“Sono cresciuta a Milano pensando, sin da bambina, che avrei voluto vivere altrove, in mezzo alla natura. Ancora oggi sento di avere bisogno di più contatto con la natura. Eppure, quando a 17 anni mi ritrovai a vivere, durante un programma di scambio, in una zona molto isolata della campagna americana, compresi che la natura sola non poteva essere la risposta al bisogno che sentivo di “qualcos’altro”. Così, da allora e fino a oggi, ho trovato “l’altro” che cercavo, nel piacere di contribuire in piccole o grandi imprese che mi appassionavano, mi toccavano e mi portavano a esplorare nuovi mondi e nuove persone. Prima il mondo degli stranieri, con i rifugiati, poi l’ambiente. Sono curiosa ed entusiasta di imparare. Fatico a occuparmi di cose per le quali non provo un trasporto ideale e che non contengono una sfida al raggiungimento di un traguardo che porterà un cambiamento. I traguardi raggiunti rappresentano gioie silenziose che porto dentro di me e che mi rincuorano quando l’obiettivo successivo sembra troppo difficile. Il tema dei cambiamenti climatici, che si intreccia in maniera ineludibile con quello delle emissioni inquinanti, farà probabilmente sì che il mio impegno per l’ambiente si rafforzi nei prossimi anni. Sono da sempre interessata alle culture diverse dalla mia e sogno di poter fare nei prossimi anni lunghi viaggi per esplorare ed entrare in contatto con i mondi e le culture che non ho ancora conosciuto. A modo suo, anche l’ambiente mi sta portando a intersecare altre culture. L’inquinamento atmosferico è ormai un problema globale che, paradossalmente, avvicina i popoli, li mette in rete facendoli interagire per trovare soluzioni al più presto.”
Da dove è scaturito il suo appassionato impegno per l’ambiente?
Da adolescente mi sono imbattuta in Walt Whitman e Henry David Thoreau la cui lettura ha sicuramente influenzato la mia percezione della natura come centrale nella nostra vita. Al di là dell’amore per la natura che mi motiva da sempre e della consapevolezza che Milano ha sempre lasciato molto a desiderare in termini di vivibilità e qualità dell’ambiente, il momento fondamentale nel quale è nato il mio impegno, prepotente prima, e appassionato poi, è stato quando sono nati i miei figli. Quando mia figlia maggiore era piccolissima non avevo la possibilità, lavorando, di portarla fuori Milano per lunghi periodi. Cominciò a sviluppare varie allergie e documentandomi compresi che c’era sicuramente una componente ambientale in quello che le stava accadendo. Iniziai a ridurre il mio impegno lavorativo per portare i miei bambini più spesso via dalla città, ma vivevo in modo acuto l’ingiustizia del fatto che la salute dei miei figli e il mio lavoro dovessero dipendere dalla cattiva qualità dell’ambiente della città in cui vivevamo. E chi, meno fortunato di me, non poteva ridurre l’impegno lavorativo? E chi non ha i mezzi per portare i bambini fuori dalla città?
L’inquinamento è anche un problema sociale, colpisce le donne che curano i bambini che si ammalano di più dove l’aria è sporca, colpisce le classi meno abbienti che non hanno via di scampo dalla città e spesso vivono in zone più inquinate. Colpisce i bambini che sono i più sensibili all’impatto dell’inquinamento. Oggi sappiamo che l’aria inquinata riduce lo sviluppo dei loro polmoni e pregiudica il loro sviluppo cognitivo. Non è accettabile mettere il futuro delle nuove generazioni a rischio e in secondo piano rispetto a priorità che sono eludibili. La mobilità così come tante altre fonti di inquinamento, possono essere riorganizzate migliorando immediatamente la qualità dell’aria. Ma un bambino il cui cervello non ha avuto un pieno sviluppo ne avrà un danno per la vita. E con lui la società.
C’è una differenza di approccio alle problematiche ecologiche, tra uomini e donne?
