Nel passato, al tempo dei mecenati, illuminati signori favorivano le menti e le arti più promettenti attraverso il sostegno finanziario e logistico. Così accanto alle botteghe dei grandi artisti si sviluppavano vere e proprie scuole nelle quali si formarono i più grandi geni della pittura, della scultura, dell’architettura. Un sistema che nel nostro Paese ha prodotto quella stagione irripetibile per le vette raggiunte che va sotto il nome di Rinascimento con il bagaglio del Medioevo e lo sguardo rivolto al futuro. Un periodo che ha informato di sé e ancora informa la vita artistica e culturale a livello internazionale.
Quello di cui vogliamo parlare è però un fenomeno diverso: quello nel quale la passione per l’arte, unita alla capacità imprenditoriale e, naturalmente, alla disponibilità finanziaria, può produrre una ricchezza e un patrimonio culturale ed artistico che va oltre il suo artefice e diviene eredità per tutti, oggi usa dire heritage.
È questa la storia e la parabola di Luciano Sorlini (1925-2015) importante imprenditore bresciano la cui famiglia, originaria della Valcamonica, si specializzò sin dall’Ottocento nel settore della lavorazione dei metalli. Con il trasferimento nella città di Brescia, i Sorlini diversificarono i propri interessi e Luciano aprì nel 1960 il proprio stabilimento a Calvagese della Riviera (nell’immediato entroterra del Garda), paese che ben presto scelse come sua principale residenza e dove acquistò nel 1988 un palazzo seicentesco. Quel palazzo è oggi divenuto sede di un importante Museo a lui dedicato e nel quale sono racchiusi quasi tutti i dipinti e gli oggetti artistici da lui acquistati nel corso della vita prima per passione, qualche volta per interesse, sempre con la convinzione di circondarsi di arte e bellezza.
Arte e bellezza che lo circondavano anche nel palazzo sul Canal Grande, già dimora della famiglia Grimani e nel Castello di Montegalda vicentina. A questi beni i suoi eredi, i figli Cinzia, Silvia e Stefano e i nipoti hanno voluto dare un senso compiuto nella Fondazione a suo nome – istituita con lui stesso nel 2000 – e riconosciuta dallo Stato, con il compito di creare un luogo da aprirsi al pubblico in grado di conservare, valorizzare e condividere le opere raccolte con interesse e passione. Questo, l’atto di nascita nel palazzo di Calvagese, del MarteS, Museo d’Arte Sorlini, istituito nel 2017 e aperto al pubblico dallo scorso 31 marzo. Una collezione di 154 opere scelte personalmente e con l’ausilio di esperti e critici tra i quali Egidio Martini (1919-2011), studioso di pittura veneziana del Settecento, restauratore, collezionista lui stesso.
Al MarteS, in realtà, sono esposte oltre 180 opere. A quelle iniziali se ne affiancano altre che gli eredi hanno deciso di depositare nel Museo nell’ambito del ruolo della Fondazione. Punto di riferimento, di scelta e di predilezione il Settecento veneziano. Oltre ai grandi nomi come Tiepolo, Ricci, Guardi, Canaletto, pittori meno noti, ma fondamentali per la comprensione complessiva delle arti figurative della Serenissima: Pittoni, Diziani, Molinari, Bellucci, Fontebasso e molti altri. Quindi la pittura del Settecento veneziano e soprattutto la pittura di figura: gioiose scene mitologiche, episodi tratti dal Vecchio Testamento. Totalmente assente la natura morta, non numerosi i ritratti, ai Vedutisti preferì il paesaggio in senso lato.
