Sebbene il Mago di Oz sia una di quelle favole che possiamo chiamare di “invenzione pura”, come la Storia fantastica di Luciano, tuttavia possiamo lo stesso ritrovare in questo racconto alcune relazioni, tracce e indizi di una dinamica propria degli archetipi e del linguaggio simbolico, anche se non sappiamo se si tratti di elementi intenzionali o inconsci.
Iniziamo dalle forze sovraumane: le 4 Streghe. Due di esse sono in realtà fate, quella del Nord e quella del Sud, e le altre due sono realmente streghe: quella dell’Est e quella dell’Ovest. Già in questa differenziazione, essenziale per il meccanismo narrativo, emerge un sentire non del tutto arbitrario in quanto il piano oriente/occidente è il piano della variazione, del mutamento apparente del sole, mentre il piano nord/sud è l’axis mundi, la relazione zenith/nadir che per sua natura è immutabile, quindi positiva, ordinatrice. Non a caso i colori dei Succhialimoni sono l’azzurro e il bianco, colori artici, nordici, freddi. La dialettica creatrice fra Nord e Sud compare già all’inizio del racconto in quanto è il confluire di due opposti tornadi che determina la lievitazione della casa di Dorothy.
Simile dialettica cosmica fra le due polarità e il vento caldo/freddo la troviamo nell’Antro delle ninfe omerico e porfiriano e nel Cantico dei cantici quando si invocano l’Austro e il Noto. La centralità del giardino edenico del Cantico dei cantici ritorna nella centralità della casa di Dorothy che si sposta nel regno di Oz proprio perché viene a coincidere con l’occhio del ciclone, e non a caso la terra nuova è un nuovo Eden temperato, sintesi di Nord e Sud. La terra dell’avventura infatti appare con al centro la Città degli smeraldi e tutto attorno il deserto, come per un oasi. E il tema dell’“occhio” e del “mezzo” appare con insistenza nel racconto in quanto è in mezzo alla fronte che Dorothy riceve il bacio della Fata del Nord, sigillo apocalittico di preservazione, e alle porte della Città devono essere indossati occhiali verdi, cioè si deve cambiare lo sguardo.
In merito agli occhiali verdi necessari per non farsi abbagliare dallo sfavillìo verde della Città degli smeraldi il racconto sembra alludere ad una lezione morale-iniziatica significativa: per conoscere una realtà nuova e preziosa occorre assimilarsi ad essa, in una sorta di “omeopatia trasmutativa”. Pure centrale è la posizione dello Spaventapasseri quando appare conficcato con un palo al centro del fiume. Altra assonanza antichissima, ben più cruda, la troviamo nell’episodio del campo di papaveri, quando l’Uomo di latta decapita il malvagio Gran Gatto selvatico salvando così la Regina dei topini di campo e aprendo la via alla salvezza dal sonno mortifero dei papaveri scarlatti. Ebbene in Omero (Iliade, XIV, 599) abbiamo la stessa associazione archetipale fra decapitazione e l’immagine del papavero, in quanto l’uso guerresco antico prevedeva l’innestamento su palo o lancia della testa del nemico decapitato e quindi era normale per i tempi omerici che l’immagine fisica con il rosso sangue in alto evocasse quella naturalistica del papavero.
Un altro topos proprio della favola sembra essere il color argento. Le scarpette d’argento della strega dell’Est, i capelli color argento della strega del Nord, il fischietto d’argento che la Regina dei topi di campo regala a Dorothy, l’altro fischietto d’argento della strega dell’Ovest, gli stessi toni azzurri del vestito dello Spaventapasseri, l’oliatore d’argento regalato all’Uomo di latta e il cuoricino d’argento che riceverà. L’Argento quale sostanza dialetticamente ora viva e ora morta sembra far da protagonista occulto delle vicende e sembra intessere un percorso cromatico simbolico che viene a sua volta rafforzato dal simmetrico tema dell’acqua che accompagna la storia fin dall’inizio. Dorothy infatti descrive un ruscello luccicante che vede appena arrivata nella nuova terra, si nutre di cibi candidi prima della partenza, beve “deliziosa acqua fresca”, lo stesso Uomo di stagno brilla al sole in modo non dissimile dall’acqua, e il pericolo principale per lui è proprio l’acqua. Dorothy stessa piange più volte, e uccide la Strega dell’ovest con l’acqua che la corrode.