Le donne, per il loro ruolo di accudimento e nel dover rispondere quotidianamente alle esigenze dei figli, tendono ad avere un più forte collegamento anche emotivo con le loro necessità e sono per questo più sensibili agli elementi naturali che mancano o sono deteriorati nell’ambiente in cui crescono. L’aria, il verde, gli spazi. Oggi, però, ci sono tanti padri e uomini che percepiscono il problema ambientale in modo altrettanto urgente, ancor di più ora che si sta facendo strada la consapevolezza che il cambiamento climatico mette a rischio il futuro dei nostri figli. Credo vi sia, ormai, un silenzioso e diffuso senso di colpa che lega uomini e donne nella consapevolezza di consegnare alle prossime generazioni un pianeta così deteriorato e con così modeste prospettive di cura. Dobbiamo fare in modo di impegnarci tutti molto di più e di avere leader fortemente motivati sul tema ambientale in modo da poter imprimere una forte accelerazione alle politiche ambientali sia a livello locale che nazionale. Solo unendo idealismo femminile e visione realistica maschile potremo dare vita a una vera grande svolta.
È fondatrice e presidente dell’“Associazione Cittadini per l’Aria”: come è nata e quali sono le sue finalità?
Ricordo la prima manifestazione davanti a Palazzo Marino con mia figlia (che oggi ha 20 anni) nel marsupio per chiedere misure per la qualità dell’aria. Sono stata fra le fondatrici e ho animato per molti anni un’altra associazione fortemente milanese (Genitori Antismog). Poi, nel 2015, con un piccolo gruppo con cui condividevamo l’importanza del lavoro ambientale basato sul coinvolgimento dei cittadini in progetti di scienza partecipata e la collaborazione con il mondo dei ricercatori, abbiamo dato vita a “Cittadini per l’Aria” per avere un respiro non solo milanese e condividere con tanti un modo di affrontare il tema dell’inquinamento atmosferico e contribuire a portare cambiamento: il problema dell’aria ha cause simili in molte città e volevamo poter condividere le nostre iniziative per consentire ad altri in altre zone d’Italia di non dover ricominciare ogni volta tutto da capo. Vogliamo dare il nostro contributo per migliorare le politiche riguardanti l’aria, e di conseguenza quelle attinenti al clima, che sono intimamente legate. L’Italia è, per esempio, ancora molto indietro per quanto riguarda la qualità dell’ambiente urbano, dove la maggioranza della popolazione vive. È ora di dare un respiro nord-europeo alle nostre città. Spazio a pedoni, verde, trasporto pubblico e bici sono la chiave per trasformare le nostre città. Si può e si deve fare. Per il clima, perché le città sono i principali ambiti di emissione di sostanze climalteranti a livello mondiale e per la nostra salute. Il riscaldamento globale ci pone davanti a un bivio. Agire ora o condannare le nostre città, e non solo, ad essere luoghi invivibili.
Come si muovono Comune e Regione di fronte al grave inquinamento dell’aria?
Il Comune si sta muovendo nella direzione giusta. Sta investendo in una nuova zona a basse emissioni (Area B) che, per le sue dimensioni, potrà davvero cambiare la faccia e l’aria di Milano. Progressivamente molti veicoli, soprattutto diesel, verranno banditi dal 2019 consentendo ai cittadini di respirare meglio, scegliere di rinunciare all’auto in città e muoversi in modo più sostenibile.