Non mancano però opere di alto rilievo anche se lontane dal gusto personale, come la Madonna di Giovanni Bellini (Venezia 1430-1516) o il ciclo di 6 grandi teleri di Gianantonio Guardi (Vienna 1699-Venezia 1760) raffiguranti le Storie di Giuseppe ebreo, già arredo di Palazzo Grassi, poi di proprietà del principe Lutormirski. L’edificio in cui ha sede il MarteS è un tipico palazzo bresciano seicentesco, caratterizzato da un massiccio corpo di fabbrica il cui accesso permette di comprendere la natura di un ben più articolato e ampio complesso architettonico. Il percorso espositivo prevede l’organizzazione delle 183 opere per “gruppi tematici” ospitati in 14 ambienti, nell’intento non solo di poter presentare al pubblico i dipinti, ma anche di poter “raccontare” l’evoluzione della collezione.
Alla fine del 2017 la Fondazione Luciano Sorlini ha disposto la ricongiunzione, a Calvagese, dell’intera Collezione di dipinti, suddivisi tra gli arredi del Palazzo di Venezia sul Canal Grande e nel Castello di Montegalda vicentina. Alle opere già presenti si sono uniti 84 dipinti, principalmente veneziani e veneti del XVII e XVIII secolo. A Venezia erano collocate le maggiori opere di Gaspare Diziani, Gian Battista Pittoni, Marco e Sebastiano Ricci, Gianantonio Pellegrini e Gianantonio Guardi.
Il percorso espositivo attuale prevede l’organizzazione delle 183 opere per “gruppi tematici” ospitati in 14 ambienti, nell’intento non solo di poter presentare al pubblico i dipinti, ma anche di poter “raccontare” l’evoluzione della collezione. È il caso dei due straordinari fondi oro, uno del trecentesco artista noto come Maestro di Panzano, l’altro di Gherardo Starnina (attivo a Firenze tra il 1387 e il 1409).
Di particolare pregio la tavola del pittore ferrarese del Cinquecento Ludovico Mazzolino (già Collezione Costabili) raffigurante la Sacra Famiglia con i Santi Sebastiano e Rocco (1511), la Giuditta con testa di Oloferne del forlivese Marco Palmezzano (1459-1539) e il capolavoro assoluto di Giacomo Ceruti detto il Pitocchetto (1698-1767) raffigurante la Vecchia contadina (già Collezione Monti della Corte). Eccezionali i recuperi del polittico di Callisto Piazza da Lodi (1500-1561) raffigurante la Natività e Santi (1524) proveniente dalla Chiesa bresciana dei Santi Simone e Giuda Taddeo e delle portelle d’organo di Carletto Caliari (1470-1596) provenienti dalla Chiesa veneziana di San Nicola dei Mendicoli, oggi collocate sulla parete dello Scalone d’ingresso al Museo.
La Galleria è il primo grande ambiente ed esibisce opere pittoriche del Settecento veneziano. L’allestimento suggerisce una disposizione “a quadreria”. Tra le opere si segnalano in particolar modo La Verità svelata dal Tempo di Sebastiano Ricci (1659-1734), il Cristo e la Samaritana di Giandomenico Tiepolo (1727-1804), l’Angelo della Fama di Giambattista Tiepolo (1696-1770) e Il trasporto dell’Arca dell’Alleanza del meno noto, ma raffinatissimo, Giovanni Battista Crosato (proveniente dalla Collezione parigina di Alvar Gonzales-Palacios). Notevole il gruppo di opere di Gaspare Diziani (1689-1767). Tre eccezionali lampadari veneziani in vetro colorato rendono questo grandioso ambiente di particolare impatto, anche grazie ad alcuni significativi arredi lignei come la console con specchiera e seggiole veneziani, in legno laccato azzurro, realizzata nel Settecento per la famiglia Dolfin. Perfettamente funzionante l’orologio da tavolo italiano del periodo Luigi XV, proveniente da Palazzo Sorlini sul Canal Grande.
Proseguendo la visita si passa nella stanza di Pietro e Alessandro Longhi. In questo ambiente ritroviamo opere di Pietro Longhi, sia ritratti che opere di genere come le due tele raffiguranti L’allegra compagnia e La polenta. Il figlio di Pietro, Alessandro, fu molto ricercato come ritrattista ed è qui presente il Ritratto ufficiale di Francesco Grimani, affiancato dai due bozzetti preparatori. Notevoli le due opere di Jacopo Amigoni (Napoli 1682-Madrid 1752): l’Immacolata Concezione e il Ritratto del Marchese de La Ensenada, già di proprietà del più famoso cantante lirico settecentesco della storia, Carlo Brioschi detto Farinelli.
