“Se succede qualcosa di brutto si beve per dimenticare; se succede qualcosa di bello si beve per festeggiare; e se non succede niente si beve per far succedere qualcosa”.
In queste parole di Charles Bukowski si cela l’eterno dilemma dell’uomo nei confronti del vino e per estensione dell’alcol che del nettare di Bacco è elemento distintivo e specifico. Ancora una battuta: “possiedo un self-control straordinario. Prima di colazione non bevo mai nulla di più forte del gin”, frase attribuita a W. C. Fields, che ci porta immediatamente a pensare come l’eccesso faccia parte del rapporto con l’alcol e con le bevande alcoliche in genere, ponendo non pochi interrogativi su qualcosa che manca in chi si lascia andare ad esso: il senso della misura. Di qui la deriva che spesso si denuncia con un corredo pesante e drammatico in termini umani e sociali.
La dipendenza dall’alcol infatti, al pari di molte altre considerate più gravi come quelle da stupefacenti, è un gigantesco problema in quasi tutti i paesi del mondo, fatta esclusione per quelli islamici dove esso viene considerato espressione satanica e condannato con la durezza manichea propria del mondo musulmano. Nel nostro mondo, occidentale e in molte aree globali dove questo costume è invalso, i problemi creati dalla dipendenza sono drammatici e ad essi si cerca di porre argine con campagne, iniziative, programmi, dimenticando sovente che il vero nodo è nella mente umana, nei sentimenti umani, nelle umane debolezze che non possono sempre essere riassunte in dati statistici, polizieschi o giudiziari ma affrontati nelle dinamiche sociali.
In Italia, i dati più recenti pongono di fronte a una realtà agghiacciante: negli ultimi dieci anni il tributo di vite umane per gli eccessi derivati dall’alcol e per patologie alcol-correlate, incidenti stradali, incidenti sul lavoro, incidenti domestici e omicidi o suicidi legati allo stato di alterazione psicofisica, è stato di 435 mila morti. Di questi, 296mila e cinquecento sono uomini, 139mila donne. Un numero impressionante e che dà la misura di quello che è il mondo nel quale queste tragedie nascono, si sviluppano. Un numero che non può che portare a riflessioni, azioni, programmi di intervento non episodici ma strutturali. Queste dipendenze come quella dalla droga sono infatti il sintomo del disagio che percorre la società e quel che è più grave, sin dalle più giovani generazioni. L’allarme etilico di cui si parla ha trovato di recente una fotografia seria ancorché impietosa in una ricerca condotta da Enpam ed Eurispes.
Il primo dato che balza agli occhi è la premessa della ricerca: l’alcol rappresenta il primo fattore di rischio per la salute in Europa, dopo il fumo e l’ipertensione. Nei paesi dell’Unione, il consumo annuo pro capite è stimato a 9 litri. L’Italia supera nettamente la media mondiale di un consumatore di alcol su tre: il 60% degli italiani, infatti, ne consuma una o più dosi al giorno. Nel nostro Paese, poi, si contano 8,6 milioni di consumatori a rischio, 2,5 milioni dei quali anziani e 1,5 milioni adolescenti. Secondo l’Osservatorio Nazionale Alcol-Cneps dell’Istituto Superiore di Sanità i consumatori “dannosi”, che presentano problemi di salute conseguenti al consumo di alcol, sarebbero circa 700mila.
La ricerca di cui parliamo arriva a distanza di oltre trent’anni dal Primo Rapporto sull’Alcolismo in Italia – che per la prima volta rivelava dettagli sconvolgenti del fenomeno – e l'Eurispes, in collaborazione con Enpam, ha dedicato una nuova complessa indagine al tema. Il fenomeno è stato osservato attraverso tre diversi sondaggi, ciascuno dei quali contribuisce a disegnare un quadro completo e dettagliato di come sono cambiate e stanno cambiando le abitudini nel nostro Paese, di quanto si sia diffuso e radicato il consumo di alcol tra i giovani, di come si è modificata l’immagine del consumatore di alcol.
