Per poter iniziare a raccontare l’edizione più clamorosa della storia di uno dei festival di musica elettronica più importanti del mondo occorre citare qualche passo introduttivo di un articolo pubblicato su La Stampa di qualche mese fa. «C’è stato un punto di svolta nella storia di Club to Club», racconta Sergio Ricciardone, direttore artistico e ideatore del festival che diciott’anni porta a Torino il meglio della musica elettronica e non solo. «È stato nel 2014, quando abbiamo ospitato Franco Battiato, che allora aveva appena pubblicato un disco ispirato a certe sue sperimentazioni degli anni Settanta. Si è messo in gioco di fronte a un pubblico che non era suo, poco dopo avrebbe suonato Caribou, ma ha spiazzato tutti e mostrato che tra elettronica, avanguardia e pop la distanza può essere minore di quello che pensiamo».
Ancora Battiato, poco prima dell’alba del 5 novembre 2017: la sua voce risuona nello spazio ampio e oscuro del Lingotto. Sul palco, Nicolas Jaar dà il via al suo set con una versione commovente de L’Ombra della Luce, arricchita di rumori, suoni, distorsioni, e dell’audio di un’intervista di qualche anno fa: «Io adesso posso dire che preferisco la luce al buio», ripete il maestro siciliano. È il clou di Club To Club 2017, e il momento in cui nasce l’edizione di quest’anno, quella con cui il festival diventa maggiorenne.
E ora un po' di dati pratici: sono quasi 60.000 le persone da 61 paesi di tutto il mondo ad aver partecipato al festival - quattro giorni vissuti in alcune delle location più affascinanti della città: dagli spazi post industriali delle Officine Grandi Riparazioni, Lingotto e AC Hotel fino alla maestosa Reggia di Venaria e agli straordinari eventi al mercato di Porta Palazzo e al Balon che hanno rappresentato uno dei momenti più significativi del festival.
Il diciottesimo compleanno è stato festeggiato insieme a 50 artisti provenienti dai 5 continenti per 50 ore di musica non stop: Aphex Twin, Jamie xx, Blood Orange, Beach House fino a Avalon Emerson, David August, DJ Nigga Fox, Equiknoxx, Leon Vynehall, Obongjayar, Kode9, Yuzo Koshiro e Motohiro Kawashima (i giapponesi di Diggin’ in The Carts di RBM), Robin Fox, Serpentwithfeet, Skee Mask, Tirzah, Vessel e Yves Tumor e molti altri. Elena Colombi, Silvia Kastel, Bienoise, Gang of Ducks, Mana, Primitive Art e Palm Wine sono stati i rappresentanti di The Italian New Wave (ITNW), il format di Club To Club che promuove la nuova creatività musicale italiana nel mondo attraverso showcase e iniziative uniche.
Sergio Ricciardone, direttore artistico di Club To Club ha riconfermato: “La luce al buio, il tema di quest'anno, ci guiderà anche nell'ideazione e creazione della diciannovesima edizione, con immutato spirito avanguardistico. Citando Franco Battiato, noi siamo delle lucciole che stanno nelle tenebre”.
Raccontare ogni singolo live sarebbe impossibile e a tratti noioso per chi non c’era, così alla stregua di poche pennellate virulente cercherò di riassumere quanto più mi ha colpita e fatto esplodere il cuore di luce - il tutto per dipingere quello che è stato un festival dannunziano, opalescente a tratti magnifico. Immaginifico.
Ho iniziato la serata del venerdì con il live degli Iceage, band punk rock danese, originari di Copenhagen - tra furia hardcore e genuino punk - ricordando anche un certo capitolo di storia stridente e malinconico alla Joy Division - Elias Bender Rønnenfelt - frontman tormentato e maledetto si è dimenato sul palco tra sudore, scompiglio e luci dark-wave - con una certo rimando ai gloriosi Ottanta. Maledettamente seducente. Fresco del 2018 è l’album Beyondless dove nel brano Catch it si ode: “You want it, you want it, you want it again/ Why don't you come and ask me?/ I adore you, my friend” - una parte di critica ha affermato a ben ragione di come il brano sembri eseguito da un Cave nell’atto di ripercorrere una cover degli Stooges. Iceage dolcemente infernali - nostalgici ma freschi - autentici e fedeli al loro delirare.