Certo, si deve fare di più, soprattutto togliendo spazio al parcheggio, dedicandone al trasporto pubblico e alla rete ciclabile, aumentando il verde. Tuttavia, la sensazione è, complessivamente, che l’ingresso di Milano nelle reti internazionali delle città che si impegnano per migliorare la qualità dell’aria e della vita urbana (ad esempio: C40 Cities) abbia rappresentato un importante passo avanti, in termini di visione, per Milano. Quanto alla Regione, è davvero la grande colpevole: le politiche sono, da decenni, irrisorie e spesso controproducenti. Si deve costruire una rete ferroviaria che eviti l’uso dell’auto a chi vive in provincia ma lavora nelle città. Si deve spingere la ciclabilità in pianura come mezzo per andare al lavoro. Da Amsterdam a Delft c’è un treno ogni dieci minuti circa e le stazioni del Nord Europa ospitano bici-stazioni che sembrano uscite dalla fantascienza. Possibile che una delle Regioni più ricche d’Europa non ce la possa fare? Le Fiandre investono ogni anno 100 milioni in ciclabilità, la Lombardia 20 milioni in 7 anni. Da anni la Regione finge di fare delegando, invece, le politiche che le spetterebbero ai Comuni che non hanno le strutture né le conoscenze necessarie per occuparsene e si muovono alla rinfusa. E, quel che è peggio, nasconde il problema sotto il tappeto.
L’Area C sta funzionando?
Sì, sicuramente. Ricerche condotte confrontando l’inquinamento dentro e fuori l’Area C indicano che il particolato dentro l’Area C è, non solo più ridotto, ma soprattutto meno tossico quanto a composizione chimica. Il che è poco evidente ai cittadini ma cruciale per la nostra salute. Tuttavia, l’Area C non è sufficiente né per livello di tutela al suo interno – ancora troppe auto e moto sono ammesse – né per ambito geografico. L’Area C è un francobollo su una grande pagina che è Milano, dove vivono oltre un milione di persone esposte a un traffico sostanzialmente senza tregua e controllo. L’Area B coprirà il 98% di Milano e, soprattutto se il Comune abbrevierà i tempi di implementazione e avrà un adeguato sostegno da parte della Regione, rappresenterà una grande svolta per Milano.
Ha senso permettere a chi paga di poter inquinare? Non sarebbe meglio rilasciare permessi d’ingresso, anche gratuiti, all’Area C, solo a categorie ed esigenze particolari?
Il principio che chi inquina paga è ben consolidato nel diritto europeo e assolve all’obiettivo di compensare la società del danno che causa l’inquinamento prodotto, scoraggiando al contempo il comportamento che danneggia la collettività. Le tariffe, tuttavia, oggi sono troppo basse e quindi finiscono per non assolvere la loro funzione in maniera adeguata. A Londra oggi un’auto euro 4 paga oltre 20 sterline per entrare in centro. A Milano mediamente 3 € e non sono poche le esenzioni e deroghe già previste dal Comune.
Secondo lei quali sono gli interessi, occulti o palesi, che ostacolano la realizzazione di una città più vivibile?
In parte ci confrontiamo con un retaggio culturale che addita come utopistico e da ambientalisti il pretendere che si possa crescere e vivere in città vivibili e dove si respira aria pulita. È per questo che è, invece, importantissimo che chi crede in un nuovo modo di vivere la città si faccia sentire per sostenere e rendere pressante la necessità di cambiamenti. Ci sono grandi interessi che premono sulle politiche e ostacolano i passi avanti, la lobby dei fossili è forte e sovvenziona le politiche e i settori che la sostengono.
Può citare qualche esempio virtuoso, nazionale o internazionale, che ha affrontato con successo il problema dello smog?
Ovviamente le città del nord Europa, Copenaghen, Oslo, e altre ancora. Ma forse per noi conta di più, per le condizioni analoghe, Londra il cui Sindaco Sadiq Khan ha posto il tema della qualità dell’aria in cima alle sue priorità e ha lavorato in modo eccellente in questi anni.
Ci consigli qualche rilassante e respirabile itinerario, a piedi o in bici, in una Milano vivibile.
Oggi come oggi ancora davvero pochi… forse la zona della Statale in via Festa del Perdono ma è un itinerario troppo breve. Naturalmente i parchi, ma quelli sono pochi e rappresentano un’oasi. Serve costruire una città più verde, dove tutte le strade hanno spazio per le bici e alberi che creino ombra e fresco in estate. Una città rilassante e respirabile dove la dimensione umana sia quella prevalente. Si può fare.