L’ampio e articolato lavoro, dal titolo Indagine sull’alcolismo in Italia. Tre percorsi di ricerca, realizzato nel quadro delle attività previste dall’Osservatorio permenente Eurispes/Enpam su “Salute, Previdenza e Legalità”, ha coinvolto giovani studenti, adolescenti, cittadini e operatori sanitari. Il primo atto è quello di analizzare in che modo avviene e con quali caratteristiche il consumo di alcol. Si scopre allora che si beve ovunque a qualunque ora, anche con pochi soldi, sempre più lontano dai pasti, e soprattutto tra le fasce più giovani della popolazione.
Secondo l’indagine un quarto degli italiani associa l’alcol a situazioni di convivialità (23,8%), il 17,1% lo accomuna a una sensazione di piacere, l’11,9% a un concetto di spensieratezza, un cittadino su dieci al relax (10,6%). Più contenute le percentuali di chi lo associa a un’immagine non positiva: fuga dai problemi (9,3%), perdita del controllo (9%), pericolo (7,3%).
Il dato relativo alla risposta “convivialità” passa dal 16,5% nella fascia tra i 18-24 anni a un valore massimo di 26,8% nella fascia dei più anziani. Sono i più giovani, invece, ad associare all’alcol il concetto di “piacere” più spesso delle persone mature (21,6% contro il 14,3% delle persone mature). Gli uomini più delle donne ritengono che bere sia un piacere (19,4 contro 14,8%); al contrario, le donne più spesso degli uomini associano l’alcol alla perdita del controllo (11,5% contro 6,4%).
Quello che appare più sconcertante e rischioso è un altro elemento, la precocità di approccio all’alcol. Va detto subito che ogni analisi in merito deve prescindere da valutazioni etiche e concentrarsi sui dati che disegnano il fenomeno. Entrando nel merito del consumo di alcol, le risposte raccontano un consumo “normale”, quasi moderato. Oltre la metà dichiara di consumare alcol “qualche volta” (55,7%), il 17,1% lo fa “spesso”, solo il 7,9% “tutti i giorni” e quasi due su dieci non beve “mai”. A bere più “spesso” sono i giovani: tre su dieci nella fascia 18-24enni, il 23% tra i 25-34enni. Le differenze tra i due sessi sono sempre più sottili, anche se rimane più alto il numero delle donne astemie (28,1% contro il 10,5%).
Tuttavia, l’allarme nasce dall’età del “debutto alcolico”, e ne rappresenta l’aspetto più preoccupante che emerge: il 15,8% ha bevuto il primo bicchiere tra gli 11 e i 13 anni, e tra i maschi la percentuale sale al 20,5%; un terzo della popolazione lo ha fatto tra i 14 e i 17 anni (33,5%), per due su dieci il “debutto” è avvenuto tra i 18 e i 20 anni (20,1%), il 12,4% ha iniziato a bere dopo i vent’anni. Ha assunto alcol prima dei 10 anni il 3,8% degli intervistati: in particolare al Nord-Ovest, dove si registra un numero di bevitori precoci superiore alla media che si attesta al 7,6%: un dato che da solo appare agghiacciante.
Il consumo di alcol è anche mutato con il cambiamento di abitudini, negli ultimi anni: lo si fa sempre di più fuori dai pasti, in dosi massicce e in un tempo circoscritto. Oltre tre italiani su dieci bevono alcol quando si trovano “in compagnia” (32,1%), il 23,6% quando “ne ha voglia”, una percentuale quasi analoga lo fa “durante i pasti” (23,2%), il 21,2% “in occasione di ricorrenze”. La tendenza a bere in compagnia è più accentuata tra i giovani 18-24 anni (45%), mentre tra i 25-34enni l’abitudine a bere quando se ne ha voglia raggiunge il 32,7%. Dati spia di abitudini potenzialmente a rischio che caratterizzano più i giovani rispetto agli adulti e agli anziani, notano i curatori della ricerca.
