Dicembre è il mese del tempo per la casa, la famiglia, il passo lento ma è anche il tempo della fragilità.
L’autunno inoltrato cede il passo all’inverno. Le giornate ormai cortissime si fanno ingoiare dal buio e cresce la voglia di starsene raccolti cercando calore, focolare, tempo per l’ascolto.
Dicembre è il mese delle favole, lette davanti a un camino o in un cerchio di persone care la notte di Natale. Dicembre ha il passo lento dei mesi dell’attesa che non hanno fretta e sanno godere nella fiducia di nuove promesse. Niente a che fare con il gaio e variopinto manifestarsi della primavera e neanche con lo sguaiato e squillante maturar di frutti estivi sotto il cocente sole luglierino.
Gli schiamazzi delle sere estive hanno fatto posto ai primi falò in cui ci si trova a sbucciare castagne e nei quali il languore autunnale ha iniziato a infilarsi nei nostri giorni. Alla baldanza estiva si sostituisce un silenzioso senso di fragilità, il tempo del silenzio, dell’ascolto, dell’invisibile.
È un mese fragile, dicevo, come fragili sono le nostre emozioni, che si rompono facilmente e le nostre ragioni di vita, le nostre speranze e le nostre inquietudini, le nostre tristezze e i nostri slanci del cuore. Sono fragili e vulnerabili, la timidezza, la gioia, il sorriso e le lacrime e lo sono anche il silenzio e la speranza.
Sono fragili e si dissolvono facilmente, anche le nostre parole: le parole con cui vorremmo aiutare qualcuno e quelle che vorremmo ricevere. Si dissolvono, ecco. Le parole nascono dal silenzio e muoiono nel silenzio, tuttavia le parole non sono fragili quanto il silenzio che parla con il linguaggio dei volti, degli sguardi e delle lacrime o del sorriso, ed è un linguaggio che si coglie nei suoi significati profondi solo quando è accompagnato dalla luce dell’interiorità.
Solo un dialogo continuo e sincero con la fragile evanescenza del silenzio, ci consente di cogliere le ferite dello spirito ,che sono inesprimibili a parole e invisibili agli occhi della ragione, e di curarle. Solo nel silenzio si colgono fino in fondo gli abissi della fragilità che sono in noi e negli altri da noi, e si impara ad accoglierli nelle loro luci e nelle loro ombre.
Ma ahimè, la fragilità è temuta dai più, derisa e ridicolizzata dal sistema, nascosta e camuffata da chi non si ama e non si accetta così com’è per paura di non essere abbastanza. In realtà io credo che la fragilità sia una preziosa risorsa, che in lei risiedano i semi del cambiamento della crescita, dell’apertura al Mistero perché e dalle sue crepe che nascono i fiori dello sbocciare a nuova vita.
A me piace la fragilità. Quella che traspare da un viso che arrossisce o da un nodo che stringe la gola e soffoca le parole che avremmo in cuore di dire. C’è forza ed eleganza nella fragilità, la stessa forza ed eleganza che vedo in chi incontra e accompagna se stesso nella vita e nel farlo manifesta la sua sua viva bellezza. Una bellezza che non necessariamente è aderente a canoni o aspettative ma è profondamente somigliante alla persona che la indossa e che abita con fascino l’audacia di chi sa esprimersi per quello che è.
In un mondo che ci vuole omologati e infelici, l’arte di essere fragili è un modo di manifestarsi rivoluzionario perché capace di trasformare completamente il corso della nostra esistenza, mettendoci in contatto pieno e diretto con la nostra intima natura e quindi con potenzialità e risorse.
Dicembre è fragile, dicevo, perché invita alla lentezza, all’intimità della casa, allo starsene con se stessi ad ascoltare i movimenti del cuore accendendosi un fuoco attorno al quale scaldarsi un po’. Dicembre è anche il mese della fiducia perché nel buio dei suoi giorni il mito di Demetra ci invita a custodire nel cuore la luce che è sparita dai giorni e che impiegherà alcuni mesi a tornare. Va da sé che questo significa che nella fragilità abitano forza e tenacia, fede e amore incondizionato capaci di superare il visibile per affidarsi all’invisibile con profondo e generoso abbandono.
Dicembre è silenzioso e felpato, riservato e intimo, preferisce le candele alla luce elettrica, il fuoco del camino e il caldo di un abbraccio per scaldarsi, parla poco, sorride nel cuore, si abbandona nelle risa dei bambini, profuma di biscotti alla cannella, sa di vischio e resina d’abete, regala i natali a curiosi viaggiatori del mondo che scalpitano nel segno del focoso e scapestrato Sagittario, culmina con un rito di rinascita, una profonda promessa di vittoria interiore della Luce sulle tenebre e chiude un anno per prometterne uno migliore.
A me piace la fragilità, fa rima con onestà e strizza l’occhio alla possibilità.