Il centenario della Prima guerra mondiale, che abbiamo raccontato negli ultimi anni sotto varie sfaccettature, non può non ricordare anche un evento tragico correlato al conflitto. La fine della famiglia di Nicola Romanov, l’ultimo zar di Russia.
Durante la Prima guerra mondiale, infatti, scoppiò in Russia la rivoluzione che porterà lo zar Nicola II ad abdicare. Finirà l’impero per lasciare spazio a forti dissidi interni, culminati in una sanguinosa guerra civile, e poi nella nascita dell’URSS nel 1922. Dopo l’abdicazione, Nicola Romanov e la sua famiglia, composta dalla moglie Alessandra nipote della regina Vittoria, le quattro figlie Anastasija, Tat’jana, Ol’ga e Marija e dal figlio Aleksej, rimasero sotto custodia dei rivoltosi e trasferiti di luogo in luogo.
La famiglia imperiale era invisa per molti motivi. Nicola II era un indeciso cronico, rimaneva affascinato dai pareri degli altri per nascondere di non saperne portare avanti con forza di propri. La corte era un colabrodo di soldi che non venivano mai investiti per il popolo e, non ultimo, a corte aveva iniziato a vivere un personaggio losco, che in effetti sembrava detenere il vero potere: Grigorij Rasputin. Mistico di origini contadine, influenzava soprattutto la zarina e il risentimento nei suoi confronti era così forte da arrivare al suo omicidio nel 1916, quasi un funesto presagio. Rasputin si occupava della salute malferma dell’erede al trono Aleksej, emofiliaco e costretto a vivere praticamente sotto una campana di vetro.
Non sarà così durante la prigionia della famiglia, trascorsa tra Carskoe Selo, la località siberiana di Tobol’sk, nella casa Ipat’ev di Ekaterinburg. Sarà proprio in quella casa che nella notte tra il 17 e il 18 luglio 1918, la famiglia verrà trucidata, un’esecuzione in ottemperanza alle decisioni del presidio del soviet regionale che adempiva ai voleri della rivoluzione. Questo decretava che l’ex zar, per i crimini commessi contro il proprio popolo, dovesse essere giustiziato con tutta la sua famiglia. Subito dopo l’annuncio della decisione da parte di Jurovskij che aveva organizzato la strage nella cantina dell’abitazione, le dodici guardie presenti cominciarono a sparare sulla famiglia e i presenti, il medico, la cameriera, il cuoco e il domestico. La casa era circondata da un’alta palizzata che nascondeva la vista agli ospiti e che nascose l’orrore.
Per anni il luogo fu sede di un museo della rivoluzione, fino alla demolizione nel 1977. Ora sul luogo dell’eccidio sorge la chiesa del Sangue, consacrata nel 2003. A lungo, anche grazie al cinema che pescò a piene mani nella triste storia, si credette che almeno una persona sopravvisse al massacro, Anastasia la figlia diciassettenne di Nicola. In realtà, negli anni Settanta del secolo scorso, alcuni ricercatori, in gran segreto, cercarono i resti della famiglia e la fossa comune dove i cadaveri vennero sepolti in tutta fretta, dopo averli trasportati su un carretto dalla casa. Solo nel 1991, al crollo dell’URSS, fu possibile lo scavo ufficiale che portò alla luce i resti di cinque Romanov e quattro membri della servitù, mentre i resti dello zarevic e di Marija furono ritrovati in una seconda tomba scoperta nel 2007.
Il test del DNA dimostra che i resti sono di stretti parenti e i dati corrispondono alle testimonianze, anche confuse, che ci sono pervenute. I teschi sono poi stati sovrapposti alle fotografie e confrontati con le ricostruzioni effettuate sui resti ossei da esperti forensi. Non ci sono dubbi: purtroppo tutti i Romanov vennero assassinati in quella triste notte, a seguito di un processo fittizio, sommario e irregolare.