Se volessimo indicare un punto di svolta nell’approccio sociale con l’alcol, questo è certamente ascrivibile al 2010. Quasi la metà del campione ammette di bere eccessivamente “ogni tanto” (47,7%), l’11,1% lo fa “spesso”, solo lo 0,7% “tutti i giorni”; mentre quattro intervistati su dieci dichiarano di non bere mai eccessivamente. Se si confronta questo risultato con i dati del 22esimo Rapporto Italia dell’Eurispes del 2010, emerge un preoccupante aumento del consumo eccessivo: allora, la quota di chi beveva “spesso” era dell’1,6%, la quota di chi eccedeva “qualche volta” si fermava al 33,7%. Ed è tra i giovani che la percentuale dei consumatori occasionali cresce ancora rispetto alla media, arrivando al 60% tra i 18-24enni e al 59,2% tra i 25-34enni. Al Nord-Ovest il triste primato del numero più alto di bevitori eccessivi.
Se si analizzano i motivi di chi oltrepassa il limite, si scopre che gli eccessi oggi si sposano, più frequentemente che in passato, con gli stati d’animo delle persone e con le loro difficoltà, anche relazionali. Un faro sul disagio crescente all’interno della società. Il 28% di chi si trova a bere in modo eccessivo riconosce che lo fa per “piacere” (nel 2010 la quota era del 49,4%); oltre un quarto degli intervistati fa uso eccessivo di sostanze alcoliche per “stare meglio con gli altri”, il 12,1% in più rispetto a otto anni fa; il 23,7% dichiara di eccedere per “rilassarsi”, ovvero l’8,8% in più rispetto al 2010. Aumenta anche chi ritiene che bere sia un modo per “affrontare una situazione complicata” (9,2% contro il 2,6%) e chi lo fa per “reagire a un insuccesso” (2,2% contro l’1,2%). In particolare, sono soprattutto i giovani a ricorrere all’alcol per affrontare una situazione complicata (l’11,1% tra i 25-34enni, il 9,2% tra i 18-24enni, il 9,1% tra i 35-44enni). Suddividendo la nazione in macro-aree geografiche, scopriamo che un uso smodato di bevande alcoliche per puro piacere prevale nel Meridione (31,3% Sud, 31,1% Centro), seguiti dal 28% del Nord-Est, dal 26,6% del Nord-Ovest, per finire con il 20% delle Isole.
Eppure, si sottolinea in una classifica delle sostanze psicotrope capaci di alterare la regolare attività mentale, l’alcol è considerato all’ultimo posto dopo droghe sintetiche (38,5%), cocaina (25,1%), fumo (22,1%): solo il 14,3% ritiene, infatti, che l’alcol sia una sostanza nociva per la salute. Una sottovalutazione preoccupante che si riflette anche nel sostanziale disimpegno a livello istituzionale, come a dire che il problema riguarda il privato del cittadino e non assurge a problema sociale.
L’ambito nel quale si comincia ad analizzare la dannosità dell’uso eccessivo è senza alcun dubbio quello che riguarda la guida di autoveicoli che secondo le statistiche è tra le prime cause di morte tra i giovanissimi, spesso in seguito a incidenti stradali. L’indagine ha cercato dunque di capire quanto sia frequente la guida in stato di alterazione: sei intervistati su dieci dichiarano di non aver mai guidato dopo aver bevuto in modo eccessivo (nel 2010 erano il 59,9%); il 24,6% afferma di averlo fatto “raramente”, il 14,1% “qualche volta”, l’1,4% ammette di averlo fatto “spesso” (nel 2010 era il 2,2%).
Ad avere una maggiore sensibilità sono le donne che nel 71,9% sostengono di non aver mai guidato in stato di ebbrezza, contro il 47,9% degli uomini. Gli automobilisti più attenti alle regole sono quelli del Centro (67,9%); i meno ligi sono gli abitanti del Nord-Ovest che ammettono di aver guidato “spesso” dopo aver bevuto troppo nel 4,4% dei casi. Ad oltre un quinto del campione (21,4%) è capitato di essere stato fermato alla guida e sottoposto al controllo per alcol e droga: un percentuale in notevole aumento rispetto al 2010 quando si attestava al 9,2%.