Hanno seguito da Baltimora gli attesissimi Beach House - portabandiera di quel genere denominato dream-pop - una band capitanata da Victoria Legrand e da Alex Scally. Hanno presentato oltre a brani classici del loro repertorio come Space Song - pezzi come Lemon Glow del loro ultimo disco 7. Ottimo l’uso delle luci e delle proiezioni in grado di trascinare il pubblico in uno stato psichico incosciente, nelle trame di un sogno evanescente che ricordano non casualmente l’eredità degli amatissimi Cocteau Twins (si nota un certo parallelismo con la voce di Elizabeth Fraser per carisma e qualità). Dal verde brillante - al blu - al fucsia a fantasie in loop degni di Escher - per finire con grandi occhi che ci osservano - come un Orwell ricoperto di zuccherosi colori a pastello. La Legrand sulla tastiera si dimenava come una Venere mozzafiato, una Venus In Furs (shiny shiny) in grado di farti colare il mascara dalla gioia - la gioia di comprendere qualcosa che non può essere afferrato - i capelli liberi come le note tra i tasti - la musica dei Beach House ti trascina a fondo a un naufragio terribilmente romantico e anacronistico. I movimenti della Legrand hanno confermato un erotismo latente incoscientemente francese, in punta di piedi dall’originarietà travolgente - come nel quadro L'origine du monde di Gustave Courbet - è dalla voce di Victoria che nasce il mondo - la cosmogonia dei Beach House. Inafferrabili - lontani - plurimi - multipli - la luce al buio apre una speranza - quella di cadere su un tappeto di piume - a rallentatore - softly.
Ad Artissima è stata esposta un’opera dell’artista Alfredo Jaar - una delle famose scritte a neon - Si ballava e ancora si sperava - un’affermazione chiara - semplice, esaustiva, in grado di fornirci nell’immediato l’immagine di questo festival.
La luce al buio si è consegnata in maniera primordiale con il djset di Jamie XX, il ragazzaccio di quel capolavoro di disco che è In colour - una pietra miliare per gli amanti della musica elettronica - tra clubbing e intimismo. Un must have - un prisma sonoro arcobaleno dove perdersi obbligatoriamente. Il giovanissimo produttore discografico britannico ci ha regalato due ore di musica autentica e trasversale - solo come un amante dei dischi può fare; da pezzi di repertorio - a remix - tra elettronica, future garage, dubstep, house, trip hop, il carissimo Jamie con tutta la sua passione ha saputo coniugare un uso della luce cosmico, pulviscolare, i numerosissimi fasci di luce si sono rifratti su una gigantesca caratteristica palla da discoteca posta proprio dietro di lui - l’effetto ottenuto è stato assolutamente travolgente - un’eclissi nel centro del cuore della club attitude. E per finire - prima di un classicone fine anni Sessanta come Let the sunshine in - ecco il disco sorpresa - un brano apertamente funky e smaccatamente erotico - Ti voglio del 1977 di Ornella Vanoni. Il pubblico estasiato - tu ci hai fatto volare Jamie.
A seguire della nottata di sono alternati nel crack stage Skee Mask, Equiknoxx e Josey Rebelle - inutile sottolineare la qualità della scelta - nel main invece - post Jamie XX si sono esibite la coreana (berlinese e londinese di adozione) Peggy Gou e (dall’Arizona) Avalon Emerson - due donne differenti - che hanno proposto letture di techno complementari - se nel primo caso la super glam Peggy (che si è presentata con la maglietta della Juventus) ci ha riportato in un clima tipicamente da Berghain berlinese regalandoci due ore di sana techno - la Emerson - ci ha donato una faccia più sperimentale - un suono profondo e complesso esplorato alla stregua di un codice binario (e non a caso lei è anche programmatrice informatica).
