Gli Horti Farnesiani costituiscono un grandioso monumento alla ricchezza e al mecenatismo della potente famiglia Farnese, la quale si affaccia nel 1542 nell’area del Colle Palatino a Roma con una scelta tutt’altro che casuale. Quando Alessandro Farnese, che diventerà poi papa Paolo III, acquistò in quell’anno una vigna sul colle, “disegnerà” infatti chiaramente il proponimento di volersi “adagiare” intellettualmente e fisicamente sul Palazzo degli Imperatori.

Il disegno della parte più monumentale e originale dei giardini, e cioè del loro prospetto verso il Foro Romano, deve ascriversi all’architetto Jacopo Barozzi da Vignola, che dopo il primo interessamento di Paolo III, ne diede il piano generale al nipote omonimo cardinale Alessandro Farnese. Il 17 aprile 1548 il cardinale dona al fratello Ottavio gli Horti Palatini, ma a quella data è probabile che Alessandro non avesse sfruttato la vigna altroché per “cavare” materiale archeologico.

Nel 1565, anno di acquisto di un’altra vigna, Vignola non solo aveva costruito il palazzo di Caprarola, ma aveva anche elaborato il progetto dell’altro palazzo Farnese che si stava realizzando in quegli anni a Piacenza. È pertanto naturale che Ranuccio (subentrato ai fratelli Alessandro e Ottavio) si sia rivolto per questo lavoro al Palatino all’architetto di famiglia.

È anche vero però, che alcuni elementi architettonici, come le finestre rettangolari del muraglione di cinta, posseggono dei caratteri stilistici ascrivibili all’architetto siciliano Giacomo Del Duca. Con la successiva opera di Girolamo Rainaldi la realizzazione può considerarsi completata.

Nell’ideazione degli Horti le costruzioni destinate ad abitazioni furono ridotte al minimo, mentre il più largo spazio fu lasciato al giardino il quale sia per essere stato concepito sul sacro colle degli imperatori, sia per la mania collezionistica della famiglia Farnese, sia per un gusto tipico dell’epoca, ebbe la particolarità di essere “abbellito” da numerose sculture antiche. Naturalmente fontane, ninfei, pitture, alberi ed uccelli rari, non mancavano per allietare la permanenza degli ospiti, in questo luogo di gioie, piaceri e delizie.

L’architettura

Gli Horti Farnesiani occupano tutta l’area di quel vasto complesso archeologico che costituisce la Domus Tiberiana. Possono anzi essere considerati dei giardini pensili in quanto per la loro realizzazione ci si è in pratica adagiati sulla colossale costruzione (20 metri d’altezza) della casa di Tiberio. Sono distribuiti lungo un unico asse longitudinale che va dal portale d’ingresso, attraverso la rampa detta cordonata, al ninfeo della pioggia e da questo alle due uccelliere.

Questo asse longitudinale è interrotto da due assi trasversali corrispondenti al primo e al secondo terrazzamento, ed è inoltre determinato dall’asse visuale che si viene a creare con la Basilica di Massenzio, in relazione alla quale si trovano posizionate le architetture degli Horti. Il visitatore fa quindi l’esperienza di questo asse ottico che costituisce il polo di attrazione di tutto il complesso.

I precedenti tipologici di questo tipo di composizione che sfrutta una disposizione assiale degli elementi posti su terrazze e collegati da scale sono molti, ma potremmo citare solo il Tempio della Fortuna Primigenia a Palestrina.

La fronte principale era in basso, delineata da un lungo muraglione, che attribuiva al complesso un aspetto più di fortezza che di giardino. Lungo il muraglione si apriva il portale, spostato nel 1957 su via di San Gregorio. Questo si articola su due piani, l’inferiore con vigoroso bugnato, il superiore con loggia e balaustra, la cui parete di fondo si apriva in un arco con capitelli inquadrato da due lesene davanti alle quali sono due erme di donna poggianti su base a tronco di piramide; su ciascuna delle basi delle erme sono applicate una protome leonina e uno stemma Farnese.

La cordonata, le cui pareti erano ricoperte di edera, raggiungeva il ninfeo della pioggia, costituito da un vasto ambiente a pianta rettangolare, in parte sotterraneo. Il termine ninfeo nella tradizione classica è usato come luogo destinato all’abitazione delle ninfe: erano questi i luoghi rustici e ameni di ritrovo per filosofi e poeti, e proprio con questo parallelismo il Rainaldi ideò il suo ninfeo.

La parete frontale è adorna di una fontana di forma cuspidata inserita in una nicchia, interamente decorata da rocce, concrezioni calcaree e stalattiti. All’apice della nicchia è posto un piatto, decorato alla base da stalattiti, sul quale stilla l’acqua a gocce e il suono che essa produce ha così caratterizzato la fontana, da farla ricordare nelle fonti come la “fontana della pioggia”.

Il ninfeo è coperto da volta a schifos, cioè da volta a padiglione, la cui sommità è tagliata da uno specchio rettangolare leggermente concavo dove è dipinta una balaustra dalla quale si affacciano dei suonatori. Due scale simmetriche raggiungono la terza terrazza e il teatro del fontanone che, insieme alle uccelliere del terrazzo superiore, fungeva da fondale conclusivo di tutto l’itinerario ascendente degli Horti Farnesiani. Il fontanone è formato da una nicchia absidata, chiusa da un arco su mensole profilate da un cordolo e inquadrata in alto da una cornice aggettante e sui fianchi da due pilastri a bugnato rustico. Sulla cornice è impostata una balaustra in marmo con quattro piedritti, che fungono da basamento per altrettante statue, oggi mancanti. All’interno la nicchia è decorata da stalattiti da cui cade acqua in un ampio bacino polilobato. Davanti alla vasca era interrato un sistema di condutture che permetteva l’improvviso comparire di zampilli per scherzi d’acqua.

