpo non c’è: è la tua anima che guarda e vede. Poi, quando ritorni e esci dalla navicella, è come se ti avessero gettato addosso una coperta di 200 chili”.
In effetti a vederli ‘galleggiare’ all’interno della Stazione o ‘nuotare’ nello spazio, così come appaiono nelle foto inedite del National Geographic in mostra a Pisa, gli astronauti appaiono rilassati, senza neanche l’ombra di una minima paura. “Paura? In orbita no, mai” - reagisce Nespoli - semmai qualche volta ho avuto paura durante l’addestramento perché per capire se sei idoneo ti mettono in situazioni in cui è difficile resistere. A volte succede anche di farsi male. E allora hai paura che ti tolgano la missione. Io ho fatto 9 anni di addestramento per il primo volo, in ogni momento controllato da medici e psicologi. Quando poi sono salito sul veicolo che mi avrebbe portato nello spazio ho pensato solo: Finalmente!”.
Comunque, qualche complicazione c’è all’interno della Stazione Spaziale. Vivere confinati per lungo tempo in spazi ristretti e anche condividerli con persone che appena si conoscono può diventare pesante e delicato sul piano psicologico. “Se qualcosa non va nei tuoi compagni è bene dirlo immediatamente, prima che si trasformi in qualcosa di veramente critico”, dice Nespoli. Per quanto riguarda il problema dell’isolamento, dalla base Nasa si è cercato di trovare qualche ‘terapia’. Intanto adesso nella Stazione è possibile usare Internet e c’è anche un telefono: tutto questo permette a ogni astronauta una videoconferenza con la famiglia una volta alla settimana. C’è poi un accordo con Hollywood che consente di far vedere fuori dall’atmosfera i nuovi film prima che questi vengano proiettati nelle sale cinematografiche del pianeta. Infine, a ogni astronauta sono concessi tre video collegamenti speciali di 10 minuti con personalità a sua scelta: da scrittori a cantanti, da attori a registi.
E ovviamente ognuno di loro può portare qualcosa, una sorta di talismano, purché sia piccolo. La prima volta Nespoli aveva con sé le poesie della sua grande amica Oriana Fallaci, conosciuta in Libano durante un’operazione internazionale di pace quando lui era nell’esercito italiano. Altri astronauti hanno con loro alcune foto. Charlie Duke, al termine della missione Apollo 16, lasciò sul suolo lunare un ritratto della sua famiglia dove appaiono lui, la moglie, i due figli e il cane. La vediamo nella mostra accanto all’orma di una scarpa e ai segni di qualche sonda. Un modo per far sapere che gli uomini sono stati su quel satellite. Ma a chi, se non c’è nessuno nello spazio profondo?
Il fatto è che nonostante l’ormai assoluta certezza di essere soli nella nostra galassia, l’idea che chissà dove nell’universo ci siano altri esseri viventi non ci abbandona mai. D’altronde gli stessi scienziati non negano che negli infiniti sistemi stellari si siano potute creare da qualche parte quelle stesse condizioni che hanno dato origine alla vita sulla Terra. Solo che la distanza di migliaia di anni luce da loro non ci permetterà mai di venire in contatto con eventuali alieni.
Niente, però, deve rimanere intentato in questa ricerca cosmica. Tanto che già nel 1977, come ci racconta la mostra, all’interno delle due sonde spaziali Voyager lanciate verso il mondo sconosciuto è stato inserito un disco d’oro in cui sono registrati brani musicali del nostro pianeta, da Bach al folk, e anche suoni naturali come il rumore del vento e quello dei tuoni. Registrate poi 155 immagini e una serie di saluti cordiali e amichevoli in 55 lingue diverse. L’idea è quella della bottiglia nell’oceano cosmico per far sapere agli alieni chi siamo e soprattutto che cerchiamo amicizia e non ‘guerre stellari’. Qualcuno troverà il disco-bottiglia? Se anche succedesse non lo sapremo mai perché le sonde Voyager impiegheranno 40.000 anni per arrivare nelle vicinanze di un’altra stella. E se poi qualcuno alla fine dovesse trovarla davvero c’è da chiedersi che cosa potrebbe capire.
Il ‘pallino’ di noi abitanti della Terra resta comunque Marte. Molte le missioni andate a vuoto, ma 22 sono arrivate a destinazione, depositando robot sempre più intelligenti, i quali ci hanno inviato una serie di immagini eccezionali: tramonti, crateri ghiacciati e dune. Con le sue tempeste di sabbia, i meteoriti che piombano e le forti radiazioni cosmiche che aumenterebbero considerevolmente l’insorgere di alcuni tipi di tumore nell’uomo, Marte non sembra davvero un luogo accogliente. “Per arrivarci ci vogliono mesi di viaggio - spiega Nespoli - considerando il problema del ritorno e i rischi della permanenza, al massimo un astronauta può stare tre giorni su quel pianeta. È un viaggio di una complessità incredibile”.
Ma ai terrestri piacciono le sfide. E se l’Agenzia spaziale europea si è posta l’obiettivo di realizzare una sorta di villaggio sulla Luna entro i prossimi 20 anni, l’idea di fare un ‘piccolo passo’ persino su Marte è nei progetti non solo di altre agenzie spaziali pubbliche, ma anche private. SpaceX, nata nel 2002 in California, si pone addirittura l’obiettivo della colonizzazione del Pianeta Rosso con lanciatori e navicelle in grado di trasportare decine di persone. Guardando il progetto con gli occhi stralunati dell’umano medio viene da gridare il classico Sos: “Huston, We have a problem! Stop it!” Ma nessuno li fermerà.
Anche se la meta è ancora lontana, non ci sono dubbi: l’avventura continua.