La vita è come un Giano Bifronte rappresentato con due volti che guardano in direzioni opposte: l’inizio e la fine, l’entrata e l’uscita, l’interno e l’esterno. La salute e poi, d’improvviso, la malattia. La malattia che giunge sempre al momento sbagliato, interrompendo di colpo progetti e speranze. Spazzando via – con la sua irruenza – quell’agenda fitta di impegni di lavoro, bambini da portare a scuola, amici da coccolare, relazioni.
Per un certo periodo, a volte anche piuttosto lungo, sembra che il ritmo della vita normale rimanga sospeso e che non ci sia spazio per altro che per essa. Eppure, in questo tempo così particolare vissuto da ognuno in modo diverso, ma generalmente condiviso, possono succedere molte cose, racconta chi ci è passato. Ci si può rendere conto di essere molto più forti di quello che si credeva, per esempio. Si possono rivedere le priorità della propria vita, trovare nel proprio intimo risorse fino a quel momento rimaste nascoste. Lo sa bene quell’esercito di oltre 300mila donne italiane che negli ultimi 10 anni si è trovato a combattere e a superare il cancro al seno: una patologia difficile da accettare, ma dalla quale - sempre di più - si può guarire. Grazie alla diagnosi precoce, ai progressi della scienza e a medici che ogni giorno dedicano generosamente la loro parte migliore, il loro tesoro più profondo, alle pazienti per aiutarle a sfidare il cancro e a ricominciare. Con coraggio, affrontando la paura.
Sono storie di vita quotidiana di donne giovani o meno giovani che il cancro ha reso incredibilmente forti. Sono inni alla vita, un regalo per altre donne, per i loro cari e per tutte le persone che le hanno curate. Come quella di Concetta, che racconta: “La malattia arriva così, in un giorno qualunque, ti piomba addosso e non chiede il permesso, non ti lascia tempo. Arriva, sconvolge tutto e ti disarma. Per la prima volta inizi a pensare e vedere il tuo corpo in modo diverso, a renderti conto che fino a un attimo prima tutto taceva, tutto funzionava alla perfezione e, un attimo dopo, il tuo corpo si fa sentire. È quello che ho provato quando mi è stato diagnosticato il carcinoma al seno. Sulla terra ci sono 7 miliardi di abitanti eppure io mi sentivo sola, mi perdevo nelle parole del medico. Lo confesso: avevo smesso di ascoltarlo subito dopo aver sentito la parola ‘tumore’. Non mi importava che ci fossero buone possibilità di guarire, non mi interessava sapere quale sarebbe stato l’iter, volevo solo capire perché proprio a me. Forse non avevo già sofferto abbastanza nella mia vita? Non avevo già messo abbastanza alla prova la mia forza, la mia tenacità, il mio carattere?”.
“Rifiutavo la diagnosi. Guardavo il mio seno modesto e non vedevo segni di malessere. Eppure, dentro di me, proprio sotto le mie mani, le cellule stavano impazzendo. Tutte le persone care, il senologo, i vari dottori mi parlavano di forza, di guerra, di combattimento, di battaglia, ma io non sapevo dove trovare le forze per reagire. A fatica, e un po' acciaccata dal primo intervento, mi sono sottoposta anche al secondo: una mastectomia. Ero un po' frastornata, ma stavo facendo l’unica cosa che si potesse fare con una diagnosi come la mia, se volevo almeno contrastare il male che mi affliggeva. E magari vincerlo”.
“Pensate forse che l’intervento risolva tutto? Magari, rispondo. È da qui che parte la vera guerra. È qui che si realizza che provare a combattere ci rende forti. Dopo l’operazione, ho iniziato il ciclo di chemioterapia: le prime volte mi sono fatta accompagnare e sorreggere; ma poi ho capito che potevo farcela anche da sola. Sì, proprio con le mie gambe! Salivo in macchina, arrivavo in ospedale, tornavo a casa e, quasi senza rendermi conto che ero appena tornata da una dose (così la chiamavo), iniziavo a riprendermi la mia vita e a fare progetti per il futuro.
Certo, ho avuto la fortuna di incontrare grandi medici, di conoscere la nostra buona sanità che cura tutti indistintamente: mi sono imbattuta, lungo la strada, in tanti angeli con le sembianze di uomini che hanno sempre saputo vedere me, la donna che ero, e non il problema. Io, parte del mio iter, e mai un oggetto della cura”.
“Il cammino è stato lungo, ma non sono mai stata sola. Ho avuto al mio fianco la mia famiglia, le persone che mi hanno sempre amato incondizionatamente e che hanno cercato di rincuorarmi e darmi la forza. Mia madre, poi, una donna forte che ne ha passate tante: anche lei probabilmente si chiedeva ‘perché proprio a sua figlia?’, ma sono convinta che alla fine di questo percorso abbia capito che tutto ciò è capitato a me perché avevo la forza per combattere e vincere questa guerra.