Interrogati sul tasso alcolemico consentito dalla legge per guidare, solo un terzo degli intervistati (33,8%) risponde correttamente indicando il limite di 0,5g/l. Quasi quattro su dieci ammettono di non conoscere la norma (39,6%), l’8,6% sottostima il reale valore indicando lo 0,2 g/l; un complessivo 18% crede invece che sia ben superiore a quello reale. In sostanza, i due terzi degli intervistati non sono in grado di stabilire la quantità di alcol che possono assumere senza compromettere la propria capacità di guida, segnando un passo indietro nella conoscenza rispetto al 2010, quando le risposte corrette rappresentavano il 38,7%. Ad essere più informati sono i giovanissimi, freschi di studi per il conseguimento della patente (42,3%).
Uno degli aspetti più delicati è a questo punto la percezione del problema. La maggior parte dei cittadini è consapevole dell’esistenza di un problema sociale legato all’alcol in Italia: secondo un terzo si tratta di un problema “rilevante” (35,4%), un altro 31,1% lo considera “moderato”. Una minoranza sottostima il fenomeno (14,3%), circoscrivendolo a casi isolati, mentre quasi un quinto non è in grado di valutare (19,2%). Dati in evidente calo dal 66 per cento di consapevolezza che si registrava una trentina di anni fa.
Si pone a questo punto una riflessione sul che cosa fare per regolarizzare il fenomeno. Secondo il 60% degli italiani, il consumo di alcolici deve essere regolato dalla legge, il 40% la pensa diversamente. La fascia dei 18-24enni è l’unica nella quale prevale il numero di contrari a una regolamentazione dei consumi. Quasi un terzo di chi è contrario ritiene che consumare alcolici sia una “scelta individuale” (30,3%), per il 26,2% i problemi “non si risolvono con la legge”, per il 22,9% “informare è meglio che vietare”. Il 12,9% invece ritiene che l’alcol “non sia una piaga sociale”; infine, un 7,7% si dice “contrario per non incrementare la speculazione”. Nel complesso prevalgono le risposte che evidenziano l’inefficacia di eventuali provvedimenti legislativi per contrastare il problema.
A chi, invece, si è pronunciato a favore di una regolamentazione del consumo di alcol, è stato chiesto quale regola, a suo avviso, dovrebbe essere adottata. Secondo il 43,7% si dovrebbe consentire di bere sopra i 18 anni; il 28,1% suggerisce una regolamentazione solo per la vendita; il 12,8% opterebbe per l’aumento del prezzo degli alcolici; il 10,7% vorrebbe che la proibizione fosse addirittura estesa a tutti; il 4,7% sarebbe d’accordo con la concessione a bere sopra i 14 anni.
Più di otto italiani su dieci ritengono che lo Stato negli anni abbia fatto poco per contrastare l’alcolismo (84,1% contro il 15,9%). Secondo un quinto degli intervistati occorrerebbe una maggiore strategia di sensibilizzazione (19,7%), per un altro quinto più informazione a livello scolastico (18,3%), per il 15,3% sarebbe necessario puntare maggiormente sulla prevenzione. Per un altro 15,4% lo Stato dovrebbe risolvere le cause sociali che portano all’abuso di alcol, secondo il 14,6% serve una regolamentazione per la vendita degli alcolici, il 6,2% ritiene si debbano creare più centri di assistenza e recupero. Negli anni, si è più volte discusso e ragionato sui provvedimenti presi per contrastare il consumo eccessivo di alcol, perlopiù di tipo stagionale, attraverso il divieto di vendita di alcolici da asporto dopo le 22.00 e la somministrazione dopo le 2 di notte. Ebbene, i favorevoli a questa misura prevalgono sui contrari (57,3% contro 28,3%): il 35,4% è “abbastanza d’accordo”, il 21,9% “molto”, il 18,6% “poco”, il 9,7% “per niente”. Il 14,4% non sa pronunciarsi. Il numero dei favorevoli al provvedimento cresce con l’innalzarsi dell’età. Ancora, otto cittadini su dieci sarebbero favorevoli a proibire la pubblicità di alcolici vicino le scuole (79,8%); sette su dieci proibirebbero la pubblicità di alcolici in Tv durante la fascia protetta (71,2%); il 67,5% approverebbe le tanto discusse “etichette shock” sulle bottiglie, oltre la metà imporrebbe un prezzo minimo per gli alcolici (52,4%), un’altra metà proibirebbe la vendita a prezzi ridotti (51,4%).
