A una donna di New York che, dalla metà degli anni Quaranta, vagava fra i grattacieli in cerca della propria bellezza poteva capitare l’incontro rivoluzionario, esteticamente parlando, con Estée Lauder (1908-2004) che, negli immensi magazzini della Quinta Strada, la guardava con occhio esperto e poi posava le mani sul suo volto. Nessuno prima di Estée aveva toccato le clienti, introducendo non solo il concetto del servizio in cosmetica, ma facendoci una carezza che dal 1946, anno di fondazione della Estée Lauder, ancora ci sfiora le guance.

Con migliaia e migliaia di dipendenti, il monumento americano della cosmetica conserva infatti un’impronta familiare. Il che non appaia mieloso: nelle famiglie ci può essere tensione nei giorni di Natale o un adolescente problematico, e succederà anche in Estée Lauder, fra una pennellata di cipria e un ritocco di rossetto, ma questi momenti di memoria dell’imperfezione della vita, non cancellano la potenza del “sentirsi a casa” e dell’accorgersi che gli altri sono persone.

Edoardo Bernardi, amministratore delegato di Estée Lauder Italia dal 2013, percepì subito, accettando un incarico tanto stimolante quanto impegnativo, di aver acquisito molti ‘parenti’: “La nostra continua a essere un’azienda familiare nonostante sia quotata, abbia una forza finanziaria estremamente importante, una crescita costante da quando è nata, addirittura incredibile negli ultimi anni - spiega Bernardi al mattino presto, in una saletta dell’albergo Excelsior di Firenze - perché è stata creata dalla signora Estée Lauder, che ha cominciato in maniera artigianale a produrre cosmetici oltre 70 anni fa, inventandosi un modello di distribuzione particolarmente innovativo basato sul contatto diretto con la consumatrice: il touch che era fisico e adesso può essere anche virtuale. Il secondo passaggio è stato rendere globale questi principi nell’espansione, mantenendo la prerogativa di essere familiari e di lavorare con delle famiglie. Il signor Leonard Lauder e la mamma Estée hanno costruito nel corso del tempo rapporti anche personali con degli imprenditori locali che sono diventati i loro distributori sul territorio nazionale o in alcune città. A me piace, quando sono a New York nei nostri uffici, se succede di andare a pranzo con il signor Lauder o qualcuno della famiglia, sentire la moglie che chiede al marito: ‘Com’è andata oggi?’ E lo chiede anche a tutti gli altri. C’è proprio un clima familiare. Fabrizio Freda, il nostro amministratore delegato, un italiano eccezionale, ha portato delle innovazioni di processo, di approccio al consumatore, però capendo e rispettando i valori e la tradizione dei Lauder formando un mix che è incredibilmente vincente”.

A Firenze, per l’inaugurazione di un punto vendita di formula originale affacciato sul Battistero, che Estée Lauder ha progettato con la famiglia amica dei Manzini, Bernardi ha l’esempio perfetto per illustrare i suoi discorsi. Ai Manzini, proprietari della catena di profumerie Aline, Leonard Lauder promise l’esclusiva e non venne meno alla parola nemmeno quando in città approdò la Rinascente. Firenze è tuttora protagonista del mondo dei profumi, con l’Officina Profumo Farmaceutica di Santa Maria Novella, attiva da oltre quattro secoli senza interruzioni, e sulla scia odorosa di Caterina de’ Medici, sovrana di Francia, che si portò Oltralpe il “naso” personale, Renato Bianco, René le Florentin, alla bisogna pure avvelenatore di corte.

“La prendo un po’ alla lontana… - continua Bernardi - L’Italia è considerata dalla nostra company e dagli altri leader mondiali della cosmetica, quindi due gruppi francesi e uno giapponese, un mercato di riferimento per i trend, la cultura, la tradizione, tutti lati che si fondono insieme. Noi italiani siamo leader naturali da un punto di vista dei consumi sofisticati, del design, del gusto, e questo deriva da una storia molto ampia che certo non è solo quella dell’ultimo secolo, del periodo del manufatto. Più nello specifico, Firenze è una città che ha una vicenda sbalorditiva di attenzione alla fragranza con spunti che arrivano sì da Caterina de’ Medici, ma anche da numerose iniziative recenti: a Firenze sono nati brand di straordinario interesse qualitativo, inoltre si può contare sul consumo sia locale che internazionale. Io credo ci sia una storia affascinante dietro l’apertura di questo negozio perché con Aline abbiamo mantenuto sempre un rapporto di esclusiva dei nostri marchi per volontà della famiglia Lauder, e anche se questa cosa negli ultimi anni si è dovuta un po’ sorpassare è di sicuro rimasta nell’animo”.

