L’industria del vino è legata a doppio filo a figure emblematiche, che hanno saputo veicolare luoghi e prodotti d’eccezione al fine di promuovere le eccellenze che oggigiorno trovano posto nelle tavole, e nelle riviste patinate, più prestigiose di tutto il mondo. In Italia, tra gli altri, Angelo Gaja per il Barbaresco, Franco Biondi Santi per il Brunello e Arnaldo Caprai per il Sagrantino hanno contribuito in modo decisivo non solo alla crescita qualitativa di alcuni dei più celebri “rossi” della penisola, ma in modo particolare alla creazione della consapevolezza che la diffusione di un’immagine specifica che caratterizzi il vino prodotto in un determinato territorio sia determinante a livello internazionale per imporsi in un mercato sempre più agguerrito.
Un’immagine fatta di tradizione centenaria, di lavoro continuo in vigna e in cantina ma anche, e soprattutto, di luoghi profondamente vocati alla coltivazione della vite. In tal senso l’ultima frontiera del wine marketing consiste nella costruzione di cantine d’autore che veicolano la qualità del vino che viene prodotto al loro interno attraverso la carica iconica che le caratterizza. I grandi produttori incaricano i nomi più affermati dell’architettura internazionale, da Renzo Piano a Santiago Calatrava, passando per Massimiliano Fuksas e Marco Casamonti, di progettare cantine, “cattedrali del vino”, che testimoniano come anche la promozione del territorio si giovi del cosiddetto “effetto Guggenheim”, grazie al quale la città spagnola di Bilbao ha visto moltiplicare la sua attrattività turistica a seguito della realizzazione del celebre museo di Frank Gehry.
In questo contesto culturale la famiglia Lunelli, proprietaria delle Cantine Ferrari di Trento, ha affidato la realizzazione della nuova cantina della Tenuta Castelbuono a Bevagna (in uno dei cinque comuni del comprensorio del Montefalco Sagrantino Docg, di loro proprietà dal 2001) al celebre artista Arnaldo Pomodoro, che l’ha portata a termine, insieme all’architetto Giorgio Pedrotti, nel 2012. Tale operazione di promozione del territorio rappresenta uno dei casi più all’avanguardia nel panorama vitivinicolo umbro. In questo senso, come in ogni opera di architettura, il progettista che idea una cantina deve coniugare le esigenze peculiari delle operazioni che avvengono al suo interno con la propria sensibilità formale. Nel caso specifico l’esigenza di una temperatura pressoché costante degli ambienti trova una perfetta corrispondenza con la poetica dell’“incisione” dello scultore romagnolo. Infatti in tutta la sua produzione artistica emerge evidente la volontà indagatrice della materia che si esprime negli squarci dai bordi irregolari che caratterizzano le superfici esterne lisce di una gran parte delle sue opere (dalla Sfera con sfera del 1963 al Disco del 2011, passando per il Progetto per il nuovo cimitero di Urbino del 1973), e che disvelano un’anima interna scabra e tormentata.
In tale ambito l’edificio di Bevagna può essere considerato per certi versi come un vero e proprio esempio di landform architecture. A scala territoriale, laddove i movimenti del terreno (ideati dal paesaggista Ermanno Casasco) enfatizzano il ruolo iconico dell’edificio cantina e allo stesso tempo celano alcuni ambienti di servizio anch’essi in parte interrati (le rimesse agricole, i magazzini e un parcheggio) e a scala locale, laddove la produzione del vino (in particolare gli ambienti per la vinificazione, l’invecchiamento e lo stoccaggio) è organizzata in uno spazio scavato in corrispondenza della cupola. In questo senso emerge fin da subito il carattere contestualista dell’opera di Pomodoro, che si esprime attraverso la similitudine organica tra l’esoscheletro di una tartaruga e la copertura che protegge il foyer d’ingresso a pianta ellittica, a sua volta misurato dalla scala disegnata dallo stesso Pomodoro che, come un’architettura nell’architettura, definisce anche il desk di accoglienza per i visitatori.
Allo stesso tempo l’intradosso della cupola/carapace è fortemente scultoreo, ed è caratterizzato da uno scheletro in legno e rete metallica ricoperti con un intonaco rinforzato con fibre di vetroresina e rasato con intonachino di rame. Carapace è sorretto da un telaio di legno lamellare composto da un arco principale longitudinale e da una serie di archi secondari trasversali: la spina centrale è ricoperta esternamente con pannelli in vetroresina a cui è applicato un intonaco grigio piombo. Mentre la superficie dell’estradosso della cupola è rivestita in pannelli di rame la cui ricorsività è negata dalle profonde fratture che caratterizzano tutte le opere di Pomodoro. Tale copertura è raccordata con il terreno attraverso un ordine di bucature tamponate con vetri curvi inclinati. Esternamente l’edificio è segnalato paesaggisticamente da un totem alto 18 metri che si conficca nel terreno come un “dardo” di colore rosso.
Appare evidente la complessità polisemica dell’opera di Pomodoro, che ricompone la trama ondulata delle colline umbre laddove l’intervento dell’artista architetto è caratterizzato da un contestualismo iconico. In questo senso la spina dorsale lacera la copertura allo stesso modo in cui i filari delle viti disegnano il paesaggio collinare circostante, in quanto l’edificio scultura segnala la sua presenza non per contrasto con il contesto, ma attraverso i tagli incisi nella sua forma organica che riecheggiano l’attività operosa di chi lavora al suo interno.