Ore 19.00, il mio viaggio comincia con un fastidioso ritardo, annunciato prima dall’oroscopo, letto mentre riempivo un piccolo bagaglio a mano in prima mattinata, due o tre cose, intanto lì sarà estate, magliette, jeans, un paio di camicie. Nessun regalo, nada de nada. Non ce l’ho fatta a intricarmi alla ricerca di cosa? Per chi? Casomai ci penso dopo e li compro in Argentina, dicono che c’è un notevole guadagno nel cambio dall’euro ai pesos, speriamo bene, come al solito i numeri già li capisco poco, la moneta poi…
Roma, Madrid, Buenos Aires, Santiago, Valparaiso, Santiago, Buenos Aires, Roma
Ritardo dicevo, appunto, perdiamo la coincidenza per l’Argentina e dopo un faticoso tira e molla Iberia ci invia a soggiornare in un hotel a Barajas, ore 01.00, cena, connessione a Internet per annunciare che hai perso l’aereo, sperando che il tuo ospite legga l’e-mail, prima di precipitarsi in aeroporto alle ore 7.30 come annunciava l’arrivo. Si riparla della partenza all’indomani,, ore 12.30.
Una coppia di argentini, conosciuti prima, mi si presenta come dei veri angeli custodi, ore 10.40 del mattino del giorno successivo, squilla il telefono accanto al comodino: “Antonio sei sveglio? Non ti abbiamo visto a fare colazione, fra dieci minuti arriva la macchina che ci porta all’aeroporto”. Mi alzo e dopo la doccia volo alla reception, arriviamo in tempo, nemmeno un secondo per prendere un caffè e siamo pronti a decollare.
Ore 12.30 il grande aereo si alza verso il cielo di Madrid, sorvolerà il Portogallo, poi, poi… Per la prima volta mi ritrovo seduto accanto al finestrino, per la prima volta guardo fuori, un orizzonte mai visto fino adesso; siamo al di sopra delle nuvole, un paesaggio idilliaco, mozzafiato, piccoli batuffoli di cotone bianco immacolato, castelli bianchi come la neve, interrotti da strisce celesti di tanto cielo, è per questo che nonostante aver perso il volo non mi sono rovinato la partenza.
Mi emoziono. Cerco di trattenere ogni singolo istante, di ricordarmi di ogni momento, concentrandomi su di esso, per non lasciarmelo sfuggire. L’attraversamento dell’Atlantico fu accompagnato da una bella mezz’ora di turbolenze, ma l’effetto che mi fa non è più quello di prima, lo accetto, quasi fosse un dondolio. Cerco di appisolarmi, questa volta non ho bisogno di passare in rassegna i giornali del paese dove vado, so tutto o quasi tutto, non avrò bisogno di studiarmi la cartina stradale, di sforzarmi per comunicare, per chiedere delle informazioni.
Cerco di dormire, fra un paio di ore sarò arrivato.
Aeroporto di Ezeiza ore 20.00, tassì e poco dopo arrivo direttamente a casa di Nicolas, che mi aspetta e mi porta a mangiare qualcosa nel quartiere vicino al Rio de la Plata.
La città, mi dice è cresciuta di spalle a questo fiume. Guardo il fiume ed è immenso, a una sola sponda, sembra una grande spiaggia, prospetta un lunghissimo orizzonte, “guardarlo toglie il mal di fegato”, mi disse un giorno la mia amica Marcela, ricordo.
Il locale più tardi è e più si riempie, i gesti sono gentili, ma non sottomessi. Resisto alla stanchezza e già verso l’una dormo, un sonno che forse a causa della melatonina risulta faticoso, pieno di pensieri, di strani sogni.