Franco Manzini, fondatore di Aline (dal titolo di una canzone di Christophe, 1965 n.d.r.), era stato il direttore di Bertelli, fornitore della Real Casa, produttore della crema Venus e del profumo Come tu mi vuoi, pubblicizzato da Greta Garbo, mai spodestata divina delle divine. Certo un uomo da “sogno americano”, il toscano Manzini.

“Nella terrazza di questo hotel, quattro anni e mezzo fa, appena nominato amministratore delegato della filiale italiana - prosegue Bernardi - ho pranzato con il signor Leonard Lauder, insignito in quei giorni del premio Renaissance man of the year della Fondazione Palazzo Strozzi grazie alla sua incessante attività di filantropo, e Fabrizio Freda. Chiacchierando su quello che sarebbe stato il futuro del mercato italiano, ho proposto loro una sorta di evoluzione della partnership storica che avevamo con le famiglie di imprenditori. Dicevo: abbiamo costruito con questi signori della profumeria per cinquanta anni, abbiamo collaborato con loro, con la forza dei nostri brand, oggi il mercato dei consumi sta evolvendo in maniera importante, tanto che stiamo aprendo una serie di negozi monomarca che gestiamo noi, quindi Mac, Jo Malone, Aveda, Estée Lauder. Ebbene: facciamo diventare i nostri partner storici alleati anche in queste iniziative. Noi non vogliamo essere loro concorrenti, vogliamo che siano con noi e vivano questa opportunità esattamente come la viviamo noi”.

L’idea piacque ai due commensali?

Devo dire che durante il primo anno e mezzo erano diffidenti, sembravano chiedersi: chissà come mai questo qua ci crede a questa roba. Anche perché era un periodo… diciamo che la mia leadership ha avuto dei momenti forse un po’ coraggiosi, ho fatto cose diverse dal solito. Appena nominato, ho aperto un nostro punto di vendita in un outlet village con la filosofia di vendere i prodotti resi e quelli in obsolescenza, per non continuare a distruggerli. Ovviamente a prezzi inferiori. All’inizio non è stato gradito dalla distribuzione, poi finalmente si è capito che i prodotti venduti non erano esattamente gli stessi. Tornando all’idea di aprire i punti vendita con i nostri partner storici: dopo l’anno e mezzo di diffidenza, da tre anni siamo partiti e adesso abbiamo una trentina di negozi Mac. Poi Aveda, Jo Malone. Il passo successivo per me è stato cominciare a pensare che la stessa cosa avremmo potuto farla sfruttando il nostro portafoglio di brand che, nel frattempo, si era arricchito di tutta una serie di marchi che avevano un connotato di esclusività, con peculiarità all’interno del mondo del lusso, per cui erano sicuramente attraenti per un certo genere di distribuzione, ma richiedevano un’attenzione particolare sia di servizio che di esposizione. Inoltre, non volevamo distribuirli in maniera così massiva.

Tipo Frédéric Malle, Editions de parfums?

Tipo Malle, tipo Kilian, tipo La Mer. Perché, mi sono detto, non creiamo un modello per mettere insieme i marchi più alti della company e coinvolgere i nostri partner storici? Il modello non è mai stato unico né abbiamo chiesto esclusive. Noi abbiamo dei bellissimi marchi, ma non abbiamo solo noi dei bellissimi marchi, ci sono tanti concorrenti che ce li hanno, quindi i nostri stanno benissimo anche con altri, si fanno bene reciprocamente, creano un indotto, un volano di competizione positiva. Firenze e un partner storico come Aline non potevano che essere l’inizio di un’avventura di questo genere. E proprio perché siamo un’azienda familiare riusciamo ad adattare i modelli senza avere una linea guida troppo rigida da parte della casa madre.

Comodo, no?