Il tema argento/acqua/luce richiama facilmente il linguaggio alchemico in merito al Mercurio. La stessa acqua che scioglie la Strega dell’Est, la cui secchezza è segno di malvagità, ricorda simbolicamente l’acqua corrosiva dello Stige, secondo il racconto di Porfirio. A sua volta anche questa immagine, dell’acqua che scioglie, è anch’essa diffusa immagine ermetica. Che possa riscontrarsi una traccia di evoluzione allusa metallurgicamente ne abbiamo segno nel capitolo tredicesimo dove gli stagnini dei Martufi sanano l’Uomo di latta che giaceva arrugginito e trafitto da rocce appuntite fino a restituirgli un’ascia lucida come l’argento e con il manico d’oro, entrambi purgati dalla ruggine. Che i Martufi, abitanti di case color giallo, siano preposti all’oro lo vediamo anche nei doni che lasciano alla fine alla compagnia: un collare d’oro, un bastone con il pomo d’oro, lo stesso berretto d’oro che Dorothy prende alla Strega dell’Ovest, oltre ai doni argentei. L’associazione oro/argento è altro segno linguistico tipico del tema alchemico nuziale e regale. L’associazione oro/occidente richiama invece l’immagine ermetica dell’“oro cotto”, della “morte dell’oro”.
Possiamo infine considerare un altro punto di vista per evidenziare tracce di simbolismo tradizionale nella nostra favola e lo troviamo nella considerazione dei personaggi quali caratteri ed emblemi “umorali” secondo l’antica filosofia della natura. L’Uomo di latta si arrugginisce alle lacrime, abbisogna di frequente olio ed è senza cuore quindi corrisponde al “freddo/secco”, a Saturno, alla terra, all’inverno. Tende infatti all’irrigidimento. Un altro indizio della telluricità dell’Uomo metallico lo troviamo in quel passaggio in cui il nostro eroe si commuove per aver schiacciato uno scarabeo. In questo senso l’Uomo di stagno corrisponde ermeticamente, al contrario dello Spaventapasseri, ad una terra che progressivamente viene luminizzata, purificata, diventando un “corpo di luce”, un corpo celeste.
Il Leone invece ha problemi di coraggio, quindi deficita di cuore e di fegato, si commuove, è in ogni caso impetuoso e generoso, quindi è “caldo/umido”, corrisponde alla primavera. Lo Spaventapasseri ha cuore, gli manca la testa, ha una pelle leggera e flessibile, aerea, è facilmente infiammabile. Quindi è “caldo/secco”, corrisponde all’estate, e infatti domina sopra le spighe di grano. Lo Spaventapasseri corrisponde ermeticamente ad un “cielo corporizzato”. La complementarietà polare fra Uomo di stagno e Spaventapasseri viene confermata dalla loro posizione opposta di bilanciamento nell’episodio della zattera.
Dorothy infine, nonostante ciò ci si aspetterebbe da una eroina bambina, non è sentimentale, non sembra venire coinvolta in profondità dalle proprie avventure. Desidera infatti solo una cosa: tornare a casa. Sembra svolgere un compito rituale, chimico, predeterminato. Dorothy spesso viene associata all’acqua, alla luce e a pietre preziose fredde come i brillanti, veste di bianco e di azzurro pallido e resta insensibile a Oz. Detto questo non possiamo che associarla all’umore “freddo/umido”.
Ecco ricomposto il quaternario, che va incrociato all’altro quaternario, quello cosmico, dato dalle 4 Streghe e dai 4 paesi corrispondenti. A tale proposito ricordiamo che il paese dell’est è azzurro, quello dell’ovest è giallo, quello del sud viene connotato dei rubini, al centro abbiamo lo smeraldo. Resta stranamente incognito il regno del nord. I colori della Fata del sud sembrano infine alludere ad una sintesi evolutiva finale in quanto assomma in sé il fulvo, il bianco e l’azzurro intenso. Fra i quattro umori abbiamo relazioni interessanti come la complementarietà fra l’assenza di cuore dell’Uomo di latta e l’assenza di cervello dello Spaventapasseri. Non a caso Oz cura i due personaggi in modo speculare e simile: crusca e metallo per lo Spaventapasseri e argento e segatura per l’Uomo di latta. La cura per il Leone che deve ritrovare se stesso richiama anch’essa ancora una volta un immagine ermetica: il leone associato al colore verde.
