È cresciuto a suon di Butterfly e Traviata, La Fenice a Venezia è stata la sua prima “casa”, ha fatto tre volte il giro del mondo lavorando con i più illustri nomi del panorama lirico internazionale, ma ogni volta che i suoi spettacoli vanno in scena gli occhi tornano a brillare e l’emozione è immensa.
Stiamo parlando di Flavio Trevisan il cui viscerale amore per il teatro, l’indiscusso talento già palese in tenera età e la ferrea volontà, lo hanno portato alla ribalta mondiale. Le sue doti innovative colpiscono Antonio Orlandini, docente di scenografia all’Accademia di Belle Arti di Venezia, quando aveva appena diciotto anni e lo conducono a studiare regia al Centro Sperimentale di Roma con Roberto Rossellini, uno dei più importanti registi della storia del cinema italiano.
Maturato tra personaggi del calibro di Maria Callas, Anna Magnani, Gina Lollobrigida, Alberto Sordi, Arnoldo Foà, debutta a soli ventidue anni al Teatro "La Fenice", con un’edizione della Beatrice di Tenda di Bellini originale e molto apprezzata. Il successo è immediato e viene chiamato dai più importanti teatri italiani e stranieri che fanno emergere il suo stile fatto di contenuti armoniosi, intensa espressività e la capacità di profondo coinvolgimento che riesce a creare nel pubblico. Per lui si aprono le porte anche in America dove, chiamato dal M° Nicola Resigno, inaugura la stagione lirica del City Opera House di Dallas. Un percorso professionale in continua ascesa che lo porterà allo Staatsopera di Francoforte, al Teatro Colon di Buenos Aires, al City Opera House Toronto, allo Staatsopera Pretoria, al Bunka Kaikan Tokyo, al Teatro Real Madrid, al Gran Teatre del Liceu Barcellona, allo Stadttheater Klagenfurt, al Teatro Teresa Carreno Caracas, al Seoul Art Center, per citarne solo una minima parte.
Con un flash-forward indispensabile per contenere le sue innumerevoli esperienze arriviamo a fine dicembre, quando è tornato al Toniolo di Mestre dopo aver magistralmente diretto i professionisti della storica Compagnia Italiana di Operette ne La Vedova Allegra, per poi partire alla volta di Tokyo per la Tosca e Roberto Devereux. Ma per scoprire qualcosa in più di questo artista così conteso e nel contempo dotato di grande senso di umanità e modestia lo abbiamo incontrato e intervistato.
A scuola, da bambino, era uno studente modello studioso e diligente?
Non studiavo quasi mai, ma ero molto attento in classe e registravo mentalmente tutto quello che veniva detto durante la lezione, pertanto, avendo un’ottima memoria riuscivo a cavarmela bene.
Come inizia il suo percorso artistico?
All’età di sei anni mio padre, essendo appassionato di fisarmonica, mi iscrisse a un corso per imparare a suonare questo strumento e non mi so spiegare come sia successo, amavo già la musica, ma divenni velocemente un enfant prodige con la fisarmonica, tant’è che a soli otto anni debuttai come solista a un concerto al Teatro Toniolo di Mestre. Tuttavia, dopo numerosi concerti in tutt’Italia, all’età di diciotto anni non ne volli più sapere, il mio interesse si stava spostando verso qualcos’altro. Iniziai l’Accademia delle Belle Arti e lavoravo, non ancora maggiorenne, con Antonio Orlandini che curava le scenografie della Fenice. Fu allora che andai a Roma a studiare regia al Centro Sperimentale di Roma presieduto da Roberto Rossellini, il quale, dopo un percorso al suo fianco, disse rivolgendosi a Floris Luigi Ammanniti durante un pranzo al Lido di Venezia in presenza di Maria Callas: “Devi solo metterlo in palcoscenico a fare il regista”. Lì fu decisa tutta la mia vita.
Il suo talento l’ha premiata, quanto incide invece la fortuna nella vita per ottenere il successo?
Mi ritengo un uomo baciato da Dio. La fortuna ha una percentuale molto alta nella svolta della propria vita. Personalmente ho conosciuto artisti di grandissimo talento ma il cui percorso non si è tramutato in successo perché purtroppo non hanno avuto la fortuna di aver incontrato chi credesse nelle loro doti e riuscisse a lanciarli. La mia fortuna giunse quando avevo solo ventidue anni. In quel periodo La Fenice era in una situazione di grande difficoltà, il regista si era ammalato e occorreva sostituirlo con qualcuno che ne fosse all’altezza. I registi importanti all’epoca erano Pierluigi Pizzi, Faggioni, Ronconi... L’allora sovrintendente, con determinazione, propose al consiglio di presentare invece un perfetto sconosciuto assumendosene ogni responsabilità. Quello “sconosciuto” ero io. Subentrai in un contesto in cui l’allestimento era già stato predisposto, diedi le dritte che ritenevo opportune per la scenografia e consigliai il mio costumista di fiducia Eugenio Girardi. La Beatrice di Tenda di Bellini fu un successo strepitoso.
I meriti artistici l’hanno poi portata a celebrare il centenario di Cavalleria Rusticana all'Arena di Verona e il successo straordinario le ha consentito persino la citazione nell'Enciclopedia Musicale Sonzogno. Come ricorda quell’esperienza?
Mi tremavano le gambe, ma allo stesso tempo affrontavo sempre tutto con grande naturalezza e anche con un po’ di inconsapevolezza. Avevo trentotto anni, volli uno spettacolo diverso dalla tradizionale rappresentazione folkloristica del Sabato Santo, eliminando gli orpelli dalla tragedia mascagnana e mettendo in drammatico rilievo la tragedia umana.
Verso quale dei personaggi con i quali ha lavorato ha provato più stima?
Katia Ricciarelli per me è come se fosse una sorella, ho amato moltissimo Monserrat Caballé per la sua ironia, con lei ho fatto ad esempio Bohéme, Norma, poi con Renata Scotto, diva del Metropolitan, ho coltivato un bellissimo rapporto professionale e mi diceva che era un peccato che non ci fossimo conosciuti prima. Un grande amore artistico è stato poi quello per Josè Carreras, ma anche quello per Schirley Verrett.
Qual è stata l’esperienza professionale che le ha lasciato il segno?
La Tosca con Virginia Zeani, mia prima interprete che ha debuttato nel title role e che non dimenticherò mai.
Dopo anni di carriera eccezionale con esperienze nei più grandi teatri del mondo, l’emozione per il suo lavoro è ancora viva o nel tempo subentra una sorta di tranquillità?
Non bisogna credere agli artisti che dicono di non sentire tensione o che non sono scaramantici. L’emozione in realtà è sempre grandissima, sempre la stessa. Così è per me.
Che consigli darebbe a un giovane che vuole avvicinarsi al mondo del teatro?
Provare un amore smisurato per il teatro. Ognuno ha dentro di sé delle inclinazioni, delle passioni che vanno coltivate per poter riuscire a raggiungere un traguardo. Poi ovviamente occorrono serietà, sacrificio, abnegazione, voglia di imparare ogni giorno cogliendo con umiltà ogni insegnamento da chiunque. Alla base di tutto ci dev’essere sempre una grande umiltà nei rapporti umani. Le persone di più alto livello professionale sono in realtà anche le più umili. Siamo dei granelli di sabbia che devono fare il proprio lavoro con professionalità e umiltà perché bisogna essere ricordati nella maniera migliore, anche per la propria personalità.