L’indomani, Tour culturale obbligato: prima il Centro Culturale Borges, dove Nicolas ha una mostra curata da me, grandi paesaggi ad olio, Anatomia del paesaggio grandi tele dipinte, una pittura materica, ma al tempo stesso concettuale, poetica – “la materia ci impone le sue leggi intrinseche; i nostri presupposti si devono sottomettere a una logica che non si può più prevedere con certezza. La logica del fare e quella dell’organizzare si devono parafrasare. È questo che genera il corpo della pittura, è questo che azzera l’atto negativo della creazione. L’immagine che non poteva essere prevista”.
La mostra è bellissima, come è bellissimo questo centro commerciale pieno di gente che va e viene, ci sono almeno sei mostre, l’arte si è incorporata alla quotidianità di una città, è qualcosa in più, un plus che attira la gente.
E da lì al Malba, Museo de Arte Latinoamericano de Buenos Aires. Non voglio più andarmene! La collezione permanente niente da dire, perfetta! La retrospettiva dedicata a Oscar Bony El mago (Posadas, Argentina 1941/Buenos Aires 2002) è illuminante. Commento a Nicolas il mio stupore davanti a questo grande artista. Leggo, di Bony: “La mia idea del mondo non è solo la rappresentazione che ho di lui in quanto soggetto gnoseologico, ma anche per i giudizi di valori, per i giudizi etici. Il giudizio etico è alla base del fenomeno della conoscenza. Di conseguenza l’etica dovrà essere un elemento costitutivo dell’opera d’arte”.
Mi basta per oggi. L’indomani verso le 14.00 attraverso la cordigliera.
Il mio aereo è piccolo, è il giorno della Vigilia di Natale e la gente comunque è scontrosa, prepotente, soprattutto i cileni che viaggiano accanto a me; prima di partire non funziona l’area condizionata. Parlano a voce alta, fanno venire il nervoso, se la tirano. Prima non erano così, si vede che il colosso del neoliberalismo ha lasciato il segno. Finalmente il pilota chiede scusa, riesce a riprendere il controllo del volo.
Il viaggio lo sentiamo tutto, turbolenze, vuoti d’aria, cerco di distrarmi, leggere, non si può leggere, scrivere non ne parliamo, dentro l’aereo finalmente c’è silenzio.
Sono arrivato a Santiago quando l’orologio segnava le ore 16.00: mi aspettava un amico e suo figlio, da quel momento non abbiamo smesso di raccontarci, abbiamo fatto pausa la notte e ricominciato subito al mattino.
C’è uno strano sentore in città, mi dice, tutti aspettano che da un momento all’altro ci sia un terremoto. E come fosse una psicosi collettiva, c’è chi ha riempito centinaia di bottiglie d’acqua, chi ha imballato tutti i bicchieri dentro le casse, il resto del paese accusa il governo di avere fomentato questa notizia, per far dimenticare i problemi veri, il Transantiago appunto, la nuova locomozione del servizio pubblico che ha tolto i vecchi autobus per una moderna strategia di trasporto, che sembra non sia riuscita.
A me sembra di essere a Casablanca e mi sembra di intravedere a Humphey Bogart a sbevazzare nei bar sotto casa.
Ieri sera, siamo andati a fare Natale a casa dei genitori della moglie del mio amico, Daniela. Sembrava di essere in un altro tempo, un condominio di piccole case, bellissime, sembrano le case delle bambole, piccoli cortili, giardini belli, una piccola piazzetta dove hanno giocato intere generazioni, dove sono cresciuti tutti loro fra i parenti, le case avevano alle finestre bellissimi alberi di Natale illuminati che si spengono e si accendono, sembrava appunto fossi entrato all’interno di una favola di un film americano.
Nel pomeriggio arrivano da Milano Marco e suo figlio Duccio. Santiago Sierra (l’artista spagnolo) è rinchiuso nel suo albergo da tre giorni, ieri mi dicono diceva che si voleva suicidare. Fa tre giorni c’è il suo evento, c’è attesa, forse quello sarà il vero terremoto. Fra un po’ farò pausa con madre e sorelle e andrò a pranzo da loro, così facciamo riposare i pensieri. Spero non ci sia il terremoto giusto ora.
