Ho conosciuto Niccolò alla Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria Più libri più liberi di Roma, allo Stand della Casa editrice ‘dei Merangoli’. Mi hanno subito colpito la sua disponibilità, l’innata modestia, ma soprattutto la grande capacità di disegnare in pochi attimi personaggi compiuti. Con un sorrisetto umile e innocuo, mentre noi parlavano e lui sembrava ascoltare, dalla sua china uscivano delle figure molto suggestive. Mi hanno attratto le dediche che faceva a ogni libro venduto: un disegno, chiaro, compiuto, perfetto.
Allora mi sono interessata a questo giovane fumettista, illustratore e anche grafico molto ricercato. Non voglio qui elencare le sue tante attività, dalle mostre personali e collettive realizzate con quadri veri e propri, alle installazioni esposte al Palazzo Ducale di Genova, alle copertine create per I Buoni Cugini Editori, ai libri interamente illustrati, al suo graphic novel Il Mondo Nuovo. E nemmeno voglio riconoscere la sua abilità tecnica, la capacità di vedere quello che l’autore ha in mente e riuscire a tiralo fuori dall’inchiostro come un miracolo. Voglio, bensì, dare uno sguardo a quanto Pedro Salinas definirebbe “mas allà”, oltre.
Tutti noi scrittori di fiabe e favole vorremmo collaborare con illustratori e grafici capaci di completare e integrare il disegno mentale dei personaggi e della storia che abbiamo creato per riuscire poi a mettere sulla carta il risultato della nostra creazione. E ci entusiasmiamo se i loro disegni somigliano alla nostra idea, alla costruzione simbolica che intendevamo rappresentare, se le nostre parole dipinte sono state disegnate diventando concetti più facilmente intuibili. Niccolò è in grado non solo di fare questo, ma anche di aggiungere poesia, ironia e una propria personale interpretazione alle parole, che non possono raccontare in modo immediato quello che un disegno sa fare fin dai tempi dei graffiti delle caverne. E di certo lo ha aiutato la sua approfondita formazione che ha spaziato dall’Accademia di Belle Arti di Genova alla Scuola Chiavarese di Fumetto.
Partiamo dal graphic novel, intitolato, non a caso, in questi tempi dove la ‘New Age’ è quasi moda, Il Mondo Nuovo. Il saggio introduttivo di Glauco Piccione, Direttore Artistico della rivista Segnali di Confine, rivela l’odissea di un’eroina impegnata a combattere una congrega di morti viventi. Cosa rappresentano essi per Genova?
Il Mondo Nuovo è un’opera costituita da 64 tavole (tecnica mista su carta acquerelli e pennarello, formato 420x297 mm) realizzate con “tenui sfumature acquarellate” e “chiaroscuri esasperati e catacombali” utili per accentuare le sequenze di azione. Si tratta, infatti, di un fumetto senza “baloon”, ossia privo di dialoghi, caratterizzato soltanto da suoni onomatopeici. Solo l’invenzione visiva accompagna il lettore dentro la storia. Il nemico invisibile da combattere non è altro che l’incessante “mugugno” dei genovesi, un lamento continuo che li conduce a non prendere mai coscienza di se stessi e a essere incapaci di attuare “il cambiamento”. Questi morti viventi assalgono i sopravvissuti al nocivo fenomeno del brontolio che emerge da tutta la città. Dalla gente e dai luoghi stessi, degradati dall’incapacità di trasformazione, rappresentata da una “prospettiva claustrofobica, incombente dall'alto come un dardo acuminato che incute timore”. Non è facile scontrarsi contro questi esseri senza volontà, ma c’è tutto un mondo di superstiti orgoglioso di lottare per trasmettere una scossa positiva. L’essere più difficile da affrontare è quell’antagonista spietata che personifica la paura del cambiamento, un mostro deforme mosso da una cieca violenza e da un’intolleranza che conduce alla rovina.
E, quindi, come deve essere questo “Mondo Nuovo”, un mondo senza lamento e senza paura di cambiamento?
Se i genovesi, anziché perdere infinite energie a lamentarsi, utilizzassero le loro capacità creative per affrontare il degrado - anche se non è facile liberarsi da una realtà ormai cristallizzata -, potrebbero acquisire forza e fare un salto nell’ignoto per incominciare a illuminare la loro paura e la loro strada.
Sei autore della visual story del romanzo I Cercatori di Pace di Laura Costantini per la Casa editrice “dei Merangoli”, su cosa hai incentrato la tua attenzione per rappresentare questi Cercatori di Pace? Cosa ti ha interessato del leggendario Mutato?
La Guerra è sempre una condizione che si genera da tanti piccoli conflitti, da una miriade di innocui ‘mugugni’, dall’insoddisfazione che, in ogni società, prolifica nei vari gruppi sociali per fatti spesso davvero banali. Insomma mi ha subito colpito il fatto che, in 518 anni di guerra, nessuno avesse memoria di come e perché fosse iniziata. Poi ho posto l’attenzione sul fatto che i quattro Cercatori non si conoscessero fra loro perché provenivano da stati belligeranti. Ho trovato, inoltre, nelle mie corde il fatto che, nel romanzo, magia e tecnologia si mescolassero: l’integrazione tra questi due mondi è un elemento di equilibrio per trovare la pace in se stessi e riverberarla poi nel mondo. Il leggendario Mutato, naturalmente, in quanto depositario di tutta la conoscenza del mondo, è l’unico capace di sconfiggere quella sorta di prima cellula oncologica responsabile delle cause iniziali di una infinita, ingiustificata quanto inutile Guerra.