Si passa quindi alla Saletta detta dei Paesaggi. Nella scelta dei dipinti Sorlini non amava particolarmente le vedute, prediligendo invece i paesaggi. Troviamo alcune curiose battaglie di Francesco Simonini e paesaggi di Marco Ricci, Canaletto, Zais, Luca Carlevarjs. Di grande valore il gruppo di opere eseguite su carta e tela di Giuseppe Bernardino Bison (1762-1844), a conferma della fortuna che il genere del paesaggio veneziano di matrice settecentesca godette anche nel XIX secolo.
Spostandosi ancora, seguendo l’itinerario si arriva alla Stanza della pittura barocca del Seicento, dove sono esposte le opere di alcuni dei maggiori artisti veneziani del periodo barocco a dimostrazione della ricerca condotta dai pittori che, dalla corrente tenebrosa, giunsero a schiarire la propria tavolozza sino ad introdurre il più tipico luminismo veneziano del XVIII secolo. Oltre alle opere di Pietro della Vecchia (1603-1678), Giulio Carpioni (1613-1678) e Girolamo Forabosco (1605-1679), particolare nota meritano la straordinaria tela di Andrea Michieli detto il Vicentino (1542 circa-1618) raffigurante Il Corteo della Dogaressa Morosina Morosini Grimani (proveniente dal Castello Turn Und Taxis di Duino presso Trieste) e una tela del veneziano Andrea Celesti raffigurante Santa Edvige Regina di Polonia (Venezia 1637-Toscolano Maderno 1712) pittore che, trasferitosi sul Garda divenne uno dei più rinomati artisti seicenteschi attivi nel bresciano. Completano la stanza opere di Francesco Maffei (1605-1660) e Sebastiano Mazzoni (1611-1678).
Subito dopo si entra nel Salone di Diana che accoglie un raro telero (nome attribuito a Venezia a vaste composizioni pittoriche su tele, riunite in cicli storico-narrativi, che furono, nel Quattrocento e nel Cinquecento, la decorazione murale preferita) di Giacomo Ceruti che si trovava già presso il Palazzo Arconati Visconti a Milano e raffigurante Diana scoperta da Atteone, a cui si accosta, per medesimo soggetto iconografico, la Diana di Gaspare Diziani che figurava nel “Salotto Rosso” del palazzo veneziano dei Sorlini. In questo vasto ambiente sono collocate opere di grandi dimensioni del Sei e Settecento come la pala con la Madonna del Carmelo di Antonio Balestra (1666-1740) affiancata da un’opera di carattere mitologico dello stesso artista e raffigurante Achille che consegna alla famiglia il corpo di Ettore (1734). Ancora di interesse il dipinto seicentesco di Alessandro Varotari detto il Padovanino (1588-1649) raffigurante Vulcano che scopre l’adulterio di Venere e Marte, Lot e le figlie di Pietro Liberi (1605-1687), la Primavera e l’Estate di Giulio Carpioni.
Proseguendo il cammino si arriva alla Sala del Giambellino dove si trova uno dei dipinti di maggior valore artistico e storico, una vera icona del Museo, il dipinto su tavola eseguito da Giovanni Bellini (acquisito nel 2000), la Madonna con Bambino che fu dei Contini Bonacossi, è attorniata da alcune altre opere del primo Cinquecento, tra queste la Madonna di Bramantino (1456-1540), il Riposo durante la fuga in Egitto di Giovanni Gerolamo Savoldo (1480-1530), la Sacra conversazione di Domenico Campagnola (1500 circa-1564). Segue la stanza di Giuditta, costruita nel XIX secolo, quando al corpo di fabbrica principale del palazzo si aggiunse un’ala domenicale. Le pareti sono interamente decorate con paesaggi dell’Ottocento bresciano. Tra i dipinti una Sibilla di Jacopo Palma il Vecchio e dalla Giuditta con la testa di Oloferne di Marco Palmezzano.