Ah! ha proposito, Auguri! Ieri era Natale.
È mattino, mi sveglio con un sentore di grande bevuta la notte precedente, non ricordo però se è veramente accaduto o semplicemente è la stanchezza accumulata. Salgo e scendo dagli aerei come chi prende un caffè, e certo, a un punto la tensione arriva vestita di stanchezza. Mi sono alzato alle nove, il resto della casa dorme ancora, m’intrattengo con la gatta che mordicchia le mie dita, è grigia, siamese, salta fra i divani.
La casa dove abito si trova in pieno centro di Santiago, di fronte a un grande parco (El Parque Forestal), più in là una montagna (El Cerro Santa Lucia), c’è afosità, gli alberi sono di un verde strano. Al centro del parco si trova il Museo de Arte Contemporaneo, ma è chiuso. È festa.
Leggo il mio oroscopo appena sveglio: “In questa giornata gli influssi astrali risultano essere piuttosto positivi per il tuo segno. In ambito sentimentale avrai qualche pensiero ma gli eventi saranno a tuo favore, quindi non dovrai preoccuparti. Un consiglio: non lasciarti prendere alla sprovvista”.
L’altro ieri è stata una serata molto movimentata, dopo essere stati nella hall dell’albergo dove sono ospitati i nostri amici Santiago Sierra, Marco e Duccio, Ida e Claudio, li abbiamo lasciati lì a riposare e noi siamo finiti a cena al “Toro”, luogo top della mia generazione, difficile non trovare qualche conoscente. Solo al mattino mi sono reso conto che è stata una serata brava. Ne pagai le conseguenze quasi tutto il mattino, poi presi il Transantiago e arrivai a casa di Paulina e Mauricio. La loro casa non sembra che sia in Cile, è un'altra cosa. Dal loro terrazzo si vede una Santiago che non si vede da nessuna parte, il loro tredicesimo piano mi fa chiedere subitamente chiarimenti su cosa si fa se viene un terremoto: ci si butta direttamente nel vuoto? Si scappa dalle scale? Niente mi dicono, o aspetti che passi, o muori con il palazzo di morte spettacolosa.
La serata, invece, si presenta movimentata, ma da un altro movimento, un altro terremoto agisce a Santiago e smuove con l’arte, con la messa in gioco del reale. Più di duecentocinquanta peruviani clandestini seduti su una platea sul cui palcoscenico salirono quindici personaggi che rappresentano il Cile di oggi, ministri, premi nazionali, critici, giornalisti che si sono trovati davanti a una platea che stava li ferma, impassibile, gelida, a guardare in faccia il potere. I personaggi che apparivano a uno a uno dopo avere camminato per un lungo e stretto corridoio/passerella arrivavano in bocca alla platea, come davanti a un forno, che brucia.
In Cile i peruviani sono come gli africani in Italia; l’immigrazione sembra la ferita aperta che fa dissanguare il quotidiano benessere delle società capitalistiche.
Ho visto uscire da questo tunnel una a una queste personalità, una profonda inquietudine, malessere, incredulità, questo il risultato, questa l’opera.
Anche la mia serata fu movimentata, un tira e molla, di cose che succedono, che si raccontano, che pensi in silenzio. Successe troppe cose in così poco tempo: il 24 dicembre, il giorno del mio arrivo, il figlio di Cristian Warnken, un poeta che è stato uno dei miei migliori amici è caduto in piscina, annegato, morto a tre anni, intanto la città aspettava il Natale.
E notte, vorrei dormire per due giorni, invece domani un'altra provocazione di Santiago Sierra sveglierà Santiago.