L’allarme diviene drammatico se si guarda alle giovani generazioni. La netta maggioranza dei ragazzi beve alcolici (61,7%): oltre la metà lo fa “qualche volta” (51,6%), l’8,2% “spesso”, solo l’1,9% tutti i giorni. Se analizziamo le fasce d’età, scopriamo che tra gli 11-14enni prevalgono coloro che non bevono mai (64,8%) e che tre su dieci lo fanno “qualche volta”; la situazione si capovolge tra i 15-18enni: il 65,1% beve “qualche volta” e solo due su dieci sono astemi. La quota di ragazzi che non bevono mai risulta più elevata tra chi è nato all’estero (44,1% contro il 37,9%).
Si inizia poi a consumare alcolici sempre più presto: più della metà dei ragazzi che ha confessato di fare uso di alcol, ha bevuto il primo bicchiere tra gli 11 e i 14 anni (52,8%), più di un quarto dai 15 anni in su (26,9%), e quasi due su dieci addirittura prima degli 11 anni (18,4%). I maschi dimostrano un approccio più precoce rispetto alle femmine: per oltre un quinto l’iniziazione è avvenuta prima degli 11 anni (21,9%).
L’aspetto sociologico è quello che più colpisce, sempre parlando dei giovani. Le domande sono state che cosa si beve e quando, la risposta è stata: ovunque e a qualunque ora, fuori da casa. Prima in classifica la birra. Solo il 12,2% dice di non berla “mai” e il 21,2% lo fa “spesso”. Seguono cocktail e aperitivi, e in terza posizione il vino, poi shottini e superalcolici. L’area del Paese che registra la quota più alta di ragazzi che, sia pure con frequenza diversa, consumano tutti i tipi di alcolici considerati è il Nord-Est; medesima tendenza nelle Isole, ad eccezione del vino.
La ricerca rivela che, per i più giovani, il consumo di alcolici è quasi sempre disgiunto dai pasti e dalla tavola: si tratta, quindi di un consumo non abituale ma sempre più legato a momenti di convivialità e divertimento. Conferma di questa tendenza: il pub (28,6%), così come la discoteca (21,4%) sono i luoghi dove più spesso capita di farsi un bicchiere; due su dieci bevono a tavola, il 17,4% all’aperto, il 13,1% al ristorante o in pizzeria. Prevale quindi nettamente il consumo extracasalingo e indipendente dal pasto. Un comportamento più accentuato tra le ragazze che tra i ragazzi.
Sui motivi che spingono i giovani a iniziare a bere, si registra che sette ragazzi su dieci rispondono che queste bevande “piacciono” (71,1%), oltre un quinto sottolinea che “aiutano a divertirsi” (21,6%), il 4% confessa che servono a “dimenticare i problemi”, il 3,2% se la cava con un “lo fanno tutti”. Un terzo degli intervistati afferma di aver giocato con gli amici a chi beve di più (33,1%) e che una identica percentuale rivela di aver visto un amico o un conoscente riprendersi o lasciarsi riprendere in video mentre beveva. Ai giovani studenti italiani è stato poi chiesto se ritengono che ubriacarsi nel fine settimana sia un comportamento pericoloso per la salute. A sentire l’opinione degli stessi giovanissimi, il “limite” si oltrepassa per diversi motivi: ci si ubriaca per “sentirsi più grandi” (42%), o perché “lo fanno tutti” (18,4%), perché è “una cosa piacevole” (14,3%), per “fare qualcosa di proibito” (10,2%), per “rilassarsi” e socializzare (8,3%), il 6,8% per “fare una nuova esperienza” (6,8%).
