Diventai il Pazzo in una frizzante notte di giugno. I bronchioli terminali irrorati dall’hashish come dal Napalm le foglie Vietnamite. Eravamo tutti altrettanto bruciati. Mentre Beppe, Giulio e Dario ridevano, intravedevo per la prima volta oggetti rarefatti, fino ad allora celati dal manto stellato. Dal culmine della collina, la Muraglia di Ciaixe dominava imperturbabile la città.
Ciò che di tenebroso sopravviveva al brutale stupro delle luci elettriche cominciò a declamare in mia vece. Lo sforzo di ricordare quale fosse il contenuto dell’estatico delirio sarebbe futile. Ma so che continuai per diversi minuti a occuparmi del suono delle parole che spingevano la mia lingua asciutta. La droga aveva finito per costituire un’utile voce di spesa. Conoscenza efficace si affacciava alla mia giovanissima mente per la prima volta. Se ero giovane i miei imberbi amici lo erano di più. Giulio approfittò dell’agognato silenzio non appena ebbi concluso l’orazione improvvisata e inattesa. Tu sei Pazzo!
Quella notte sgorgò una leggenda dall’aspetto d’un fiore la cui corolla segua l’orbita lunare.
Dove ci trovassimo non contava. Il mondo, opalescente ai margini della nostra percezione, smerigliava la noia attraverso l’immaginazione. Profumavamo d’avanguardia. Le giovani donne ambivano alla nostra ironia e ai glabri corpi puberali. Eravamo musicisti, pittori, poeti. Scaltri giullari anarchici in attesa d’una mattina di sonno da introdurre col sistematico sconvolgimento di tutti i sensi. Persone note presso i professori, il preside, le autorità.
Nella seconda metà degli anni ’90 sceglievi se ascoltare Hip Hop e sbombolare sui muri o pogare sul rumore del Grunge. Non se eri noi. Potevamo defluire dal corso principale e sfociare in magiche radure di giunchi viola. Sapevamo per istinto che l’unico antidoto al male di vivere era un fiume di atroce ironia surreale. Interpretavamo l’attimo presente come veri punk, ma eravamo dandy raffinati. La piccola comunità liceale era conscia di fremere in attesa che istruissimo il suo gusto. Introducevamo mode, dischi ed espressioni gergali. Il continuum spazio-temporale coloniale non inficia affatto le nostre ispirazioni furiose. Sebbene oggi riconosca, sotto una prospettiva infinita ed eterna, che stavamo soltanto ricevendo gli scarti anglosassoni del ventennio precedente, profumavamo di fresco.
Poi Beppe è rimasto chiuso in casa per la fobia sociale, troppi classici russi ed esperimenti psicotropi lo hanno infine convinto che avrebbe ucciso una vecchia e non sarebbe sopravvissuto ai sensi di colpa. Giulio ha insegnato l’italiano in tre continenti e ora schiva le denunce dei genitori nello stesso liceo su cui regnavamo. Dario, dopo aver ricercato risposte per dieci anni fra le fette di cervello dei roditori in un’università svizzera, avrà un figlio da Ilaria. La stessa fisica teorica che ha abbandonato l’accademia per insegnare Steiner. Troppo presto evaporò il bisogno di urlare a squarciagola sul volto spugnoso del re, Sei nudo!
Tutti loro, nel terrore della propria unicità, non si limitano a tollerare la lebbra umana, bensì la blandiscono e quasi concupiscono.
Dopo essere passato un paio di volte dal banco degli imputati, il Pazzo, sempre assolto per vizio di mente, fischietta lungo i sentieri scoscesi del bello. Risulta immune ai meccanismi terribili dell’omologazione e dell’integrazione. Trascorsi dieci anni di stigma e solitudine è tornato a respirare lo smog di Ventimiglia perlomeno quando deve predare. Non lavora un minuto più del necessario.
Ora si chiama Cat2peel… sebbene da allora sia rimasto fedele a se stesso.