“Piange per te il tuo giardino, che insistevi sempre di chiamare ‘il mio giardino’. Piange l’intruso gatto bianco e nero che girovaga nei pomeriggi e che tu chiamavi il mio gatto amico. Piange la montagna Manquehue, che guardavi dalla finestra della tua cameretta. Piange la piazza Almirante Acevedo, intorno alla quale tu correvi una e tante volte come un Forrest Gump di tre anni. Piange la montagna di strada verso la Piramide, distrutta per la costruzione di autostrade e che tu dicevi ‘povere montagne’. Piange la tua nana che tu chiami ‘la mia regina’, ‘La mia Kerensita bella’, adulatore precoce.
Piangono le fontane d’acqua, di fronte alle quali rimanevi estasiato guardando come scorreva l’acqua, l’acqua che ti stupì più che qualunque cosa al mondo, l’acqua dei fiumi, l’acqua dei rubinetti di casa, che costantemente aprivi, l’acqua del mare, la tua piccola pazzia per l’acqua, Clemente, tutta l’acqua del mondo che oggi piange per te ed esce dalle nostre lacrime”. Scrisse Cristian l’indomani.
È difficile riprendersi da tutto questo dolore. In questi giorni di festa, di fine anno non possiamo non pensare una e tante volte durante la nostra giornata al nostro caro amico, a questo suo immenso dolore, e a Clemente, di tre piccoli anni andato così presto.
Succedono troppe cose qui e tutte insieme. La giornata è composta da tanti accadimenti, che quasi non si riesce a sapere quel che succede nel mondo. Ho saputo dopo due giorni dell’assassinio di Benazir Bhutto. Dall’Italia non so proprio niente e gli amici non mi aiutano nemmeno, non un messaggio, non un saluto. Questo fine anno rimarrà segnato da questo, in piena epoca di comunicazione, l’incomunicabilità si fa regno.
Ieri abbiamo assistito all’ultima performance che realizza in Cile Santiago Sierra. Un grande capannone circondato da piccoli parlanti, un pubblico giovane, circa trecento persone che vengono espulse fuori attraverso un meccanismo sonoro usato normalmente dagli apparati repressivi per espellere i giovani dalle manifestazioni. Adulti il titolo e chi non lo era se ne andava come chi dal paradiso, dove comunque un paradiso non c’era.
Oggi è sabato a Santiago, l’ultimo sabato del mese, la mia giornata vorrebbe, ha bisogno di tranquillità, andrò a cena in una località qua vicino, ospite da un altro amico poeta che non vedo da anni, il tassì verrà per me alle ore 20.30, nel pomeriggio visiterò uno studio, chiamerò mia madre, penserò.
La montagna storica del centro di Santiago El Cerro Santa Lucia, mi si mostra davanti in tutto il suo splendore, la sua vegetazione arida di un verde più vicino al marrone che al verde, una montagna vicina, in pieno centro, come se fosse il cuore della capitale, “così colpevole di notte così innocente di giorno”. La giornata è calda, ma un caldo secco, che brucia implacabile senza farcelo sentire, la gatta esausta di giocare riposa nella scheslong.
Da un paio d’ore io sono un uomo nuovo, dopo tanto stress mi sono permesso di andare a una sauna molto antica “Miraflores”, a due passi da casa, mi hanno insaponato, massaggiato, ripulito, tolto le tossine, non avevo bisogno d’altro.
Ieri notte siamo partiti per una località vicina a Colina, la ricordo da piccolo, mi ci portavano a fare le terme, a Colina abita Santiago e la sua compagna Keit, Santiago è uno dei miei amici storici e poi anche un poeta, Keit è pittrice ed è inglese. Vivono in piena campagna, quella campagna cilena che avevo quasi dimenticato, abbiamo attraversato strade sterrate, mandrie di animali a pascolo, sentieri immensi di piantagioni di vite, passato accanto a dei contadini a cavallo, “Huasos”, che ci hanno indicato dove abitava Santiago. Finalmente arrivati Pia, Perla e io, ci siamo fatti abbracciare dalla cordialità, dall’emotività, da quel cielo costellato da stelle che a Santiago non si vedono, l’aria pulita.
Subito dopo gli odori, i paesaggi mi sembravano così familiari.