Una seconda emergenza nell’emergenza è che in Italia la vendita e la somministrazione di bevande alcoliche ai minori di 18 anni sono vietate e la legge obbliga il venditore a chiedere una documento di identità al momento dell’acquisto. Eppure, le risposte dei ragazzi rispetto allo stato di applicazione della normativa, sono sconvolgenti. Il 45,6% del campione non ha mai acquistato bevande alcoliche, il restante 54,4% invece lo ha fatto. Di questi, oltre un quinto dichiara che non gli è “mai” stato chiesto il documento di identità (21,7%), al 16,4% gli è stato chiesto “raramente”, a uno su 10 gli è stato chiesto “qualche volta” e solo al 5,9% “spesso”. In particolare, il 30,8% degli 11-14enni ha acquistato alcol e a un quinto di questi non è mai stato chiesto il documento di identità (20%). Le regioni italiane dove il documento di identità al momento dell’acquisto viene richiesto con meno frequenza sono quelle del Sud e del Centro.
Altro nodo cruciale quello della guida di autoveicoli in stato di dipendenza alcolica. Alla domanda “ti è mai capitato di metterti alla guida di un motorino o di un’auto all’uscita da un locale dopo aver bevuto alcolici?”, la risposta appare confortante, visto che nove su dieci dichiarano di non aver mai guidato dopo aver bevuto alcolici, che il 4,8% dice di averlo fatto “raramente” e “solo” il 2,4% “qualche volta” e “spesso”. Tuttavia, i risultati cambiano notevolmente quando ai ragazzi viene chiesto se sono saliti su un’auto o un motorino di amici, come passeggeri, con il guidatore che aveva bevuto. In questo caso, la risposta negativa si restringe al 62,3%. A un quinto è accaduto “raramente” (20,4%), al 13,3% “qualche volta” e al 4% “spesso”. Sono proprio i giovanissimi studenti tra gli 11 e i 14 anni d’età ad ammettere con maggiore frequenza (30%), di aver viaggiato su un mezzo guidato da qualcuno che avesse bevuto alcolici. In molti dimostrano di non essere pienamente consapevoli dei rischi che il consumo di alcol comporta per la guida.
Ai ragazzi è stato chiesto di indicare la quantità di alcolici che permette di mettersi alla guida senza correre rischi: per tre su dieci la sicurezza è garantita solo se non si bevono alcolici, mentre quattro su dieci credono che un solo bicchiere non comporti rischi (40,4%); per il 13,9% non è rischioso guidare dopo 2-3 bicchieri, per il 2,5% persino dopo 4-5 bicchieri. In realtà, la legge non stabilisce il numero di bicchieri ma il tasso alcolemico da non superare (0,5g/l) che può essere influenzato da vari fattori, ma che può essere facilmente superato dopo uno o due bicchieri a seconda del grado alcolico.
Il 36% dei ragazzi è convinto che la legge vieti di mettersi alla guida dopo aver bevuto qualsiasi tipo di bevanda alcolica, il 27,7% afferma che è consentito bere un bicchiere, il 5,4% che si può guidare dopo 2-3 bicchieri, l’1,9% che il limite è 4-5 bicchieri. Tre giovani su dieci non hanno saputo indicare una risposta. Facendo i conti, quasi i tre quarti degli intervistati hanno risposto in modo non corretto. Dati poco confortanti anche se ci spostiamo sul tema salute. Per i medici in generale, è l’alcol la più diffusa tra le dipendenze; non ci sono dubbi rileva la ricerca: nove su dieci sostengono che si tratta della sostanza psicotropa più diffusa e di quella che miete il maggiore numero di vittime in termini di dipendenza, rispetto a fumo, droghe sintetiche e cocaina. La frequenza dei pazienti che presentano problemi legati all’alcol è preoccupante: poco meno della metà dei medici intervistati (48,5%) ha detto di incontrare persone con questo profilo “qualche volta”, più di tre su dieci (31,6%) ha rivelato di incontrarli “spesso”. A visitare pazienti che non sono in grado di gestire un uso responsabile di sostanze alcoliche sono, in quantità leggermente superiore, i medici delle strutture pubbliche rispetto quelli delle strutture private.
I problemi che i medici riscontrano con maggiore frequenza sono: patologie legate a un’abitudine al consumo eccessivo (53,8%), problemi psicologici legati alla dipendenza da alcol (22,3%), incidenti dovuti alla guida in stato d’ebbrezza (13,4%), problemi legati al bere compulsivo, come coma etilico e intossicazione da alcol (9,9%), infine, in misura minore, incidenti sul lavoro dovuti allo stato di ebbrezza (0,6%).