A chi ti ispiri per il linguaggio usato nelle tue illustrazioni?
Il mio primo amore è stato Ferec Pintèr, una delle voci più complete della grafica contemporanea, mi sono imbattuto nelle sue illustrazioni per I racconti brevi di uno sceneggiatore statunitense, Ed McBain, quando avevo solo 12 anni e mi sono subito innamorato di lui. Del resto, anche se spesso non si è consapevoli, tutti lo conosciamo, abbiamo a casa per lo meno uno di quei volumi celebri dedicati al Commissario Maigret oppure una di quelle poetiche copertine che lui ha prodotto per gli Oscar Mondadori. Era nato ad Alassio da un padre ungherese che gli aveva trasmesso l’amore per l’arte del disegno, ma nella sua attività ha talmente sublimato il disegno da essere riconosciuto come “L’illustratore perfetto”, forse per la sua raffinatezza e la sua poesia.
Se nelle illustrazioni e nelle copertine che disegni per I Buoni Cugini Editori ti ispiri a Pintèr, chi ti ha influenzato nel tuo lavoro da fumettista?
Milton Caniff, che ha ispirato tutti i più grandi fumettisti, senza dubbio, per la sua abilità a creare storie intriganti e personaggi moderni. Proprio come il suo Steve Canyon, il pilota che ha incarnato il prototipo dell’eroe statunitense, impegnato sempre in prima linea nei conflitti più importanti che ci sono succeduti dopo la Seconda guerra mondiale, dalla Guerra in Corea a quella del Vietnam. Ho avuto una grande passione, poi, per Hugo Pratt, per il suo personaggio più noto, Corto Maltese. Per concepire le avventure di Corto, un marinaio, un antieroico avventuriero, Pratt, ha dovuto costruire una biografia come se fosse un personaggio reale, che in qualche particolare gli somiglia di certo. La fortuna di questo personaggio senza troppe qualità è dovuta alla sua ricerca di un ambiente, isola del tesoro dopo isola del tesoro, libero da schemi e confini, dove vale davvero la pena di immergersi per realizzare i propri sogni. Nella sua prima stesura di Corto, La ballata del mare salato, ci sono tutti gli ingredienti che mi hanno sempre affascinato: l’intreccio di piani narrativi introdotti dalla voce fuori campo dell’Oceano Pacifico come il narratore onnisciente de I Promessi Sposi.
Il fatto che Corto Maltese è un idealista, romantico e riservato, una specie di pirata che segue solo il suo codice etico interiore, insomma un personaggio che anziché salvare il mondo si limita a salvare al massimo se stesso. E poi la concomitanza di personaggi che hanno anche il loro doppio negativo e che si integrano a vicenda. Senza considerare il fatto che leggere Corto Maltese è come addentrarsi nel mondo della letteratura e della poesia. Del resto Pratt aveva dichiarato: «Nella letteratura quello che mi tocca maggiormente è la poesia perché la poesia è sintetica e procede per immagini… il fumetto è un mondo d’immagini, si è obbligati a coniugare due codici e, conseguentemente, due mondi. Un universo immediato attraverso l’immagine e un mondo mediato attraverso la parola». Oltre a Pratt, mi ispiro anche al lavoro della coppia Berardi e Milazzo, creatori di quel trapper introverso che somiglia a Robert Redford, oppure a Frank Miller, per la sua capacità di reinventare il mondo dei supereroi portandolo in una dimensione più adulta. Mi ha influenzato anche Alex Toth nel suo lavoro di trasposizione a fumetti di film e telefilm come quando ha disegnato Zorro per la Disney. Del resto a livello stilistico espressionista provengono tutti da Caniff.
Le tue mostre sono molto interessanti: ci sono opere realizzate in omaggio a Jimi Hendrix, Jim Morrison, David Bowie e dipinti in cui ti ispiri a eventi tragici come il crollo del Ponte Morandi o delle Torri Gemelle, cosa muove la tua ideazione?
Dovresti comprenderlo dai titoli Spazi rivoluzionari, Nuovo astratto, mi piace sperimentare colori e forme, utilizzare vari materiali, scomporre l’oggetto in molte sfaccettature e ricomporlo seguendo molteplici punti di vista, a volte con una tecnica che somiglia a quella cubista, a volte simulando i vari schermi che si possono aprire in un computer. Poi mi piace osservare gli eventi catastrofici e darne una lettura straniante. Sulle tinte a volte accese, a volte cupe, trasferisco le emozioni che mi hanno colto al momento dell’accaduto e nel contempo cerco di ricavarne un insegnamento per l’avvenire.
Insomma, Niccolò, ha già sperimentato molte tecniche, si è cimentato in svariate forme di disegno, ma soprattutto si è fatto contaminare da molti artisti, riuscendo a integrare i loro insegnamenti in un suo linguaggio personale molto originale. È partito dal fumetto, una forma culturale inizialmente molto marginale, per arrivare, attraverso di esso e di tutte le altre attività che lo appassionano, a creare uno specchio deformante della società contemporanea senza giudizio e senza lamento, magari distorcendo la realtà con il suo sorriso benevolo e compassionevole.