L’essere umano è l’elemento veramente complesso dell’universo. Talvolta si è soliti ripetere frasi come questa a mo’ di litania o luogo comune per intrecciarsi tra la meraviglia degli istinti e la naturale tendenza a sottrarsi dal capire.
Capire è una cosa seria, oggi più che mai. Sì, siamo complessi per gli ormai risaputi miliardi di neuroni che lavorano in simultanea, per l’espressione genica, l’interazione epigenetica e via dicendo a seconda delle mode mediatiche del momento, tutte cose vere e affascinanti oltremodo, ma di fondo, la nostra caratteristica principale che ci rende esseri dal valore inestimabile è la stupidità. Non la abbiamo mai voluta comprendere nella sua costitutiva presenza.
Storicamente abbiamo concentrato le nostre energie a erigere monumenti narrativi che elogiassero il potenziale creativo e razionale umano: la filosofia cos’altro ha fatto se non proiettare sul mondo esterno le categorie, i princìpi e i meccanismi di funzionamento della mente umana? Salvo esotiche sorprese, i processi che la nostra stessa logica può produrre dovrebbero essere stati tutti svelati, sicché il pensiero speculativo contemporaneo è una terra molto ripetitiva, memoriale delle intuizioni dei grandi maestri del passato. C’è di più.
Questo esaurirsi del pensiero errante è uno stato di cose a due facce. La prima: la stupidità è la nostra grande occasione del presente. Non se ne parla, è un dato marginale, ci sono gli scemi in giro, tanti, ma non sono mai io. La stupidità occupa più del 90% del nostro potenziale cognitivo. Ad esempio: nel 2019 mi capita ancora di leggere, editoriali, saggi, interventi, sui diritti fondamentali, quali l’uguaglianza tra tutti gli uomini, la parità dei sessi, e così via. Se nel 2019, dopo almeno quattromila anni di civiltà in progresso storico e di relativi mutamenti di paradigma culturale, dopo che profeti, figli di Dio morti in croce, filosofi, scienziati, hanno fatto di tutto per celebrare l’uguaglianza degli uomini e delle donne di fronte allo sguardo dell’Universo, noi abbiamo ancora bisogno di mettere in questione il fatto che forse dovremmo considerarci tutti uguali, allora arriviamo dritti alla seconda faccia della questione. Il pensiero con il suo travaglio di parola, termina la corsa in una realtà umana largamente fraintesa da sé medesima.
Forse abbiamo calibrato la nostra immagine e il nostro valore su quei tre, quattro geni di fama mondiale, come Teresa d’Avila, Leonardo da Vinci, Mozart, Marie Curie, Martin Luther King, personaggi iconici dei quali opere e gesta vengono raccolte su dispositivi di scrittura che la Nasa, ciclicamente, spara nello spazio profondo affinché prossime civiltà aliene, intercettandoci, si facciano un’idea carina di noi. Ma siamo ben lontani da tutto questo. Guardandomi attorno, grazie alle esperienze vissute, i viaggi, le letture, gli incontri, mi sembra di poter affermare quasi con certezza che l’uomo d’occidente (e non intendo geograficamente d’occidente, ma anche, se vogliamo) abbia scelto di dimorare in una terra di mezzo che non è né vera né falsa, ma perfettamente ignava.
Chiarisco con un esempio: in un monastero buddista nepalese, i monaci hanno tre occasioni per ripetere lo stesso errore. La prima volta non lo sapevi, la seconda volta lo sapevi ma hai sbagliato, la terza volta sei fuori dal monastero perché non ti va di starci, hai mentito a te stesso. È semplice. Questo piccolo aneddoto può essere un’epifania. Per i buddisti, un essere umano è capace, di norma, di non ripetere lo stesso errore per più di due volte. Il mondo è un luogo ricco di monaci buddisti, uomini e donne che hanno commesso lo stesso errore per due sole volte. Una cosa possibile grazie all’esercizio di una qualità universale dell’essere umano, la volontà.
Per un occidentale questa cosa è inconcepibile. Per un occidentale tra sé e la propria volontà intercorre un oceano di scuse, giustificazioni, idealismi e moralismi, per cui è lecito perseverare in quello che consideriamo il nostro inalienabile “diritto di sbagliare”. Abbiamo confuso l’atteggiamento attivista di rivendicazione di un diritto, che di fatto, è una sola delle possibili manifestazioni dell’esistere, con il massimo della nostra aspirazione per la vita. In mezzo ci sarebbe la scoperta dell’inesauribile potenziale che siamo. Così come l’uguaglianza. La questione continua ad essere posta sul piano politico, sul discorso civile, sulla logica che ne fa una ragione di principio. Allora se sei troppo per l’uguaglianza sei di sinistra, e finisci in quel calderone saturo che contiene tutti i movimenti possibili per l’uguaglianza, dai pacifisti dell’arcobaleno ai maoisti per le giubbe verdi ecc. Se sei per l’uguaglianza part time, per cui rivendichi anche un principio di differenza, allora sei più di destra, perché certo che siamo tutti figli di Dio o del caso, ma in fondo le cose che mi sono guadagnato me le sono meritate più del mio vicino un po’ in rovina, che non è stato bravo come me. E allora chi stabilisce il discrimine? Così non andiamo da nessuna parte.
Ma forse il vero unico problema che alimenta questa condizione perenne di stupidità è che non sentiamo il bisogno di sentirci uguali agli altri. Sentiamo invece il bisogno pervertito di omologarci, di dissolverci nella massa informe dell’anonimato. Oggi l’anonimato, che va a occupare il posto che aspetterebbe all’esperienza vitale e primaria dell’uguaglianza, viene incentivato e super stimolato dai dispositivi tecnologici. Per di più la disamina critica degli effetti cognitivi di questi dispositivi (mi riferisco principalmente a smartphone e social network, i più capillari in assoluto) assume quasi sempre i toni di una arringa pastorale contro il male definitivo della società moderna.
Non è questo il punto. La questione non è morale, tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ma riguarda l’espressione della nostra natura umana più profonda. Se un ragazzo o una ragazza spende la maggior parte del tempo libero, e non, su un dispositivo che gli consente tre manovre cognitive (“mi piace”, “commenta”, “scroll”), che idea si farà di se stesso e degli altri? E del mondo? E della mente? Benvenuti nella caverna di Platone. Prepariamoci bene, perché stiamo per attraversare la notte delle intelligenze.