Quando si entra da Cucchi, tra profumi inebrianti di pasticceria e quello stile delle sale, così pieno di storia e di cura nell’arredo, sembra di respirare un’aria parigina. E l’esposizione dei grandi manifesti poetici che arricchisce di cultura le pareti del caffè, fondato nel 1936 da Cesare Cucchi, “è un invito esplicito a prendersi una pausa, un invito alla riflessione e a viaggiare sull’onda della poesia” osserva Vittoria Cucchi, con la sorella Laura alla guida del locale e terza generazione di una delle imprese famigliari che hanno fatto grande Milano.
L’iniziativa della mostra, allestita fino al 14 febbraio 2019, è nata da Moreno Gentili, un esempio di eclettismo creativo a tutto tondo perché è scrittore, artista, designer ed è stato anche fotografo. E l’idea ha conquistato le due titolari in piena sintonia con l’artista. “Abbiamo sempre avuto una clientela molto ampia, persone interessanti e diverse come intellettuali, imprenditori, manager e artisti attirati dalla ricchezza e dalla bellezza di questo posto e nel tempo è nata l’idea di coniugare l’arte del caffè con la bellezza delle mostre dedicate all’universo artistico, dalla pittura alla fotografia” precisa Laura Cucchi. Un luogo di aggregazione e di pensiero dove la scrittura di Moreno Gentili, declinata in grandi manifesti, ha fatto centro.
Ma quali sono le origini di questo progetto che cattura l’attenzione e suscita un grande interesse nel pubblico?
È un’idea nata nel 2000, il nuovo millennio. Il primo manifesto storico è quello del NO di cui curai l’iniziativa artistica scrivendo un manifesto con 365 NO. Invitai tre artisti a lavorare sul tema del NO e facemmo una mostra in una galleria milanese che ebbe un grande successo. Io poi continuai il mio lavoro dei manifesti e uscì Piantala, dove chiamai 10 artisti contemporanei molto bravi, da Stefano Arienti a Marina Abramovic a curare delle piante per sei mesi e io scrissi i Manifesti dei Piantala, Pianta come Piantala su un binario tra cultura della sensibilità green ma anche cultura della politica di attenzione agli altri, uno sguardo sociale ed etico che cresceva di pari passo con la mia scrittura. Manifesti Poetici è un progetto che ho portato poi avanti fino ad oggi, ad essere qui al Caffè Cucchi dove si possono vedere Milano è, un manifesto interamente su Milano, il Piantala, il manifesto dei SÌ in contrapposizione ai NO perché ci può essere chi è curioso di sapere che cosa sono i NO di un artista ma anche quali sono i suoi SÌ e quindi poi un manifesto sulla Semina e un omaggio alla donna che ha per titolo Servila e giustamente anche due manifesti dedicati a un concetto particolare del vivere, cioè il Bere e uno dedicato al Caffè, ripetuto per 365 volte in azioni quotidiane che ci donano questa bevanda magica. Qui sono esposti nove manifesti ma in realtà sono 12 perché il 18 dicembre li porterò a Book City dove faremo delle letture con un regista-attore, Danilo Da Rodda, che legge dalle mie poesie in libertà e anche da un manifesto del Servila. Questi manifesti sono come dei mantra per cui vengono letti in successione.
Scrittura artistica e poetica sulla scia di Ben Vautier o Emilio Isgrò che induce a riflettere sulla vita di tutti i giorni?
Il mio intento di riferimento è la Wall Poetry, cioè la poesia da muro a cui aggiungo tutta la mia qualità di designer, di scrittore e di ideatore di eventi culturali. E, per me, il muro che è sacro anche in casa propria o nella quotidianità del nostro vivere, come sono gli ambienti di lavoro e del caffè dove viviamo quotidianamente, è un momento di commedia o di declamazione. È un modo di dare, con garbo smisurato, senza sboccare, senza imporre con un atto di vandalismo smisurato, perché anch’io stesso colgo la qualità di Wall Poetry da muro quando non è sozzura, quando non distrugge treni o beni collettivi, ma quando appare sui muri che arredano la città, sui quei muri grigi sporchi e vuoti. In quel caso la poesia è bellissima perché riempie degli spazi che altrimenti sarebbero anonimi e incivili già di per sé. Quando la Wall Poetry è spontanea come in questi casi credo che sia anche una possibilità di dialogo e di arredo. Perché no? I miei lavori sono progettati perché siano anche dei manifesti da casa. E qui sposto il concetto di Wall Poetry che diventa declamazione sincera di una poema ma che al tempo stesso può essere forma di intrattenimento degli ospiti, dei clienti, degli avventori o dei curiosi di arte.
Il manifesto dedicato a Milano si distacca dagli altri?
Sono 365 declamazioni su Milano che amplificano il concetto di Milano. Esempi? Bruma domenicale, Risorgimento!, Le radio sempre libere, La follia più sincera, e poi declamo la qualità della cultura attraverso le iniziative che ultimamente sono nate a Milano, dove cito degli amici giovani che hanno fatto delle cose importanti per la città, che hanno dato vita ad attività commerciali con la loro esclusiva creatività, come Laura e Francesco di Pasta Madre, Aurora con la sua panetteria Le Polveri, giovanissima panificatrice. Tante cose che sono legate alla qualità del vivere Milano. Ed è la mia Milano perché ognuno ha una sua propria Milano.
