Incontro Manuela appena prima di tornare a casa. Straparlo di foia. Indossa la pashmina, ribatte. Torno a ottantotto miglia orarie nel tempo in cui scoprii quanto fossero ingenue le donne. Vivo a un paio di chilometri dal centro, periferia Est. L’ultimo processo penale mi ha lasciato in eredità l’assenza di requisiti morali alla guida. Cammino assorto in evasioni semiserie.
Corso Genova è uno dei nomi che assume l’Aurelia a Ventimiglia. Strada maleodorante, sporca, trafficata. Un solo marciapiede parallelo al muraglione della ferrovia, costellato di distributori automatici, bazar, mercerie cinesi e distributori di benzina. Cammino e sono altrove. Un quarto d’ora dopo sto cantando sotto la doccia. Ne esco ricolmo di buoni propositi cui aggiungo deodorante, profumo di marca e la pashmina. Cerco dai cassetti un paio di boxer intonati al foulard, calze in corredo ai boxer, pantaloni in tema ai fantasmini, una camicia che non c’entri nulla.
Scrivo al fratellino, indosso la giacca di pelle, sneaker alte. Esco di casa e non riesco a togliermi dalle orecchie la Cavalcata delle Valchirie. Senza patente cammino e mi avvio in direzione della periferia Ovest. La città, nelle notti del fine settimana, non ha altro da offrire che riposo, rancore e la Storica Enoteca Consani. Consani è il primo passo dell’iter obbligato per un celibe in cerca di preda. Il passo successivo è un letto rotto, quello dopo uno schermo ultrapiatto posizionato in fronte a un comodo sofà.
Il fratellino ci raggiunge ma l’ottimo Adriano mi attende in loco. Ordino e sorseggio una Menabrea, mentre il primo di una serie di Negroni comincia a stuprare la precaria serenità del mio amico. È molto infelice, mi sta raccontando di come abbia rotto con la fidanzata appena il giorno prima. Adriano torna spesso a Ventimiglia ma vive e lavora a Genova. Non si è mai ritrasferito dopo l’università, però sente il richiamo dei vecchi amici e di casa. Mentre mi parla delle dinamiche della sua tronca relazione a distanza, a pochi metri da noi c’è una rossa che m’ipnotizza.
Ha il mare negli occhi e curve così morbide da sembrare un San Pedro, labbra carnose che giurano spine. Adriano prosegue con i suoi discorsi seri e inopportuni ma ora non lo sento più. Prendo a fissare Denise senza ritegno. Cerco il suo sguardo. Sono in fiamme. La mia pelle assume il colore dei suoi capelli mentre fantastico di mordere quella bocca. Si accorge di me. Da principio non ci fa caso. Appare tutto fuorché timida e distratta. Non appena comincio a lampeggiare sul suo radar prende a restituire gli sguardi.
Nel frattempo Adriano mi racconta di come avesse proposto, alla sua ex fidanzata, di rinunciare al proprio eccellente contratto a tempo indeterminato. Voleva trasferirsi in Puglia. In altre occasioni avrei simulato buon senso, gli avrei ricordato che aveva appena acceso il mutuo per acquistare la casa in cui viveva, lo avrei convinto dell’assurdità delle sue derive e riportato all’ordine, forse consolato.
Denise comincia a cercare i miei occhi con insistenza sempre maggiore. Le nostre pupille impegnate in una danza pagana di lucciole ubriache. Ci stiamo sbranando. Interrompo Adriano senza rendermi bene conto di cosa abbia bloccato. Lo ragguaglio brevemente sui lavori in corso e mi scuso sinceramente per aver arginato il fiume del suo dolore.
Aggancio quindi gli occhi smeraldini e sorrido col volto intero mentre mi avvicino. Chiedo il permesso di rivolgerle la parola, me lo concede. Una domanda. Hai solo stile o sei anche single? È brilla, scoppia a ridere, la risposta alla domanda è entrambe le cose. Mi chiede poi se penso davvero abbia stile. Confermo. Si lascia andare a un grato elogio del mio approccio. In un tempo in cui il branco attende l’intimità della tastiera per lasciare ai cacciatori lo spazio per predare, non è solita ricevere vivaci avance analogiche. Robertina, la mia più fida alleata, stasera è lì al suo fianco, devota Sancho Panza dell’impavida Chishottina dal rubro pelo.
Sei con la tua amica, non voglio disturbare, ma se mi lasci il numero più tardi ti scrivo, tutta, in un libro.