Il nostro trascorso finì intorno alle tre e mezzo del mattino, l’alcool e altro fecero il resto, al mattino ero distrutto. Poi ho preso provvedimenti. Acqua minerale e sauna, un toccasana.
Dopodomani è Capodanno, finisce il 2007. Ogni tanto bisognerebbe prendersi una pausa e tornare indietro per capire cosa abbiamo fatto bene e quando abbiamo sbagliato, ogni tanto avremmo bisogno di ricordare, trattenere quei momenti che nulla e nessuno ti potrà mai sottrarre.
Del resto della comitiva non so nulla, oggi sul giornale c’è la cronaca degli avvenimenti firmati Santiago Sierra, io fra un po’ andrò a informarmi come si fa per arrivare a Valparaiso, speriamo che nel bus ci sia un posto libero, domani, nella mattinata.
A Santiago ogni tanto si usa fare colazione tutti insieme e oggi è l’occasione per farlo, è l’ultimo dell’anno si fa sì che ci si alzi prima del solito, intorno alle 10.00, c’è Daniela, Patrick e il loro figlio Thomas, a cui rubo il letto quando mi trovo a Santiago. C’è la signora che mette in ordine la casa, e la casa si prepara a festeggiare. È una bella giornata. Io parto alle sedici, arriverò alle diciotto. Valparaiso mai come adesso mi si presenta come la spensieratezza. Mi entusiasma il fatto che qui c’è euforia di festa, io prendo e parto.
Lì le case una sull’altra si alzano, crescono come in un delirio. Bisogna prendere l’ascensore e arrivare dove vai, dove i vecchi amici faranno festa per te, festa per loro, festa per strada, nel mare, lungo il mare, nelle case vicine al cielo, più che quelle di Santiago.
Stranamente Santiago oggi ci appare col cielo pulito, non c’è sentore di smog, si intravedono le montagne, gli alberi sembra che qualcuno li ha lavati, saranno i raggi di sole che si specchiano e rimandano la loro eco. I giornali oggi fanno il resoconto dell’anno, raccontano come Spencer Tunick prima e la compagnia francese di teatro di strada Royal de Luxe fecero di un’opera un evento straordinario, cambiarono l’orizzonte attraverso un “ritrovo urbano” in una Santiago restia all’appropriazione dei suoi propri spazi. Per quattro intensi giorni, mi raccontano, la “gigantessa”, la bambola di sette metri (e una tonnellata di peso) che percorse il centro di Santiago e si mise a dormire dovunque e camminò per le strade inseguita dalla gente, grandi e vecchi, piccoli, ragazze e ragazzi, gente di ogni strato sociale; uno spettacolo di cinquecentomila spettatori, alcuni le portarono dei regali, doni della semplicità, della favola che nessuno vorrebbe finisse mai (era impensabile questa risposta popolare, non avrei mai pensato che segnasse la gente così tanto, ero in aereo Parigi-Roma, quando Claudia mi parlò del progetto, oggi fatto realtà, portato a termine).
Intanto siamo a tavola Thomas impara a sommare, lo fa con le dita, uno, due, tre, dieci più sette diciassette, quando ci riesce si rallegra, quello che ha appena imparato non lo dimenticherà mai più, sono contento di aver condiviso questo suo momento. Cerco di ricordare il momento in cui ho imparato io. Non lo ricordo, forse e passato troppo tempo.
Ore 17,30 di sabato 5 gennaio 2008, avrei potuto fare un sacco di cose a quest’ora, Santiago propone una marea di eventi, avrei potuto assistere al monologo in spagnolo che oggi il regista italiano Pippo del Bono recita al teatro/Cinema Alameda, o andare e vedere una delle proiezioni gratuite di cinema Argentino al Centro Culturale “La Moneda”, in pieno centro, giusto sotto al posto dove più di trenta anni fa moriva Salvador Allende; avrei potuto incontrarmi con la manifestazione dei “Mapuches”, indigeni del sud che protestano per l’uccisione di uno di loro il giorno prima; sarei potuto andare a visitare mia madre, una delle mie sorelle, qualche amica, che altrimenti non vedrò, ma non ce l’ho fatta, il caldo e più forte delle mie voglie, 38 gradi all’ombra, ragion per cui rimango a casa.