Pure complementari sono gli agenti che incidono sui personaggi quali emblemi ermetici: il fuoco sullo Spaventapasseri e l’umido salino per l’Uomo di latta. Se l’Uomo di latta penetra il solido e lo spesso, lo Spaventapasseri attraversa l’aria e l’acqua. Per il Leone invece il percorso evolutivo tende più semplicemente al perfezionamento di ciò che già è. Il Leone non ha storia: è Leone e basta, gli manca solo l’autocoscienza, gli manca solo l’intensificazione della propria essenza. Altro tema linguistico anch’esso tipicamente presente nei linguaggi alchemici, quando si parla della “res” unica in rapporto alla quale l’Opus mira semplicemente a “togliere” e non può aggiungervi nulla. Oz non fa che togliere la paura e l’incertezza dall’essenza leonina con il suo liquore vetriolico.
Se consideriamo infine l’origine degli altri due personaggi e il loro primo incontro con Dorothy scopriamo altri indizi significativi. La prima visione dello Spaventapasseri ce lo rende impalato, cioè simbolicamente crocefisso, e vestito di azzurro pallido, come Dorothy e come i Succhialimoni. Il nostro eroe si confonde cromaticamente con il cielo e la sua postura sembra alludere alla “fissazione del volatile”, alla condensazione dell’Aria. La sua totemicità ricorda quella di Pinocchio. Lo ritroveremo poco più avanti ancora impalato, questa volta al centro di un fiume, con il remo infisso nel fango, dal quale verrà salvato dall’ermetica cicogna. L’Aria dopotutto attraversa e domina sia la terra che l’acqua.
Se invece ripercorriamo il primo incontro con l’Uomo di stagno troviamo conferma del suo configurarsi quale “Essere delle trasformazioni”. Prima uomo e ardente innamorato, poi essere dimezzato, incantato, che si autodistrugge fino ad autodecapitarsi e ad essere sostituito pezzo per pezzo in Uomo di stagno. Curiosa la simmetria fra la decapitazione che subisce all’inizio e quella che poi infligge al Gatto giallo. Sembra riecheggiare il tema della decapitazione rituale e reciproca che troviamo in Gawain e il cavaliere verde. L’Uomo con una gamba metallica, nella prima fase della trasformazione del taglialegna, infine evoca la figura di Saturno, presente in un'immagine analoga presente nel Perlesvaus. Quale cultura può aver influenzato l’autore nel senso simbolista? Probabilmente una cultura israelitica, cabalistica. Ne troviamo alcune tracce nei nomi, come nel nome “Bacuc” dato al Succhialimoni che ospita Dorothy, e nello stesso nome di “Oz”, nome ebraico che significa “forza”, tema alchemico centrale nella Tabula Smaragdina, nome che potrebbe anche cabalisticamente accostarsi al nome “Luz”, già chiosato da Guenon.
In questa logica commutativa chi è Dorothy? Sembra una bambina insignificante e ingenua, sempre inconsapevole dei poteri che reca e di cui è veicolo ma che non sa trattenere. Sembra svolgere la funzione di un “catalizzatore”, o di una “materia prima”. Di cosa si ciba? Solo di cibi candidi come pane, uova, burro, acqua fresca, oltre che delle sapienziali noci. All’inizio della storia viene descritta con i colori dell’aurora: bianco, rosa e azzurro pallido. La terna dei nostri eroi richiama invece fortemente la triade filosofica: Mercurio, Sale e Zolfo. La loro destinazione finale è coerente: il sanguigno Leone dominerà la natura ombrosa, il melancolico Uomo di stagno, ora argenteo/dorato, regnerà sulle laboriose terre d’occaso, concludendo così il suo percorso solare, il volatile Spaventapasseri troverà fissa dimora al centro dello Smeraldo, penetrando con la sua aguzza essenza la dura pietra, e ricongiungendosi così definitivamente con il suo inseparabile axis mundi, mentre la flemmatica Dorothy tornerà identica a se stessa alle sue grigie praterie mentre le sue scarpette d’argento cadono “perdendosi per sempre nell’immensità del deserto”. Sembra di sentire riecheggiare l’Ariosto in un passo del suo Furioso: “Chi mai d'alto cader l'argento vide, che gli alchimisti hanno mercurio detto… ”