Successivamente, sulla parete della scala trova posto una intensa opera raffigurante San Giovanni Battista eseguita da Battistello Caracciolo, artista napoletano del XVII secolo. E siamo al nono step con la saletta di Callisto Piazza da lodi che ospita due gruppi di opere: il polittico eseguito nel 1524 per la Chiesa bresciana dei Santi Simone e Giuda Taddeo e raffigurante la Natività e Santi. Notevoli le due coppie di Santi, parti di un polittico eseguito ugualmente dallo stesso autore, già creduto opera di Moretto ma che testimonia invece l’adesione di Callisto Piazza allo stile del maggiore pittore bresciano del Cinquecento. L’eccentrico linguaggio di Romanino è invece ricordato dalla Cleopatra opera di Francesco Prata da Caravaggio.
La stanza di Fondi oro accoglie un trittico del senese Maestro di Panzano e una piccola ancona di Gherardo Starnina eseguita all’inizio del Quattrocento. Questi due dipinti attestano l’attenzione di Sorlini nei confronti dell’arte non veneziana. I fondi oro dialogano in questa stanza con il dipinto più antico della Collezione: la Pietà di Nicoletto Semitecolo, realizzata nel 1367 e parte di un polittico concepito per la Cattedrale di Padova.
A questo punto si arriva in uno dei punti più rilevanti della collezione, la sala del Pitocchetto, con due capolavori del pittore milanese Giacomo Ceruti detto appunto il Pitocchetto: il Bravo e la Vecchia contadina. Il pendant, proveniente dalla Collezione dei Baroni Monti della Corte è considerato uno dei vertici della pittura della realtà lombarda e di soggetto pauperista del XVIII secolo. Accanto troviamo alcune teste di carattere e ritratti veneziani, che dimostrano quanto fossero diversi gli esiti raggiunti dalla Scuola veneziana e lombarda nel Settecento.
Verso la conclusione della visita al Museo si arriva nella Biblioteca d’arte che raccoglie ricchi volumi dedicati alla pittura e vi trovano collocazione tutti i dossier dei dipinti della Collezione, consultabili su richiesta. Alla parete una derivazione seicentesca dalla pala di Alessandro Turchi detto l’Orbetto raffigurante i Quaranta martiri.
Tornando al piano terreno si attraversa il Salone di Francesco e Gianantonio Guardi dove si conclude il percorso espositivo. L’ambiente accoglie uno dei più interessanti cicli pittorici di collezione privata eseguiti da Gianantonio Guardi. Sei tele raccontano gli episodi salienti della Vita di Giuseppe ebreo, figlio prediletto di Giacobbe. Le tele, databili verso la metà del Settecento e portatrici di uno stile rococò di gusto internazionale, vennero realizzate per Villa Bombardini a Bassano del Grappa, e all’inizio del Novecento vengono trasferiti a Venezia, in Palazzo Grassi, tra le raccolte Stucky e quindi verso il 1930 vennero acquistate dal principe Lutormirski. Le opere di Gianantonio sono collocate accanto ad alcune opere del fratello Francesco, tra cui la Pietà, considerata una pietra miliare per la comprensione dell’opera di Francesco Guardi figurista.
Un patrimonio, dunque di eccezionale valore, che viene reso disponibile al pubblico nella convinzione che l’arte sia uno strumento di conoscenza e cultura e che la sua fruizione debba essere possibile per tutti, sia per apprezzarne valore e significato, sia per conoscere in un certo senso chi con interesse, determinazione e soprattutto grande amore per l’arte ha trascorso la sua vita nell’impegno di salvaguardare, proteggere e valorizzare tesori d’arte legati a stagioni di particolare interesse dell’arte del nostro paese a cavallo tra le regioni lombarde e quelle venete! Una funzione sociale dunque che va sottolineata e apprezzata.