Sono tornato il 2 da Valparaiso, lì ho fatto la mezzanotte fra il vecchio e il nuovo anno. Sono partito alle 16 da Santiago, sono sceso dal pullman verso le 18, centinaia di persone girovagavano per le piazze aspettando di accaparrarsi il miglior posto per assistere allo spettacolo, per salutare l’anno che verrà.
Salito nell’ascensore Turri, arrivai su, facendomi largo fra la folla. C’è l’ho fatta ad arrivare incolume alla porta che attendeva il mio arrivo. Era incredibile guardare dal balcone le masse di gente che attendevano, famiglie intere che aspettavano lì accampate per tutto il giorno, tenendosi stretto il loro posto in prima fila su un grande terrazzo panoramico, divani, divanetti, portati lì non si sa come, molte coppie; il Cile pullula di innamorati, coppie che si baciano dovunque.
Finalmente arrivata l’ora x, la mezzanotte!! Il cielo si riempì di uno spettacolo meraviglioso, sembrava un attacco al cosmo, un grandangolare di spirali e stelle che ci esplodevano davanti riempiendo di gioia i piccoli e non solo, vi assicuro che è l’esplosione pirotecnica più bella che io abbia mai visto. Poi dopo mezz’ora di fuochi la musica, un’orchestra vicina cominciò a suonare. Si ballava nelle case, nei terrazzi, nei giardini, per le scale, si ballava dappertutto, così fino all’ alba.
Io andai a letto un po’ prima degli altri invitati, ma prima di andare a letto - d'altronde sembrava che l’orchestra stesse suonando proprio lì dentro - mi fermai nel salotto della casa di Francisca che mi ospitava, a godere la visione del porto, pensai che non avevo mai visto una visione così, nulla di quello che conoscevo aveva avuto una vista simile, mi addormentai pensando a questo.
Il giorno dopo Claudia e io abbiamo fatto una bellissima camminata lungo il mare, l’odore dell’Oceano è fortissimo, fortissime le onde, i volti. Abbiamo pranzato in riva al mare, in mezzo ai popolani, ci raggiunse Ximena e due dei suoi figli, dei piccoli soli.
A Valparaiso le case crescono una sull’altra in mezzo ad altissime montagne e le case sono dipinte di tanti colori, ognuna a modo suo, ognuna di una tinta diversa, sembra che un bimbo si sia divertito a pensarla, a costruirla.
Claudia è nata qui e ci ha vissuto fino a che partì verso l’esilio nel 1974. Oggi è ritornata, mi racconta che dorme nella stessa stanza che aveva da piccola, così anche il fratello. Sono contento di essere venuto fin qui, di avere vissuto questi istanti emotivi sotto questo cielo, questo litorale di luci che lentamente cominciano a spegnersi, come un miraggio.
L’indomani feci una lettura molto attenta dei giornali locali, la situazione che esce è per niente brillante, anzi, questa mattina c’è stato il cambio di ministri, c’è chi entra e chi esce, comunque rimane un sentore di insofferenza generale e me ne dispiaccio; il fatto di avere scelto una presidentessa come Michelle Bachelet, sembrava uno spiraglio, un atteggiamento diverso verso le istituzioni, invece permane una costante diffidenza, mi dice Thomas (che dirige un programma alla Radio più ascoltata del Cile, Radio Bio-Bio), quando lo interrogo.
Ieri, prima di andare a pranzo da mia madre ho incontrato un gruppo di giovanissimi artisti nei loro studi, che mi hanno fatto vedere il loro lavoro, è stata una botta di energia. Tanto talento, è stato un incontro molto energetico.