Ma esiste un identikit dell’alcolista tipico, una sorta di carta identificativa? La risposta a quanto sembra è negativa. Chi sono allora le vittime del consumo di alcol? Se si prova a tracciare un identikit, emerge una trasversalità drammatica rispetto ad età e condizioni sociali. Si tratta per più della metà dei casi di persone adulte (59,8%), per il 17,6% di giovani tra i 18 e i 30 anni, per il 2% di adolescenti e un altro 2% di anziani; tuttavia, non si può trascurare una fetta del 18,6% secondo la quale “non ci sono differenze tra fasce d’età”.
Quello che è assolutamente certo è il fatto che nell’ultimo decennio i problemi legati al consumo di alcol sono aumentati: lo sostiene il 67,3% degli intervistati. L’aumento riguarda principalmente il Mezzogiorno. Ci sono poi quelle che vengono indicate come nuove tendenze che tracciano un panorama inedito del consumo: si inizia a bere più precocemente (93,7%), le donne bevono più che in passato (93,3%), si beve di più lontano dai pasti (90,5%), si bevono più superalcolici (78,5%), si associa più spesso il consumo di alcol a quello della droga (73,2%), sono più frequenti gli episodi di ubriacatura (71,4%).
Il fenomeno della dipendenza da alcol ha molteplici origini, sulle quali i medici italiani hanno diverse opinioni: ma ce n’è una - sottolinea la ricerca - che li accomuna quasi tutti, la scarsissima correlazione tra emarginazione sociale e alcolismo. Infatti, solo il 5,3% dei sanitari ritiene che la mancata inclusione sociale sia all’origine della dipendenza. Un 26,2% ricerca la causa nell’abitudine a un consumo sregolato, un altro 23,1% considera depressione e ansia tra le principali cause, un 23,5% secondo il quale l’alcol viene usato come “stimolante”, e un 21,9% che vi legge un forma di imitazione verso modelli scorretti. In sostanza, per oltre sette medici su dieci, le motivazioni al bere non sono legate a problemi, disagi o stati d’animo negativi, ma piuttosto alla ricerca di divertimento e di sballo. Un approccio a cui contribuirebbero anche i media con i loro messaggi. Secondo il 64,7% dei medici, l’immagine dell’alcol veicolata dai media favorirebbe la diffusione di modelli di consumo pericolosi. Di questi, nel dettaglio, il 43,8% risponde “abbastanza”, il 20,9% “molto”. Solo secondo il 5,1% non ci sarebbe una correlazione.
Difficile anche il discorso in tema di rimedi. Per oltre la metà dei medici intervistati, i reparti ospedalieri e le strutture mediche dedicate alla cura e al sostegno dei pazienti con problemi legati all’alcol sono “scarsi” (53,8%), per il 29% sono “insufficienti”, per il 16,2% sono invece “sufficienti” e solo l’1% ritiene siano “ampiamente sufficienti”. Coloro che danno un giudizio nettamente negativo sono concentrati in Sicilia, Sardegna e nelle isole minori. Per la maggioranza degli intervistati non sono sufficienti nemmeno le campagne di sensibilizzazione e informazione promosse dallo Stato; uno strumento apprezzato dai medici e che dovrebbe essere più diffuso. Nel dettaglio, quasi nove su dieci ritengono le campagne “insufficienti” (88,2%), uno su dieci le crede “sufficienti” (11,4%), solo lo 0,4% le definisce “eccessive”.
Oltre la metà dei medici crede debba essere la scuola a dover educare (51,3%). L’altra metà si divide tra chi ritiene le campagne di sensibilizzazione un ottimo strumento (16,6%), chi chiede di modificare l’immagine che pubblicità e media diffondono (9,9%), chi ritiene sia necessario promuovere servizi di consulenza dedicati (8,7%), chi vorrebbe una regolamentazione più restrittiva per la vendita (7,5%), chi vede la soluzione nell’incremento di centri di assistenza e recupero (6%).