Nella giornata di sabato sbalorditivo il set di Alberto Ricca aka Bienoise - insegnante, fondatore dell’etichetta di improvvisazione radicale Floating Forest, e musicista elettronico le cui produzioni sono in bilico tra contemplazione e clubbing, con un profondo feticismo per strumenti portati al limite e mash-up tra generi. Nato nell’ottobre pre-nucleare del 1985 in un quieto paese sul Lago Maggiore, Bienoise vive ancora lì. Ha studiato filosofia, ha frequentato il conservatorio, ha scritto saggi sulla musica e sui rapporti semiotici tra colonna visiva e sonora. Alla fine del set dove il suono è stato corroso insieme a una luce accecante il pubblico ha apprezzato sinceramente con un deciso e lungo applauso. Come ha affermato la critica: "La narrazione di Bienoise è atipica e stordente, in bilico tra house, glitch e free jazz, con un approccio tra il cinematico e il cyberpunk. Come se i Boards of Canada si perdessero tra le pagine di Neuromante di William Gibson”.
È stato poi il turno di Leon Vynehall, producer britannico reduce da un disco capolavoro come Music for the Uninvited del 2014 - quest’anno invece l’artista ha compiuto una virata stilistica con Nothing is still - ha abbandonato l’house e la dance per una narrazione introspettiva profonda - il disco infatti racconta la vicenda dei nonni emigrati in America più di mezzo secolo fa a bordo di una nave: soggetto richiamato pure dalla copertina, dov’è riprodotto il fotomontaggio creato nel 1967 dall’artista belga Pol Bury rielaborando uno scatto del fotografo Sam Falk raffigurante il ponte George Washington a New York.
Vynehall si riconferma un artista prezioso - ricercato - estremamente interessante nella sua ricerca raffinata e autentica del suono - dove assieme ad altri musicisti di livello ci ha regalato un live breve ma intenso - dove sonorità classiche jazz si sono fuse e amalgamante con l’elettronica più avvincente. La scelta dell’uso di luci soffuse avvolte da fumosità nostalgiche ha sottolineato l’atmosfera suggestiva volutamente ambient.
Nella stessa serata si sono esibiti Yves Tumor, Blood Orange, Serpentwithfeet, Silvia Kassel e Dj Nigga Fox proprio poco prima dell’attesissimo guest. Apehx Twin. Da dove cominciare per potere raccontare, seppur in piccola e microscopica parte, un evento unico, dalla portata spaziale? Aphex Twin si è esibito a Club To Club come unica data italiana su tre previste nel mondo. Richard David James ormai quarantasettenne ha ancora molto da dire e quello che ha detto in questi anni è assodato nella storia della musica per sempre.
Tra ambient, techno, acid, IDM, la sperimentazione di Aphex Twin si è continuamente spinta oltre, oltre il suono, oltre la concezione, oltre la strumentazione. Oltre se stesso, oltre il pubblico. Semplicemente e unicamente oltre. Un suono del futuro che ha scritto un passato glorioso e indimenticabile, un bpm portato alla stregua - Aphex Twin è pura distorsione - alterazione - contaminazione - sublimazione - dimensione - azione. Per questo straordinario artista suono e visione nascono dalle stesse viscere, portano la stessa drammatica sofferenza e incomprensione che è forza propulsiva. Aphex Twin è il collasso dei sensi con una spiccata ragione. Aphex Twin non è puro caso, ma studio e tecnica portati all’immaginazione più distopica. La decina di schermi posizionati sul palco introducono chiaramente il pensiero dell’artista che a malapena si intravedeva concentrato dietro uno di essi - sono il suono e l’immagine entrambi distorti e collassati ad essere i protagonisti, a venire prima (orgasmicamente parlando) prima di tutto.
