Sarà proprio “giocoso” (pieno com’è di “giochi” sportivi) l’anno che da poco meno di un mese abbiamo cominciato a conoscere?
La sua “giocosità” fa perno sulle molte manifestazioni sportive in calendario intitolate proprio ai “giochi”: ci sono infatti i “Giochi europei”, in programma in giugno a Minsk (Bielorussia), i “Giochi panamericani” (che si svolgeranno a Lima, Perù, dal 26 luglio all’11 agosto) e i “Giochi africani”. Si tratta, naturalmente, di Giochi che col gioco normalmente inteso hanno poco o nulla da spartire, e che paiono piuttosto scimmiottare la dizione “giochi olimpici” di ben altro lustro e spessore.
Che comunque lo sport sia un pretesto per motivare interessi sociali, economici, finanziari, geografici, addirittura politici (e non ci si riferisce solo all’etimologia della “polis” da cui prende le mosse) lo si è toccato con mano anche di recente, quando si è assistito alla lunga, per certi versi non nuova, ma cionondimeno istruttiva, querelle relativa alle candidature italiane delle prossime sedi dei Giochi olimpici, estivi e invernali, da Milano a Cortina, da Torino a Roma, passando naturalmente per i dissidi, i bisticci, i pasticci tra i partiti e al loro stesso interno.
Querelle che comunque ci pare tutto sommato poca cosa, rispetto alla mai sopita questione relativa alla gestione, nella forma e nella sostanza, dello sport in Italia, gestione che il recente battibecco (lo vogliamo chiamare proprio così?) Giorgetti-Malagò ha riportato d’attualità, ricordando a cronisti attenti e memori ancorché incanutiti, un pressoché analogo “battibecco” tra il presidente del Coni di allora e il massimo responsabile di un ente di promozione sportiva, timoroso, quegli, di vedersi sfilare dalle mani la gestione dello sport nelle mille sfaccettature che la legge istitutiva assegnava al Foro Italico.
Si era nel 1973, protagonisti Giulio Onesti, presidente (e che presidente!) del Coni, e Arrigo Paganelli, delegato del Centro nazionale Libertas, movimento sportivo che faceva capo alla Democrazia cristiana (Delegato, giova ricordare, era la definizione di allora per indicare il responsabile del settore: il presidente di oggi, come si capisce). Anche allora, ricordiamo, inizi anni Settanta, il Coni temeva di essere esautorato dal ruolo di primo interlocutore che la legge istitutiva del 1942 gli conferiva e di fatto gli rinnovava malgrado le variazioni che quella legge aveva nel tempo subito. Punto centrale (di allora e, ci pare di capire, di oggi) la legislazione in materia di sport, un “caposaldo” sotto le cui insegne si registrano: lo sport come evento agonistico tout court e il tempo libero, l’economia e la salute, la politica e il divertimento, la socialità e la cultura.
Altri tempi, ovviamente, altre disposizioni di legge, altri scenari e interpreti, ma copione sostanzialmente immutato. E che – stando a quanto siamo riusciti a capire nei commenti a caldo di qualche protagonista e di qualche osservatore – sembra non essere destinato, almeno in breve, a una chiarificazione. Certo, la quadratura del cerchio, giusta la definizione datane dal resocontista del Corriere della Sera, alla fine verrà trovata. Ma è sulla sostanza della quadratura e sui tempi che ad oggi si brancola nel buio. Senza dimenticare che il primo approccio del mondo grillino con lo sport fu abbastanza traumatico, con il “no” della sindaca Raggi a qualsiasi ipotesi di candidatura di Roma ai Giochi Olimpici di un futuro pure assai lontano.