In Italia sono state segnalate 3.443 nuove diagnosi di infezione da HIV, casi rappresentati prevalentemente da maschi (76,2%) la cui età media si attesta intorno ai 39 anni e ai 34 anni per le femmine. È quanto emerge dai più recenti dati diffusi dall’Iss-Coa (Istituto Superiore di Sanità – Centro Operativo Aids) relativi all’anno 2017. Lo studio colloca l’Italia nella media degli altri Paesi dell’Unione Europea che fanno registrare 5,8 nuovi casi ogni 100.000 residenti, dato stabile negli ultimi cinque anni. L’84% delle trasmissioni riconosce una modalità sessuale: i casi più numerosi sono attribuibili a una trasmissione eterosessuale (46%, nello specifico 25% maschi e 21% femmine), seguiti dai casi relativi ai maschi che hanno rapporti sessuali con altri maschi (38%), mentre le persone che usano sostanze rappresentano il 3% di tutte le segnalazioni. Più di un paziente su tre, al momento della diagnosi, presenta un sistema immunitario già fortemente compromesso poiché giunge alla diagnosi testandosi già in presenza di sintomi HIV-correlati.
I casi di AIDS conclamato, benché in costante lieve riduzione (690 nuovi casi di AIDS nel 2017), sono gravati ancora da un alto tasso di mortalità. “La diagnosi tempestiva e l’avvio precoce del trattamento sono i cardini delle strategie che hanno permesso il miglioramento dell’aspettativa di vita” – ha spiegato la Dott.ssa Federica Sozio, infettivologa Dirigente Medico presso l’Uoc Malattie Infettive di Pescara – “indiscutibilmente l’infezione da HIV e la malattia da AIDS rappresentano campi in cui la Medicina ha raggiunto i traguardi più soddisfacenti negli anni, permettendo la cronicizzazione della condizione di sieropositività, un tempo pressoché inesorabilmente mortale, verso una normalizzazione dell’aspettativa di vita”.
In tal senso è importante sottolineare la distinzione tra sieropositività e Aids che vengono spesso confuse inducendo alla convinzione che la prima equivalga ad aver contratto la malattia, quando in realtà la sieropositività potrebbe non sfociare mai in AIDS, soprattutto se scoperta in tempo e trattata con i farmaci che blocchino la moltiplicazione del virus. L’HIV (virus dell'immunodeficienza umana) è un virus che attacca e indebolisce il sistema immunitario e che, appena entra nel corpo, resta localizzato alcune ore tra i tessuti dove c'è l'infezione, per poi moltiplicarsi rapidamente nel sangue e arrivare ai linfonodi. L'apice dell'infezione HIV acuta è il momento in cui talvolta, ma non sempre, compaiono sintomi di tipo para-influenzale. A quel punto il corpo ha iniziato a reagire al virus producendo anticorpi che cercano di bloccarlo. Gli anticorpi riescono temporaneamente a fermare la moltiplicazione del virus nel sangue riducendone la quantità, finché l'HIV avanza in maniera più forte e continua una lenta ma progressiva moltiplicazione attaccando ed erodendo il sistema immunitario con la morte dei linfociti che difendono il corpo da alcune infezioni e malattie. Se non adeguatamente trattato, l’HIV uccide così tanti linfociti da permettere alle infezioni di colpire il corpo: quando queste infezioni compaiono che c’è l’AIDS (sindrome da immunodeficienza acquisita) che è appunto una sindrome composta da diverse possibili malattie emergenti.
“L’ampia disponibilità di farmaci rivolti ai vari target cellulari riesce ad inibire la replica virale nella pressoché totalità dei casi" – sostiene la Dott.ssa Federica Sozio - "ristorando il sistema immunitario e limitando il perpetrarsi dell’infezione a nuove cellule. Lo stabilità di tale condizione con viremia plasmatica ‘undetectable’ (non rilevabile) rende il soggetto non infettivo, a giustificare l’equazione ‘undetectable = untransmittable’ universalmente accettata ad oggi e normalizzando ulteriormente le dinamiche della vita sociale dei pazienti”. Oggi, infatti, con le terapie disponibili, se il test HIV è stato fatto precocemente ed è stata seguita una terapia, l’AIDS può essere tenuto a distanza per lunghi anni fino ad essere un evento di morte improbabile anche per una persona con HIV. In fatto di diagnosi precoce l’Abruzzo è una regione pioniera, proponendo già dal 2014 una strategia di screening gratuita e anonima che consente di effettuare test presso uno degli ambulatori di Malattie Infettive della Regione, prenotando online e fornendo uno specialista per il counselling e la presa in carico diretta nel momento della riconsegna del risultato. Questa strategia, divulgata attraverso i social e con il passaparola degli utenti, ha permesso in questi anni l’effettuazione di più di dodicimila test con il depistaggio di 90 nuove diagnosi di HIV nelle fasi più precoci.
“L’avvio del trattamento antiretrovirale" – prosegue la Dott.ssa Sozio - "rappresenta un momento cruciale della vita del paziente che, da allora, assumerà quotidianamente, con varia frequenza e massima aderenza, il regime prescritto. La gestione di tale condizione prevede un inquadramento globale del paziente, che accederà regolarmente per i controlli previsti per il monitoraggio delle tossicità (metabolica, cardiovascolare, ossea, renale). La combinazione di farmaci potrà poi essere personalizzata in base alle diverse esigenze. Nella scelta del trattamento antiretrovirale vanno infatti presi in considerazione, oltre che l’efficacia e la tollerabilità del regime, anche l’aderenza del paziente, le interazioni con altri farmaci in uso e la presenza o meno di ulteriori condizioni patologiche”.
Rispetto al 1996, anno delle prime terapie di combinazione (HAART), l’attuale armamentario terapeutico è completamente rinnovato prevedendo una varietà di molecole sempre meno tossiche e meglio formulate in regimi che permettono una notevole riduzione della frequenza delle somministrazioni, in molti casi anche compattati in una sola compressa al giorno. I risultati delle maggiori coorti osservazionali di pazienti in trattamento antiretrovirale dimostrano altissimi tassi di efficacia raggiungendo percentuali massime in termini di soppressione virologica in Italia (dove l’85% dell’intera popolazione HIV+ risulta stabilmente con carica virale azzerata), dove inoltre l’aspettativa di vita del paziente HIV+ è maggiore che negli altri Paesi.
“Il prossimo scenario, particolarmente appetibile per i pazienti, porterà la possibilità di praticare trattamenti iniettivi ogni 4/8 settimane a lunga durata d’azione" – conclude la Dott.ssa Sozio - "senza effetti collaterali aggiuntivi, permettendo un’aderenza ottimale e una “libertà” anche concettuale dall’infezione. La ricerca è instancabile e il fermento continuo delle menti di chi ha dedicato la sua carriera a questo settore della medicina evidenziano che abbiamo ancora molto da migliorare, mirando sempre al vero e più ambizioso obiettivo che è quello dell’eradicazione”.