131 anni fa nasceva la prima donna a correre nel Giro.
Ma dove vai bellezza in bicicletta, così di fretta pedalando con ardor? Le gambe snelle tornite e belle m’hanno già messo la passione dentro al cuor!
La dodicesima edizione del Giro d'Italia 1924 si svolse in dodici tappe, dal 10 maggio al 1° giugno 1924, per un percorso totale di 3613 km. Alla vittoria dell'italiano Giuseppe Enrici, si aggiunse un evento straordinario, per la sua unicità: alla corsa partecipò l'unica donna che, nella storia del Giro, abbia mai gareggiato contro i colleghi uomini: Alfonsina Strada, partita con il numero 72.
Ma per quale motivo, tanti anni dopo, desideriamo rievocare e raccontare la sua storia?
A parte il fatto che il Giro d’Italia è ora in corso e che sono emiliana, ne parliamo perché questa donna, presto soprannominata "il diavolo in gonnella", rappresenta la ribellione, il senso di sfida a sé stessa, ai tempi e agli uomini, il simbolo dell’emancipazione femminile, l'audacia, la tenacia e il coraggio di molte donne pioniere che hanno aperto, a chi le ha succedute, strade, alla loro epoca, precluse al sesso femminile. Oggi che si parla di gender balance, ci sembra molto attuale e modello per tante. Donne che, a volte (anche spesso, mi sbilancio), sono affiancate da uomini intelligenti che le supportano nell'amore, nel rispetto, nella fiducia e nella stima. E che credono in loro.
Foto in bianco e nero, un po' sbiadite, di una donna piccola e muscolosa, con i capelli corti e capricciosi a incorniciare un viso dal sorriso accennato, ci riportano, allora, indietro nel tempo. Un tempo che non ritorna ma che ci insegna sempre, come solo la storia può fare.
Alfonsina era nata a Riolo di Castelfranco Emilia, nel modenese, nel 1891, terza di nove figli, e, già nel 1907, esordiva in pista, con la bicicletta del padre contadino, Pietro Morini, dono da lui fattole con amore, in mancanza di giocattoli. Tuttavia, nel piccolo paese, questa passione era mal vista, le chiacchiere si rincorrevano, la famiglia si oppose alla volontà della giovane e decise che era il momento di placare ogni velleità: ecco allora il matrimonio, a 24 anni. Ma il marito, il cesellatore Luigi Strada, era un uomo intelligente, moderno, aperto, senza pregiudizi, che, anziché ostacolare la giovane moglie, l'appoggiò totalmente. Basti ricordare che il suo dono di nozze fu una bicicletta nuova fiammante, con i manubri ricurvi all'indietro per gareggiare; l'anno successivo la coppia si trasferì a Milano e Alfonsina cominciò ad allenarsi regolarmente sotto la guida del marito.
Nel 1924, Emilio Colombo, direttore della Gazzetta dello sport, ammise Alfonsina al Giro d'Italia.
(…) Ai tempi di Girardengo, quando il ciclismo era lo sport forse più seguito d’Italia, una donna emiliana fu la prima ad abbattere il muro che vietava l’accesso alle gare di ciclismo alle donne. (…)
Fu un successo che Alfonsina consolidò durante la gara, non tanto per i risultati ottenuti, quanto per aver saputo dimostrare che anche le donne potevano compiere la grande fatica del Giro (e non solo). Partì con la sua bicicletta da uomo, con i suoi calzoni alla zuava, e, donna, prima ancora che atleta, riuscì ad arrivare fino a Napoli. Nella tappa L'Aquila-Perugia, per la pioggia e il forte vento, Alfonsina arrivò fuori tempo massimo e fu messa fuori gara. Ma Emilio Colombo, che aveva capito la curiosità del pubblico per la prima ciclista della storia e che la stimava profondamente, le consentì di seguire la corsa pagandole, personalmente, alloggio e massaggiatore.
La donna continuò a seguire il giro fino a Milano, osservando stessi orari e regolamenti dei corridori. Partiti da Milano in 90, i corridori vi tornarono in 30 e di questi faceva parte anche Alfonsina, accolta con applausi, ovazioni e fiori. Negli anni successivi le fu negata l'iscrizione al Giro, che però seguì ancora per lunghi tratti, conquistando l'amicizia e la stima di uomini come Cougnet, Giardini e Girardengo oltre che di molti altri giornalisti e corridori famosi.
Rimasta vedova, si risposò a Milano nel 1950, con un ex ciclista, Carlo Messori, con il quale continuò nella sua attività sportiva fino a che non decise di abbandonare lo sport, ma non la bicicletta (quella mai), che continuò a usare come mezzo per recarsi al lavoro, indossando sempre un'ampia e abbondante gonna pantalone. E rimase sempre in quel mondo perché, con lui, aprì a Milano un negozio di biciclette con annessa una piccola officina per le riparazioni. Alla morte del consorte, Alfonsina rimase sola a curare la casa milanese e l'officina. Coppi, Bartali e Magni andavano spesso a salutarla al negozio. Quando iniziò a sentirsi stanca, acquistò una Moto Guzzi 500, rossa. Morì nel 1959, a 68 anni, mentre cercava di farla ripartire. Sulla tomba di Alfonsina, a Cusano Milanino, una bicicletta di bronzo ricorda la passione di una vita intera.
Malgrado fosse lei la "bellezza in bicicletta" del Trio Lescano degli anni '50, l'Italia e il mondo sportivo l'avevano e l’hanno dimenticata in fretta. A ricordare le sue imprese, in tempi più recenti, la band italiana Têtes de Bois le ha dedicato una canzone, Alfonsina e la bici, all'interno dell'album Goodbike, dal quale è stato tratto anche un video diretto da Agostino Ferrente. "A una stella che mi guardava dalla cucina, ho dato il nome di Alfonsina" canta il leader del gruppo Andrea Satta (artista ma anche pediatra a Roma), mentre Margherita Hack in officina è alle prese con manubri, catene e telai. Si è parlato di Alfonsina anche grazie a Paolo Facchinetti e al suo libro Gli anni ruggenti di Alfonsina Strada. Il romanzo dell'unica donna che ha corso il giro d'Italia assieme agli uomini, dove si ricuciono i frammenti della vita della ciclista e si ripercorrono le tappe di quello storico Giro d'Italia del 1924; o al libro di Simona Baldelli, Alfonsina e la strada; di essa trattano anche alcune belle pagine del libro a fumetti, Cattive Ragazze, di Assia Petricelli e Sergio Riccardi.
Novanta-due anni dopo da quel Giro, vogliamo ricordarla sorridente fra le sue amate biciclette.