Francesco Gazzara (1967, Roma) è un compositore di musiche per il cinema e la tv dai primi anni Novanta. Andiamo insieme a lui nel 2084…
Se è vero che una delle massime ispirazioni del progressive è il poema sinfonico, e più in generale la musica a programma, in 2084 sono due gli spunti: uno extramusicale come il romanzo di Boualem Sansal, uno profondamente musicale come 1984 di Anthony Phillips. È da qui che parte il nuovo corso di The Piano Room?
Sì e non solo. 2084: The End of The World dello scrittore algerino Boualem Sansal – che riprende 1984 di Orwell immaginandolo in una distopica dittatura dello Stato Islamico – è una lettura recente, lo stimolo per immaginarne una sorta di soundtrack prima ancora che Hollywood faccia suo il tema ancora una volta. L’album dell’ex Genesis Phillips è, invece, un riferimento costante, acquistato in vinile poco dopo la sua uscita del 1981, da sempre un magnete tra le mie orecchie e la strumentazione analogica dell’era pre-midi. L’idea di un disco completamente elettronico nel sound ma ricco di contrappunto nel suo corpus armonico melodico viene proprio da lì.
Ho proposto personalmente la versione demo di 2084 proprio ad Anthony che ha gradito la complessità della scrittura, anche se dal punto di vista dei suoni analogici lui ha già dato all’epoca e per l’evoluzione della sua carriera non è mai tornato su quella strada. Il nuovo corso di The Piano Room parte però anche da una terza via: quella della mia passione per le colonne sonore e del mio lavoro quotidiano come autore di soundtrack per la tv e il cinema. In particolare, per restare in tema di sonorità analogiche, lo stile di John Carpenter come soundtracker proprio dei suoi film.
Soffermiamoci su 1984, il disco di Anthony Phillips del 1981. Un lavoro controverso, dal quale tu ‘prelevi’ la struttura, che all'epoca fece scalpore per la sterzata verso sonorità elettroniche. A quasi quarant'anni di distanza cosa pensi sia rimasto di quell'opera?
Un album non semplice, allora come oggi. Intendiamoci, Switched-On Bach di Wendy Carlos, caposaldo dell’elettronica al servizio del consumo discografico, era molto più fruibile. In 1984 di Phillips non c’è traccia (perlomeno evidente) di barocchismi riconoscibili. Anche nella scrittura rimane un disco prog, con cambi continui di ritmo e melodie sviluppate senza riprese orecchiabili. Idem per il sound, non facile interpretare l’utilizzo dell’arsenale analogico, spesso trattato come la tavolozza di un pittore impressionista. Uno step sequencing infinito e creativo, quasi impossibile da avvicinare. Ecco perché il mio 2084 è solo un umile tributo, nella struttura, perché divide in quattro parti la suite completa, nel suono, in quanto compaiono in buona parte i sintetizzatori e la drum machine usati all’epoca da Anthony.
Una chiave fondamentale per capire 2084 è il 1984 di George Orwell, di cui ricorrono i 70 anni dalla pubblicazione. I romanzi distopici sono stati spesso gettonati dal rock (vedi Pete Sinfield, i Rush etc.): che tipo di fascino ha esercitato la lettura di quello straordinario romanzo su di te?
Essendo una lettura scolastica, su cui sono ovviamente tornato più volte, ha contribuito in maniera essenziale a una visione anche politica della vita che poi si è spesso alimentata di altri classici di letteratura distopica e fantascienza in generale, da Fahrenheit 451 di Ray Bradbury fino alla Trilogia della Fondazione di Isaac Asimov. Ma è soprattutto l’impatto del cinema ispirato a 1984 che ha lasciato il segno nella mia memoria: La fuga di Logan di Michael Anderson, Brazil di Terry Gilliam e lo stesso Orwell 1984 di Michael Radford, o ancora L’uomo che fuggì dal futuro (THX 1138) di George Lucas fino al Blade Runner di Ridley Scott, sono tutti esempi di arte assoluta – in cui immagini e musica si combinano genialmente – scaturita da interpretazioni del *1984 di Orwell sempre ricche di dettagli diversi.
Ovviamente anche il rock ha detto la sua in proposito e spesso è stata la musica a trasmettermi nella maniera più diretta il messaggio orwelliano: 2112 dei Rush, i due 1984 di Phillips e Rick Wakeman, e anche Diamond Dogs di David Bowie con 1984 nella tracklist.
Il fascino del capolavoro di Orwell si rinnova in ogni epoca, dimostrando attualità assoluta. Come interpretare proprio oggi la schiacciante presenza di un Grande Fratello informatico, che raccoglie i nostri dati a tappeto rendendoci tutti sudditi con gli stessi pochi diritti sempre più a rischio? A cominciare da quello d’autore, per restare in tema.
Sei sempre attento al parco tastiere che usi. Il tuo Play Me My Song (Gazzara Plays Genesis) cominciava non a caso con un pianoforte Bösendorfer Grand Coda; 2084, invece, è il trionfo dell'elettronica vintage. Il clima distopico e futuribile non poteva che essere evocato così...
Il Grand Coda citato era quello della Sala Assunta in Vaticano, donato dalla Bösendorfer alla Radio Vaticana nei primi anni ’80. Un tributo in prevalenza pianistico ai Genesis doveva per forza partire da lì. Nel caso di 2084, invece, la scelta è caduta su una serie di synth analogici – Arp 2600, Arp Odissey, Minimoog, Prophet 5, Korg MS20 – affiancati dal Mellotron e dal mio inseparabile Hammond B3, con registri molto ‘prog’ e pedaliera dei bassi in piena evidenza. La caratteristica distopico-futuribile è a sua volta sottolineata da qualcosa di più moderno, come i synth digitali Reaktor e Sylenth.