E poi la solidarietà di tante altre donne conosciute nel gruppo terapeutico per pazienti fondato dal dott. Marco Iera, oggi direttore dell'Istituto clinico Brera di Milano, per farci incontrare e condividere insieme le nostre esperienze. Successivamente questo gruppo, grazie al dott. Iera, Federica, Eva e Monica, è approdato su Facebook e infine nell’organizzazione di alcune giornate evento dal titolo “Le Guerriere. Il coraggio nella paura. Una di queste è stata una bellissima giornata in goletta tra i meravigliosi paesaggi della laguna di Venezia: il concetto è che se si tiene la mente impegnata, si riesce a reagire anche dal punto di vista psicologico senza pensare sempre alla malattia. E il mare e la barca a vela sono una location perfetta, perché in barca si fa spirito di squadra, si condivide tutto. Il mare è sinonimo di speranza e profondità, a mare siamo tutti uguali.
Alle donne che si ammalano voglio dire che non sono sole. Si guarisce da questo male: bisogna solo trovare la forza per combattere. Non arrendetevi al primo ostacolo, so che la malattia non sarà l’unico problema, ma provate a non dimenticare mai chi siete. Il cancro non può e non deve cancellare la vostra anima e la vostra voglia di vivere. Si può vincere! Il più prezioso dei miei angeli, il dott. Marco Iera, mi ha regalato un seno nuovo. Quelle due rotondità mi hanno ridato una vita, mi hanno fatto sentire di nuovo donna. Hanno rappresentato una svolta, una linea di confine, per ripartire da capo: ripartire da me”.
I risvolti positivi della ricostruzione
La mammella è da sempre riconosciuta come simbolo di femminilità. È molto spinoso per una donna gestire la mutilazione derivante da una mastectomia, perché insieme al tumore si ha l’impressione che sia stata asportata anche quell’immagine di sé che rimanda alla femminilità in tutte le sue sfaccettature (materna, erotica, simbolica), generando un sentimento di crisi di identità, un senso di perdita irreparabile e di rabbia. Per questo, uno degli obiettivi della moderna oncologia è quello migliorare la qualità della vita della paziente non solo dal punto di vista della cura, ma anche nel rapporto con il proprio corpo: anche quando la mastectomia totale non può essere evitata - come è successo a Concetta - attraverso la ricostruzione si evita alla donna di vivere la malattia come una mutilazione. Negli ultimi anni, la ricostruzione della mammella è entrata a far parte a pieno titolo della cura del cancro al seno, tanto da essere riconosciuta a carico del Servizio Sanitario Nazionale. La paziente, oltre che guarire, può in questo modo migliorare la qualità di vita, sentendosi a proprio agio con il corpo. Alcuni studi scientifici hanno dimostrato, inoltre, che le donne ricostruite dopo una mastectomia hanno una migliore risposta alle cure oncologiche perché, avendo rispristinato il seno mutilato, reagiscono in maniera più positiva dal punto di vista psicologico.
Il gruppo Le guerriere Sciences ArtS&Events affonda le proprie radici nel gruppo storico “Le guerriere” fondato quattro anni fa da donne malate di cancro al seno che si sono conosciute grazie al supporto e all’aiuto del loro chirurgo plastico dottor Marco Iera, che ha fatto in modo che si conoscessero e si incontrassero. Il gruppo si è poi espanso e sviluppato in "Le guerriere Sciences ArtS&Events" ispirato alla voglia di vivere delle tre guerriere: Federica, amante dello sport all'aria aperta, natura e avventura; Monica per la sua passione per i viaggi e la scoperta del mondo e Eva per la sua passione per l'arte e le varie forme di creatività, diventando più specifico e proiettato sulla realizzazione di varie attività. “Le guerriere Sciences ArtS&Events”, infatti, si prefigge di recuperare la bellezza dell'anima di ogni donna colpita dal tumore al seno che, purtroppo, questa malattia tende a minare in modo sfavorevole. In che modo? Ogni donna iscritta al gruppo può esprimere i propri sentimenti attraverso l'arte, la musica, il teatro, pubblicare poesie, fotografie, dipinti realizzati con le proprie mani e partecipare a eventi organizzati dal gruppo come viaggi in barca a vela, passeggiate in montagna, attività culinarie e altro ancora... L'arte, come lo sport, rende possibile l'espressione di idee, sentimenti, aspirazioni ed è un prezioso mezzo di comunicazione per esprimere emozioni, come quelle di gioia immensa o di dolore profondo, di trionfo o di trauma. In questo modo, ogni malato di cancro può dare un senso alle proprie esperienze interiori e mettere le proprie risorse sul campo per combattere la malattia.