Sono ripartito dal Cile alla mezza di mercoledì 9 gennaio, faceva un gran caldo e nella serata degli addii non si è scherzato affatto. Una trentina di amici a festeggiarmi. Fu veramente bello ritrovarli tutti. Mia sorella era la più felice di tutti; tutti la coccolavano, erano quasi emozionati della sua esistenza. Il terrazzo panoramico di Paulina e Mauricio era il miglior palcoscenico per far finire il dramma. Ricordo Marcela e Felipe, Tokori e Veronica, Jorge e Jorgito, Coka, Ximena e Claudia, Sebastian, Manuela e Manu, Daniela, mia sorella Isabel e suo marito Pablo, Demian y Yael, (ed è un esercizio faticoso quello che faccio ricordando i nomi).
A Buenos Aires l’umidità si taglia col coltello, dicono che si tratti di un caldo Brasileiro, 34 gradi all’ombra, 50 % di umidità, e non dico altro. Ho avuto sonno tutto il giorno, la gente è nelle case o non so dove, ma non ci sono, usciranno soltanto a tarda sera, altrimenti si schiatta.
Qui sono ospite di un gruppo denominato “erroristi”, ma loro non ci sono, torneranno soltanto l’indomani.
Questi giovani artisti sono stati i primi ad organizzare le Funas, atti di denuncia davanti all’abitazione di torturatori e assassini ancora liberi di agire, quali semplici cittadini. Ci si raduna davanti alla loro casa e si racconta al vicinato, attraverso volantini, cartelli, scritte suoi muri, che lì in quel preciso posto, vive un delinquente, ancora immune dal pagare i suoi debiti all’attuale società.
La casa che mi ospita è a più piani, ha anche un gran terrazzo, ma mi trovo qui completamente solo.
Appena arrivato ho cercato di reagire all’umidità. Ho aperto finestre, fatto funzionare ventilatori, bagnato tutto intorno. Ma invano: mi sono dovuto arrendere a questa lasciva umidità. Uscito in serata a prendere qualcosa da bere, rimasi fortemente impressionato nel vedere intere famiglie a raccogliere nella spazzatura vetri, carta e metalli, sono le vittime del tempo del “Corralito”, una truffa del governo che colpì i ceti medi e i poveri dell’Argentina tutta. Oggi l’Argentina stenta a riprendersi, uscendo dalla crisi soprattutto attraverso il desiderio comune di superarla, di andare avanti, anche attraverso la raccolta dalla pattumiera.
L’indomani la quiete, approfittando del bel tempo dopo la tormenta dell’altro ieri, abbiamo cenato nel terrazzo, ho cucinato io per una decina di persone, artisti, poeti, attori, oltre a loro c’era un mio amico fotografo italiano che ha scelto di vivere metà dell’anno qui e metà a Roma, Valerio, poi venne in visita Fiore, una regista italiana di passaggio.
Dopo la cena abbiamo improvvisato una “tertulia” e ognuno di noi lesse dei testi propri, è stato veramente esaltante, stimolante, emotivo.
Comunque, è evidente che questo paese ha sofferto tanto, comunque, è indubbia la loro capacità di adattare alla conoscenza il dolore, la coscienza della memoria, della capacità di capire le vie di uscita, del toccare il dolore per uscirne da esso, e in questo sicuramente gioca un ruolo rilevante la psicoanalisi; si dice che un numero altissimo di argentini ha un analista, fin da giovanissimi e per anni e anni. Questo dimostra una marcia in più, una maturità solida, una capacità culturale anomala, sistematica, lungimirante: conoscere se stessi per poi conoscere l’altro.
I miei amici hanno fatto in passato del gruppo “Hijos” (figli), vittime della feroce dittatura che ha visto scomparire quasi una generazione intera, e la loro rabbia si sente, fanno parte dei gruppi di resistenza, facendosi sentire attraverso un atteggiamento di disordine e anarchia, tipico della loro generazione, los hijos, appunto.