C’è un rovescio della medaglia, nel senso che comunque la proprietà ti chiede di essere un po’ più manager, avere una creatività, un’iniziativa, una voglia di rischiare, ma anche una disponibilità a pagare in proprio gli errori che fai. Però ieri mi è piaciuto tantissimo vedere all’inaugurazione fiorentina, e per me è stata una sorpresa, è vero che nel frattempo c’era Pitti Fragranze, una bellissima comunità di colleghi venuti da Salerno, da Livigno, a festeggiare, a vedere, a capire che cosa potremmo fare in altre città. Anche perché l’Italia, al di là della complessità di gestione della frammentarietà, è un paese in cui lo zoccolo duro della profumeria tradizionale, magari con piccole catene regionali, continua a essere molto importante, e rappresenta il cinquanta per cento del mercato. Proprio per questa qualità dell’imprenditorialità locale che altrove non esiste. In altri paesi, i grandi gruppi sono riusciti a far piazza pulita, a occupare il territorio molto facilmente. Qui non riescono a superare la soglia del 47-48%, da dieci anni a questa parte. È un’ennesima dimostrazione della nostra iniziativa, della nostra intelligenza. Il nostro amministratore delegato Fabrizio Freda è entrato in diverse classifiche dei CEO più bravi ed è motivo di grandissimo orgoglio per noi. Tra l’altro ha una tradizione fiorentina perché ha lavorato da Gucci, ha conosciuto sua moglie, belga, a Firenze, ed è molto affezionato alla città. L’intelligenza italiana non è fine a se stessa: significa essere molto adattabili e con una capacità di comprensione molto elevata, caratteristiche della nostra cultura che, certo, ha anche degli aspetti non positivi quando la capacità di adattarsi diventa voler essere più furbi degli altri, con conseguenze negative per la comunità e il sistema.

Fra chirurgia estetica e ritocco fotografico che cos’è diventata la bellezza?

In realtà, oggi la bellezza spontanea è molto più ricercata rispetto al passato. Credo che ci sia qualcosa di bello e interessante nell’essere entrati nella selfie generation. Oltre ai millennials, questo aspetto sta contaminando un po’ tutti: ci divertiamo a farci i selfie, a postarli, siamo più protagonisti della nostra vita e della condivisione della nostra vita e, al di là dell’aspetto triste di vedere le persone sempre col telefono in mano anche quando sono a tavola insieme, c’è un lato positivo legato al fatto che comunque il mondo della socializzazione ha aumentato la comunicazione e che questa avviene più attraverso l’immagine che attraverso la forma scritta, e poi probabilmente andrà sulla voce. Allora c’è una ricerca tanto più forte della bellezza autentica, non sofisticata, la bellezza del ‘vado qui fuori con un amico, mi faccio un selfie, però voglio che sia presentabile’. Alle persone piace apparire come sono, non come se fossero dei modelli o delle modelle, ma al massimo. Credo che molti dei nostri brand riescano a farti star bene con te stesso e con gli altri, offrendo dei prodotti semplici.

La vostra fondatrice Estée pensava che bastassero tre minuti per migliorare.

Continuiamo a pensare che la cura debba essere facile e il risultato immediatamente visibile. Se uso un siero o un idratante devo vedere subito che mi uniforma l’incarnato e dà luminosità, non tanto sperare che fra quindici anni non avrò le rughe. La fragranza è un altro aspetto importante, ed è innanzitutto un’autogratificazione, io penso che il momento magico dell’uso della fragranza sia quando la indossi, quei trenta secondi che magari ti cambiano l’umore. Ti introducono alla giornata con gioia e ti danno l’entusiasmo per la serata. Con le ore il profumo te lo senti un po’ di meno, però lo sentono gli altri, magari te lo dicono e ti viene il sorriso.

A proposito di siero, è vero che è stata Estée a inventarlo?

Sì, e the little brown bottle è un prodotto che da circa trent’anni continua a essere il leader indiscusso del mercato: è quasi stupefacente come non si sia riusciti a replicarlo e che sia un’icona. Racconto spesso a cena, alle signore che sono veramente curiose, e ai signori che mi guardano sospettosi, che da quando ho cominciato a usare Advanced night repair, conosciuto ovviamente in azienda, non riesco a mettermi una crema senza aver indossato il siero prima perché l’effetto di piacere è differente. Non è che io mi curi la pelle di continuo, però l’altro giorno avevo dieci minuti e mi sono fatto una maschera, poi mi sono messo una crema, ho cominciato a leggere e mi sono detto: mamma mia, come sto bene, come sento la salute della pelle che un po’ tira, un po’ è ‘vivace’. Naturalmente su una gamba o su un piede sarebbe diverso, ma sul viso è una percezione immediata, anche dell’intelletto.

Quindi…

Dobbiamo trovare il modo di spiegare agli uomini che la cura della pelle ti fa proprio sentire meglio.