Il rito del Natale è la festa più lunga dell'anno e appartiene alla tradizione di molti popoli. Numerosi scrittori italiani e stranieri, autorevoli e non, hanno cercato di descrivere gli italiani e la loro innata passione per la tradizione. La cucina senza dubbio fa parte della tradizione. “...specialmente le feste di Natale sono giorni famosi per le scorpacciate. Sono giorni di cuccagna universale” scriveva Goethe nel suo libro intitolato Viaggio in Italia.
Curiosando nel nostro passato osserviamo come alcune usanze della tavola si siano tramandate fino ad oggi e come, ogni anno, le stesse usanze vengano orgogliosamente riproposte nelle case in occasione di pranzi e feste. Stiamo parlando delle portate tradizionali, gli antipasti, i primi, i secondi, i contorni, i dolci, i vini, i liquori e le leccornie che in questo periodo di fine anno sempre caratterizzate dall'opulenza, dall'abbondanza e dallo spreco.
Questo era un modo per propiziarsi un anno favorevole, così come per lo stesso motivo bisognava apparecchiare con cura per rendere più piacevole la permanenza a tavola dei commensali che chiacchieravano allegramente gustando la sequenza delle portate. In questo periodo il pane, la carne e i dolci rendevano speciali le tavole di tutte le classi sociali, ma bisognava cucinare secondo la tradizione locale.
Il pane doveva essere di qualità e di una forma speciale, più ricco, più grande e più alto di quello consumato durante l'anno e doveva servire per nutrirsi fino all’Epifania. Insieme al pane, la carne e il pesce erano gli alimenti che rappresentavano l’abbondanza. Il cappone, ad esempio, era il piatto principale delle tavole del Nord Italia, ma erano i dolci a base di miele a simboleggiare maggiormente l'abbondanza, perché si credeva che il miele propiziasse la dolcezza del nuovo anno.
Le carni, farcite o in crosta, bollite o arrosto, sono ancora oggi una costante dei pasti di fine e inizio anno, così come i legumi, le granaglie e la frutta secca, a indicare il desiderio di prosperità e fecondità. In particolare, l'analisi dei modi di cucinare la carne ci aiuta a spiegarne il significato simbolico durante i secoli. Da una parte troviamo la cottura arrosto che riguarda la selvaggina e la cacciagione, ed è un tipo di cottura che non richiede altri elementi eccetto il fuoco sul quale cuocere direttamente la carne. Dall'altra troviamo la pentola, che era un modo per non disperdere i succhi nutritivi delle carni e concentrarli nell’acqua.
L’impiego della pentola con l’acqua era quasi indispensabile quando si trattava di cucinare carni conservate col sale, come lo erano quelle consumate nei giorni di festa dai contadini, mentre la carne fresca era segno di privilegio sociale. Nell’opposizione arrosto/bollito e fuoco/acqua osserviamo che il controllo della pentola che bolle sul focolare domestico compete alla donna mentre la gestione del fuoco che arrostisce la carne è lasciata all'uomo.
L'uso del fuoco ricorre anche nei festeggiamenti praticati all'aperto e al chiuso. Oggi i falò e le fiaccolate natalizie, ma anche i fuochi artificiali, le candele e le luci dell'albero derivano dal culto del sole. Il Natale infatti coincide con il solstizio d'inverno, momento in cui il sole tocca il punto più basso dell'orizzonte e ricomincia il suo ciclo. Anticamente era un obbligo divertirsi e abbandonarsi agli eccessi della festa, era un rito di propiziazione dell'intero gruppo per far sì che il sole rinascesse dopo i mesi invernali. Pensate che chi veniva meno a tale obbligo costituiva un pericolo per la sicurezza dell'intera comunità.
Fortunatamente tante azioni che prima erano di dominio quasi esclusivo dell'uomo ora vengono gestite senza distinzione di genere, all'insegna di una tradizione al passo coi tempi che unisce i gusti e le persone e si concede qualche gustosa contaminazione nella magia delle feste.