Le uccelliere si ergono sopra i due alti muri ai lati del fontanone, esse sono costituite da due costruzioni a pianta approssimativamente quadrata, coperte in origine da tettoie a pagoda di struttura metallica sormontate da un giglio farnese: erano destinate ad accogliere uccelli rari ed esotici. Qui cessa l’asse prospettico e il percorso in salita, mentre i giardini si distendono pressoché in piano, fino all’opposto ciglio del colle Palatino verso il Circo Massimo e verso il Campidoglio.

Il giardino si presentava, e in parte si presenta, a scomparti regolari e rettangolari limitati da siepi con inseriti alberi di alto fusto. Vicino al ninfeo della Domus Flavia si trova il casino dei fiori, le cui logge erano completamente dipinte mentre oggi conserviamo solo quelle del soffitto che raffigurano la leggenda di Ercole e Caco. All’angolo sud occidentale spiccavano il giardino segreto, riservato al solo principe, e, accanto a questo, il selvatico recintato da alte mura, dove le piante erano lasciate allo stato agreste.

Limitata da alberi d’alto fusto si trova una fontana con bacino a frastagli, siamo in presenza della fontana dei platani. Da qui due scale scendono ad un livello più basso dove si trova il ninfeo degli spechi, “scoperto” nel 1914. Il ninfeo, absidato, del diametro di m 6,50, doveva originariamente essere ricoperto da cupola a semicatino; contiene tre nicchie incrostate da stalattiti e gli spazi intermedi da mosaici e stucchi. Nel pavimento con mosaici di serpentino, marmo giallo e azzurri gigli, trovavano posto cerchi di tubetti di piombo destinati a giochi e scherzi d’acqua, il che era abituale nei giardini romani dell’epoca.

Il declino

Già con la morte di Odoardo tutte le proprietà romane della famiglia, e gli Horti in particolare, persero lo splendore che conferiva loro il principe residente. Dopo l’estinzione del ramo maschile dei Farnese, ci fu il trapasso delle loro proprietà ad Elisabetta regina di Spagna e quindi a Don Carlos di Borbone, futuro Carlo III di Napoli e di Spagna, che intraprese scavi nella zona centrale della Domus Flavia distruggendo necessariamente parte dei giardini.

Gli Horti rimasero in possesso dei Borboni fino al 1860, quando li acquistò Napoleone III, sempre allo scopo di compiervi degli scavi. Nel 1870 divennero proprietà dello Stato italiano, mentre gli scavi proseguirono sistematicamente. L’elegante grandiosità scenografica, che gli architetti farnesiani avevano creato, è andata perduta, l’archeologia trionfò a spese dell’arte, e della villa Farnese rimasero pochi resti.

La rinascita, gli ultimi restauri, la mostra

Dal 1980, l’allora Soprintendenza Archeologica di Roma, manifesta la volontà di riqualificare gli Horti Farnesiani e ricomporre il tessuto continuo che nel tempo si era stabilito fra presenze antiche e sovrapposizioni cinque e seicentesche. Da quel periodo si è dato l’avvio ad un programma di studi, pubblicazioni, rilievi, progetti e restauri condotti dagli architetti Roberto Luciani e Giuseppe Morganti, che si è proposto di riqualificare e rendere leggibile il denso spessore storico-artistico-archeologico del complesso. Si è intervenuti anche sulle mostre d’acqua dei giardini. Il ninfeo della pioggia, il teatro del fontanone e la soprastante fontana di Venere costituiscono un unico “asse d’acqua” a più livelli, alimentato dall’Acqua Felice, di cui il cardinale Alessandro ottenne la concessione nel 1588.

Il ninfeo degli spechi è stato interessato da un accurato rilievo e da un progetto di restauro che ha previsto anche il ripristino dell’impianto idraulico e della siepe liquida di chiusura, cioè una moltitudine di tubetti inseriti a terra dai quali zampillava l’acqua in getti verticali da formare una “siepe”.

Altro importante intervento di restauro è iniziato nel 2013 e costato 1,5 milioni di euro (di cui 483 mila messi a disposizione dal World monuments fund) che ha permesso di intervenire sul teatro del fontanone, il casino dei fiori e le uccelliere. A conclusione dei citati lavori il Parco Archeologico del Colosseo ha promosso la mostra, attualmente in corso, Il Palatino e il suo giardino segreto, ideata da Giuseppe Morganti e da lui curata in collaborazione di Paola Brunori, capace di far rivivere, attraverso pannelli distribuiti lungo il percorso e tecnologie multimediali, l’antico splendore dei giardini romani (catalogo Electa).

In particolare, si potranno ammirare alcune sculture, tra le quali Iside Fortuna e il Barbaro inginocchiato, prestate dal Museo Archeologico di Napoli ma originariamente negli Horti; mentre nel ninfeo della pioggia, alcune applicazioni multimediali consentono di far “rivedere” gli affreschi perduti e l’atmosfera originale che si percepiva in questo triclinio estivo della potente famiglia Farnese.