Che storia la storia dell’uomo. Al fascino verso di lui s’aggiunge il disprezzo verso di lui: l’odio, l’amore, la ferocia, la tenerezza, la compassione, l’indifferenza, lo schifo, l’amicizia, il rancore, il disprezzo, la mancanza, l’intolleranza.
Sapere che non potremmo vivere senza di lui e per lui, che comunque allo stesso tempo lui siamo noi stessi nel proiettarci nella vita.
È la sera dell’undici gennaio, c’è un tremendo caos all’aeroporto di Buenos Aires, duemila persone rimaste letteralmente a terra. Aerolineas Argentina fa sciopero, Iberia un’altra volta ha venduto a un altro il mio posto in aereo, mi è stato assegnato un tassì e un albergo accanto all’obelisco. Ed eccomi nuovamente a godere di questi importantissimi alberghi. Rimarrò qui ad aspettare il mio volo. Ceno in sala da pranzo, mi scolo questo vino e quell’altro. Ripartirò l’indomani, intorno alla 16.00.
Jet-lag
Ore 04.37 del 14 gennaio 2008. Approfitto della mancanza di sonnolenza per farmi una sintesi di quello che per me ha significato questa trasferta. Non ho mai visitato tante famiglie come in questo viaggio, e quando parlo di famiglie parlo di un nucleo di minimo tre persone, padri e figli. Ho fatto la vigilia a casa dei genitori di Daniela, ero ospite di Daniela, Patrick e il loro figlio Thomas. Ho visto mia madre per Natale a casa di mia nipote Gabriela e del suo uomo, insieme alla loro figlia appena nata. Ho presso un thé a casa di Costanza che accudiva il piccolo Adrian. Sono andato a fare Capodanno a Valparaiso a Casa di Marta e Giovanni, di Marco e Claudia, c’erano anche Raul e Donata e le loro figlie, Maura e Martina, l’ultima insieme al suo ragazzo e alla loro primogenita. Il giorno dopo insieme a Claudia siamo andati a pranzo al porto, ci raggiunse Ximena e due dei suoi figli. Spesso nelle nostre uscite c’era Guillermo e la sua ragazza insieme a un piccoletto. Sono uscito da Santiago per visitare il mio amico Elordi, insieme a Pia e Perla e ci diede un passaggio il figlio più grande di Pia. Il fatto che più mi colpì fu la morte accidentale la stessa vigilia del figlio del mio amico Cristian. Sono, infine, stato a Buenos Aires, ospite di Federico e Loreto, che prima avevano fatto parte del gruppo di attivista “Hijos”.
Ho imparato una nuova parola “attivisti” (forse mi piace di più che la parola “artisti”).
Ho presso in tutto sei aerei e sorvolato il cielo di mezzo mondo. Ho intravisto due oceani e parlato sempre la stessa lingua.
Ho visto due Ministri, una astrologa, una conduttrice di radio (sono stato intervistato), diversi critici d’arte, attrici, professori d’università. Uscendo di casa mi sono trovato davanti allo scrittore più importanti dal Cile. Non ho avuto storie, io nemmeno le ho fatte.
Ho avuto a disposizione tutto il tempo un cellulare locale.
Non ho mai mangiato molto bene, in compenso ho apprezzato il paesaggio, la freschezza della sera.
Non mi sono mai sentito a disaggio, né odiato. Nemmeno io l’ho fatto. Ho atteso invano un terremoto.
Ho perso in tutto due aerei. Dormito in due alberghi di lusso. Sono stato sul cielo e fra le nuvole almeno 48 ore. In diciotto case. In altrettanti ristoranti. In compenso al mangiare ho bevuto molto bene. Sono stato spesso in buona compagnia.
Ho scritto una sorta di diario, non so nemmeno io il perché. Forse per riempire un vuoto, per darmi una regolata, forse.
Very much for this...