E il manifesto intitolato Semina?
Progettato per Expo e per le scuole, è un manifesto divertente, ironico, autoironico. Esempi? Semina furioso, Semina nascosto, Semina in Irlanda, ecc. La lettura dei miei manifesti deve essere un momento di entertainment, di divertimento e di lettura della realtà in modo anche “fumettistico”, per cui tiene compagnia quando si è soli, si è con amici o con persone che invece vogliono magari riflettere. È intrattenimento di cultura.
Arte al Caffè. Per quale motivo?
I caffè letterari in Italia e in Francia sono una bellissima realtà. A Trieste il Caffè San Marco è frequentato da moltissimi artisti, scrittori, giornalisti, intellettuali, per esempio. Ci sono queste realtà che dobbiamo difendere dall’eccessivo consumismo, dal modo di passare il tempo senza profondità. Cucchi ha una storia urbana molto particolare. Non è un bar che ha rinunciato alla sua eleganza milanese formale e quindi non è un bar che ha svenduto come è capitato a molti luoghi milanesi e bar prestigiosi della città dove le famiglie hanno abdicato vendendo i loro spazi che, per la verità sono rimasti intatti, ma con un altro tipo di clima. Non c’è l’accoglienza che la famiglia Cucchi riserva ai clienti, non c’è l’attenzione all’arte, non c’è l’attenzione alla scrittura che questi locali hanno spesso coltivato. L’ultimo grande locale insieme a Caffè Cucchi dove io vado a volte anche a scrivere quando Caffè Cucchi è pieno, è il Bar Basso che ancora ha mantenuto quella tradizione di trascorrere e vivere il tempo con attenzione anche a quello che uno può fare.
Questo vivere milanese che non si distacca dalla vita di quartiere. Questo è il vantaggio di questi locali che conservano un patrimonio mnemonico con la vita di quartiere che è la vita della città e quindi il modello Milano tanto declamato, qui può stare bene. Non c’è nessun tipo di snobismo culturale, ma c’è una sincerità delle azioni artistiche e culturali che sono legate alla storia vera di Milano. Il bar Giamaica ha abdicato per ragioni di turismo invadente, qui da Cucchi invece si può tornare a quel momento storico ed è quello che sto cercando di fare portando appunto scrittori, intellettuali e artisti di nuova visione e questo è il vero valore del Caffè Cucchi. Le mostre hanno una durata di tre mesi perché non essendo una galleria e non facendo investimenti di galleria si da però all’artista un grande vantaggio perché nel momento in cui si può esporre tre mesi il proprio progetto, può finalmente pensare a se stesso e costruire le sue relazioni e investire sul suo lavoro. Il tentativo è quello di fare quattro mostre all’anno rispettando il lavoro degli artisti che oggi sono dimenticati da un mercato che è sempre più smaniosamente da collezione e non di contenuto. Milano ha degli artisti straordinari che dobbiamo tornare a fare parlare, dandogli degli spazi che sono straordinariamente inseriti nella vita di quartiere perché i clienti di Cucchi sono quelli che poi vanno nei musei, nelle gallerie a vedere le mostre, nei negozi e quindi paradossalmente questo spazio è un’espressione degli HUB di nuova concezione che mettono insieme più persone per cui l’artista è avvantaggiato.
L’eclettismo di Moreno Gentili si esprime in diversi campi. Vuole parlarne in dettaglio?
Ho appena concluso il re design del Museo Branca, un bellissimo lavoro. L’ho rinnovato e ho invitato la proprietà a fare una riflessione sul nuovo modo di concepire lo spazio Branca, Museo d’Impresa milanese in via Resegone. La mia attività è quella di avere a che fare con l’impresa e la comunicazione d’impresa e anche di portare la cultura della parola e della visione. Io vengo dalla fotografia contemporanea che ho coltivato fino al 2000 e poi la mia passione per la scrittura ha preso il sopravvento ma non ho rinunciato alla relazione della scrittura con l’impresa. La parola per me ha assunto un valore collegiale nel senso che lavorare a un Festival e invitare delle persone a partecipare a un Festival come è stato Letteralmente Festival a Milano (in autunno) o come è stato il Festival Leopardi di Recanati (in estate) o creare un premio come il premio Pier Mario Vello per la cultura civile, creare una mostra, disegnare un museo con le parole come ho fatto per il Museo Branca o il Museo Guzzini, è esattamente un significato esperienziale che conta dei maestri straordinari. Dino Buzzati era scrittore e pittore, Carla Cerati era scrittrice e fotografa e Lalla Romano era scrittrice, fotografa, pittrice e poetessa. Dobbiamo smetterla di pensare che Milano non ha una scuola di eclettismo straordinario. Milano è fondata su esperienze di ecclettismo creativo e artistico. L’eclettismo creativo è una ricchezza per l’umanità e io mi sento: Scrittore, artista, designer e sono stato anche fotografo.