Metà maggio, aria fresca frizzante e appuntamento in Via Antonio Gramsci 74, zona centrale di Roma, presso l’Istituto Giapponese di Cultura, inaugurato il 12 dicembre 1962.
Una visita (gratuita e guidata) prenotata da tempo, con qualche difficoltà a trovare la data giusta, ma finalmente ci siamo. Siamo pronti a varcare la soglia del primo giardino realizzato in Italia da un architetto giapponese, Ken Nakajima, lo stesso delicato artista che ha progettato l’area giapponese dell’orto botanico di Roma, fonte di ispirazione di tanti scrittori e poeti. Un angolo di pace nel caos capitolino, un momento di tregua dal rumore e dai colori accecanti di un asfalto rovente. Verde contro rosso-arancio, silenzio contro quiete, linearità contro disomogeneità, pausa contro movimento frenetico.
Il giardino giapponese di via Gramsci è un piccolo gioiello di circa 1450 m2, uno scrigno prezioso e impreziosito dalla quiete che si percorre in mezz’ora, tanto il tempo che viene dedicato a ogni gruppo (per fortuna sempre piccolo e limitato) di visitatori. Vi compaiono tutti gli elementi essenziali e tradizionali del giardino stile sen’en (giardino con laghetto): il laghetto, la cascata, le rocce, le piccole isole, il ponticello e la lampada di pietra tōrō. Un mondo in miniatura, una perfezione dal grande significato, un luogo di piacere estetico ma soprattutto di tranquillità, contemplazione e meditazione. Alla natura si guarda con rispetto, senza possibilità alcuna di sfida. È lei a decidere e primeggiare.
Il giardino ruota intorno a una palazzina di tre piani progettata dall’architetto Yoshida Hisoya, ispirata a una dimora signorile del periodo Heian (IX-XII secolo). Dalla sua veranda (tsuridono) che si affaccia sul laghetto si può godere la vista del paesaggio e ammirare le piante profumate: il ciliegio (in fiore ad autunno, i famosi sakura), il glicine, gli iris e i pini nani. Ad avvolgere solo il colore verde, quello di uno smeraldo che sorride. Fra il rumore cullante dello scorrere dell’acqua dove nuotano le carpe (simbolo di tenacia di fronte agli ostacoli quotidiani, rappresentati dai sassi dello stesso lago) e il fruscio suggestivo delle piante, si entra in una dimensione di puro rilassamento, quello tanto difficile da ritrovare, che riconcilia con il mondo.
Gli alberi adulti, che nella tradizione giapponese vengono piantati in armonia con la veduta che l’architetto vuole ottenere, sono orientati e direzionati con grande cura. Le siepi di canne di bambù rappresentano un tema frequente a simboleggiare una stretta relazione fra componenti naturali e acquisiti. E poi il bambù, ci spiega la sorridente guida che ci accompagna, si caratterizza per la sua forza e tenacia, per la capacità di piegarsi alla violenza e all’impeto del vento senza spezzarsi, proprio come deve avvenire nella via reale. Simbologia rassicurante e fonte di ispirazione.
Nell’ambito della filosofia cui si ispirano i giardini giapponesi, vi è poi anche un modo prestabilito per progettare il sentiero: bisogna rispettare il naturale assetto del terreno, mettendo nella giusta posizione le pietre principali e quelle secondarie. Il sentiero assolve due compiti importanti: offre un passaggio per percorrere il giardino e collega visivamente due o più punti principali. E anche noi lo percorriamo guardando qua e là per trovare connessioni, non solo fra le cose e gli spazi ma fra noi e quel luogo, fra noi e la natura. Riconciliarsi con il mondo, vedere e andare oltre, sentire altro. Qui si può. In un attimo.
Alcune pietre possono poi essere poste nel laghetto, come accade anche qui. Quelle che formano la cascata provengono dalla campagna toscana. Tutto a riprodurre l’essenza del paesaggio naturale, in una ricerca continua di bellezza, ordine e armonia. Di fronte al ciliegio vi è un bellissimo ulivo, la convivenza tra tradizione nipponica e mediterranea. Un abbraccio pacifico e conciliatore. Uno stare insieme che ristora.