Già sul finire degli anni Novanta l’artista ha vantato collaborazioni con altri importati artisti come Chris Cunningham regalandoci videoclip epocali - autentiche opere d’arte come Come to daddy e Windowlicker - voci inquietanti, e umanoidi futuristici perturbanti - alieni contemporanei frutto di un’ampia visione geniale - atmosfere apocalittiche e post-umane capitanate dal glitch e dall’errore - dall’orrore. Ora la collaborazione con Weirdcore, non a caso un articolo vagante a lui dedicato ha coniato l’efficace termine whatevercore. “Basta dare uno sguardo al delirante sito-portfolio di quest’ultimo per trovarsi di fronte a una sorta di schizofrenica vaporwave sotto acidi, sempre sull’orlo di deflagrare nel glitch più sfrenato, ma fermandosi sempre uno decimo di secondo prima. Il risultato è qualcosa di estremamente colorato e instabile, un godibilissimo tritarifiuti pop”.
Un magnifico incubo che si è palesato anche all’interno del Lingotto sconvolgendo i mila corpi sopraffatti da una performance inglobante, totalizzante, paralizzante, sconvolgente. I laser e i visual come in una guerra per la resistenza hanno bombardato assieme al suono il popolo della notte - la luce al buio è stato il trionfo di Aphex Twin attraverso il suo pensiero - il suo ghigno malefico riproposto su stereotipi di ballerine o semplicemente andando a sovrapporsi tra i volti della folla. Aphex Twin è uno, nessuno, centomila. Aphex Twin è il nostro personale dark side of the moon - con le sue astrazioni e stratificazioni - colmo di libido che sta per schizzare fuori. Il delirio di Aphex Twin si fa da ponte tra realtà e finzione - tra realtà e realtà aumentata dove tutto si ibrida e mescola come un potente corrosivo distorsivo.
Una carrellata di personaggi sottolineano che sì, Aphex Twin, oltre ad averla fatta, la conosce molto bene la storia: Berlinguer, Calimero allucinato, Piero Angela, Roberto Benigni, Cesare Pavese, Cicciolina, Rita Levi Montalcini, i calciatori di Juventus e Torino (il grande Torino), Gianni Agnelli, Lapo Elkann, Cavour, Gramsci, Mattarella, Pasolini, Italo Calvino e molti altri. La storia siamo noi - siamo noi con le nostre mille contraddizioni - e possiamo riscriverla a partire da questa notte che nessuno dimenticherà più. Aphex Twin se ne va con un boato, accecante sparizione, pura fusione di immagine e suono portati alla loro dissolvenza - un bianco accecante che ha commosso chi come me ha sorriso per aver assistito fino alla fine ad una performance storica, importante. Il big bang della club culture - Aphex Twin è stata genesi. Pura genesi.
E poco dopo questa esilarante performance dantesca, ecco colorarsi nuovamente di viola il main stage per accogliere l’ospite a sorpresa - un artista storico come KODE9 - che ha continuato a fare tremare il pubblico - fondatore della storica Hyperdub - qualcuno fino alla fine sperava in Burial - tra i cuori saltellanti e sudati. Ma chissà in un futuro brillante. (….) Come chiusura a una serata epica ecco che nel crack si sono poi esibiti Courtesy, una DJ, fondatrice di un’etichetta e una giornalista, nata in Groenlandia e cresciuta in Danimarca; e Vessel al secolo Sebastian Gainsborough, influenzato tanto dall’eredità della scena musicale della sua città, Bristol, quanto da suoni che arrivano da molto lontano.
E molto lontano è arrivata questa diciottesima edizione di Club To Club, con una maggiore età luminosa, raggiante, esplosiva, genitrice di un cosmo che fa della ricerca e la passione per il suono la sua luce più accecante.