Per voce creativa è un ciclo di interviste riservate – e dedicate – alle donne del panorama artistico italiano contemporaneo. Per questa occasione Giovanna Lacedra incontra Sara Lovari (Avena –Poppi, 1979).

Perché utilizzare materiali nuovi, vergini, incontaminati, se il mondo è pieno di cose dimenticate che hanno innumerevoli storie da raccontare? Cose che se ne stanno lì, a ricordare cos’erano quando servivano a qualcosa di importante e quando a qualcuno importava di loro. Cose che hanno l’epidermide impolverata, un po’ ingiallita, un po’ increspata. Cose che aspettano di non morire, mentre ricordano tutte le mani che le hanno raccolte, afferrate, sfogliate, accarezzate, strappate. Cose che Sara salva dall’angolo in cui sono state lasciate, e le rinnova con la sua stessa creatività. Ogni oggetto ha una vita, una storia, una memoria. E Sara trova in questa vita segreta delle cose, l’essenza ultima dell’atto creativo. Ridare luce, ridare un ruolo, ridare un’identità a ciò che è stato accantonato.

Lasciare che la sua storia parli in un modo nuovo, trovando assonanze con altri oggetti, altri ricordi. È così che nascono gli assemblage di Sara Lovari: collage polimaterici e tridimensionali in cui uno spartito musicale può trasformarsi nella gonna di una principessa e in cui un vecchio pennello dalle setole ormai dure può ritrovare l’energia per raccogliere pagine frantumate di chissà quali racconti. Sara Lovari vive e lavora ad Avena. Questa è la sua Voce Creativa per voi:

Chi sei?

Sara Lovari una “ragazza” di Avena (Poppi) piccolo paese di 90 abitanti della campagna toscana.

Se non avessi scelto di essere un’artista?

Avrei voluto girare il mondo imparando lingue e culture diverse.

Perché lo fai?

È una esigenza, una cura.

Dove saresti se non fossi qui?

Qui.

È vero che la scaturigine di un’opera è sempre autobiografica?

Non sempre. Ma è sempre una bellissima storia, a chiunque appartenga.

Da dove nasce questa tua ricerca?

Da casa mia, dalla mia famiglia. Poi, dal mondo fuori.

Libri, carta, vecchie fotografie, frammenti di giornale… dove li recuperi e cosa significano per te?

Sono memorie, racconti, i miei ricordi e quelli di tutti. All'inizio li recuperavo questi oggetti in casa, poi ho iniziato a cercarli ai mercatini dell'usato e dell’antiquariato. Ora gli amici hanno iniziato a regalarmeli, dicendomi: tu sai cosa farci!! E io li taglio, li incollo... li brucio! Mi piace l'odore, sa di borotalco, polvere, storia...

Che ruolo ha la memoria nella tua arte?

Ha un ruolo fondamentale. Nonostante io sia una smemorata cronica! Probabilmente questo è il mio modo di esorcizzare il rischio di dimenticare: mettendo tutto in un cassetto non rischio di perdere nulla!

Un lavoro tuo che ti sta maggiormente a cuore e perché?

La Camicia di Mauro una delle prime sculture di carta fatta di pancia, con cartone da edilizia. L’ho realizzata in poche ore, senza modellino ma pensando al mio babbo e credo proprio fosse la sua misura. La mia memoria lì ha funzionato perfettamente, ricordando le sue spalle e il suo torace!

A ispirarti, influenzarti, illuminarti ci sono letture particolari?

Leggo di tutto: libri sul ciclismo, racconti o romanzi, saggi sull'arte contemporanea e credo che questa miscela influenzi la mia creatività.

Scegli tre delle tue opere per presentarti.

La prima, Nel nome del padre della madre e della figlia (2018). Si tratta di tre tabernacoli in cui vi sono inseriti dei libri con messaggi forti; di questi tre libri il terzo è l'unione degli altri due.

Poi, Le Bébé Géant (2016-17). È un progetto iniziato con la realizzazione di un paio di scarpe di cartone da 110 cm che ho portato, in treno, in quattro diverse città, facendole indossare ai passanti. Il percorso si è poi concluso con una mostra fotografica e un monumento in ferro di uguali dimensioni, che oggi si trova ai piedi del Castello di Poppi.

Infine, 20 Anni Dopo (2018). Si tratta di un assemblage di frammenti di pagine prese da libri differenti, inseriti all’interno di una cassetta di legno per le offerte. Sopra di essi un pennello da barba scopre un messaggio, 20 anni dopo che questo era stato scritto. Questo lavoro è, vuole essere l’emblema di un confronto con noi stessi, per capire cosa sia cambiato e cosa no.

Dio esiste?

A volte...

Il male maggiore per un artista?

Non poter più fare l'artista.

Qual è il luogo in cui ti senti a casa?

Il luogo in cui trovo le persone che amo.

Quale credi sia il compito di una donna-artista, oggi?

Continuare a fare arte.

L’opera d’arte che ti fa dire: “Questa avrei davvero voluto realizzarla io!”?

Una camicia di cemento armato e pantaloni vista ad Art Basel Miami 2017(non ricordo in nome dell'artista).

Un o una artista che avresti voluto esser tu…

J. Cornell.

Tre aggettivi per definire il sistema dell’arte in Italia.

Importante, tradizionalista, lento.

In quale altro ambito sfoderi la tua creatività?

Scenografie per il cinema e video-clip, design di moda e kit da ciclismo.

Work in progress e progetti per il futuro.

Maggio 2019 è il mese della mia mostra personale a Berlino, presso la Luisa Catucci Gallery, parallelamente sarò impegnata a Roma con le scenografie per due cortometraggi. Inoltre, ho delle opere in permanenza presso la Barbara Paci ArtGallery di Pietrasanta.

Il tuo motto in una citazione che ti sta a cuore.

Mai dire NO!