Eppure, tutto ciò non tragga in inganno, The Piano Room è ancora un progetto centrato sulla scrittura pianistica, come negli album precedenti Early Morning e Breath, Feel. Non a caso in tutta la suite di 2084 risuonano anche le note di un pianoforte particolare: l’elettroacustico Yamaha CP80, vintage anche quello. Da segnalare, infine, che le tre bonus track del disco ripropongono buona parte dell’album per solo pianoforte acustico.
A proposito della versione pianistica, in cosa differisce dalla suite principale?
Dal vivo 2084 è proprio la versione pianistica della suite intera – così come è stata scritta originalmente – ma sincronizzata con le sonorità elettroniche di synth e drum machine dell’album originale e con le immagini suggestive e distopiche sia della copertina del disco che del teaser clip. Tutto ciò anche per rendere possibile l’esecuzione aggiunta di almeno un brano sia dalla discografia precedente di The Piano Room che dal mio tributo pianistico ai Genesis, Play Me My Song. Restando in tema di suite, l’obiettivo è di abbinare dal vivo 2084 a Supper’s Ready, la cui trascrizione pianistica farà parte proprio del follow-up di Play Me My Song, in uscita entro la fine del 2019.
Mentre il suono di strumenti come il classicissimo Hammond B3 o il Moog dà una sensazione di persistenza nel tempo, il sapore di certe macchine vintage può suonare datato, tanto da ‘incatenare’ l'ascoltatore a certi ricordi (la Roland CR-78 che rimanda inesorabilmente a In The Air Tonight). È una scelta voluta?
L’unica vera scelta di base è stata quella di assegnare le parti extra pianistiche ai vari sintetizzatori analogici come se si trattasse di strumenti di un’orchestra sinfonica, in base soprattutto alle caratteristiche di coloratura del timbro, più o meno caldo, e alle frequenze esaltate nel mix. Idem per la drum machine Roland CR-78, i cui suoni vintage sono stati comunque lavorati molto prima del missaggio definitivo. Il resto più che voluto è stato forzato, in quanto la maggior parte di questi strumenti delicati tende a non reggere l’accordatura e spesso le esecuzioni delle linee melodiche sono state fatte dal vivo, senza le possibilità di correzione sulla singola nota come invece avviene sempre con gli strumenti virtuali o il midi. Il mastering fatto da Max Paparella al Groove Sound Design Studio ha aiutato questo processo, riuscendo nel miracolo di rendere il paesaggio sonoro dell’album molto più caldo, dinamico e coinvolgente rispetto al mix.
Le sonorità di 2084 rimandano anche a un certo tipo di immaginario fantascientifico dell’epoca, alla Tron per intenderci…
Credo che sia frutto della costruzione, vintage anche quella, delle sequenze melodiche e ritmiche dell’album. In fondo lo step sequencing delle macchine analogiche precedeva di poco l’era di un film come Tron. Stavano per arrivare gli anni dei primi home computer applicati alla musica, gli albori del midi e del leggendario Atari ST1040. Anche per questo il teaser clip costruito sulla traccia di apertura Prologue 2084 prende come spunto la grafica a 8 bit di quel periodo.
2084 è sostanzialmente una suite in due parti, aperta e chiusa da Prologo e Epilogo. Sono finiti i tempi delle grandi suite del passato oppure, secondo te, il pubblico ha ancora voglia e disponibilità all'ascolto attento e prolungato?
Le durate di una composizione musicale sono sempre state influenzate dal ‘mercato’ contemporaneo, che si tratti di un mottetto vocale rinascimentale, di una sonata barocca, di una canzone beat, di una prog suite, di una base trap o di un’improvvisazione jazz ambient sperimentale. La vera differenza la fa il contenuto e quasi sempre – tranne il caso della trance elettronica e di molta world music in cui la ripetizione è funzionale a un effetto fisico e ipnotico – più cose cambiano e succedono al suo interno e più viene stimolato l’interesse dell’ascoltatore nel tempo. In 2084 ci sono riprese modulate o trasposte dei temi, ma la sensazione globale è quella di un movimento in divenire, un fiume che scorre verso la foce senza ripetersi mai uguale nelle sue molteplici correnti e increspature.
Che differenze ci sono rispetto ai due precedenti lavori The Piano Room?
La differenza sostanziale è con il secondo e terzo album pubblicati con la IRMA Records, in cui il materiale composto ed eseguito al pianoforte era affiancato a una sezione ritmica di contrabbasso e batteria. In realtà, il primo album omonimo di The Piano Room, pubblicato da Terre Sommerse nel 2006, era a sua volta un disco di pianoforte solo. Si può interpretare, quindi, 2084 come un nuovo capitolo di uno stile definito di scrittura musicale ma con un abito sonoro totalmente nuovo.
Da una parte c'è Gazzara, con il suo storico solco acid-jazz, dall'altra The Piano Room con la sua devozione al prog-rock e in particolare ai Genesis. Al centro ci sei tu. È la tua figura l'unico elemento in comune tra i due progetti o c'è dell'altro?
Si tratta di due progetti molto diversi tra loro e a cui ho dedicato gran parte della mia carriera musicale in un arco temporale piuttosto esteso. Ecco perché anche analizzandoli singolarmente si riscontrano differenze notevoli al loro interno. Gazzara, in realtà, è una band nata nel 1996 e ancora attiva come trio, con sette album in studio all’attivo e un ‘file under’ non solo acid jazz ma anche bossa, lounge, soul. The Piano Room, a sua volta, nasce come veicolo ideale per unire le mie due passioni musicali di sempre, il prog rock e le colonne sonore. Una unione maturata finalmente grazie a 2084.