L’uomo non è che un camminatore del paesaggio, la vita è ovunque.
(Gilles Clément)
A scuola si dovrebbe insegnare a seminare, ad accudire, ad aspettare, a osservare germogliare e a stare con le annate di carestia come con quelle di raccolto abbondante. Lo si dovrebbe insegnare al pari di come si insegna a far di conto, a leggere e a scrivere perché il prendersi cura di un giardino, o anche di una sola pianta, è un gesto di speranza e di fiducia nella vita.
Prendersi cura di un giardino, apre uno spazio verde nell’anima, ci spinge a cercare altri luoghi fisici e non in cui operare gli stessi gesti: dissodare, seminare, annaffiare, potare, accudire con amore e pazienza, coltivando la capacità di stare con quello che l’annata ci propone.
Fare due passi in giardino, cesoie alla cintola e stivali di gomma ai piedi, è un’esperienza capace di aprirci a mondi insospettabili. Qui un rametto da potare, là un fagiolino da legare: piccole attività di attenzione quotidiana scandiscono le giornate all’aperto. Il profumo di basilico e menta, la polpa matura di ciliegie, l’esplosione di vita di un baccello che mostra generoso i suoi frutti: tutto parla la lingua del rigenerarsi, dell’offrirsi incondizionatamente.
La vita di un giardino pullula di opportunità, è tutta un fremere di attività in un continuo alternarsi di stagioni e cicli lunari che sono strettamente legati alle stagioni della nostra esistenza. C’è un mondo intero di cui prendersi cura: che sia un incolto in cui lanciare generose manciate di semi, o un giardino di soli vasi, una siepe in cui ospitare uccelli, un bosco da far crescere rigoglioso e selvaggio o un orto profumato in cui accogliere gli insetti operosi. Non importa che forma prenda il nostro momento di cura: in ogni istante sarà in grado di rasserenarci e di curarci con la magia della relazione, dell’entrare in contatto, del sentirsi parte di un Tutto.
La verità è che in giardino troviamo un antidoto alla tristezza, al senso di vuoto e di solitudine, agendo simultaneamente sull’intera gamma delle sensazioni, non solo sulla vista che è il più mentale e astratto dei sensi. Oltre all’armonia di un paesaggio, alla bellezza di un fiore, siamo in grado di coglierne la fragranza, mentre la musica del vento tra le canne di bambù, il fruscio delle foglie, il frusciare gentile dei lupini secchi al nostro passaggio, completano l’esperienza chiamando a raccolta tutti i sensi e con loro anche noi, immergendoci in un “altrove” che affonda le sue radici nel qui e ora.
Il lavoro in giardino rafforza la connessione tra azione e risultato in modo rasserenante e che è il contrario esatto della depressione, ovvero della sensazione che nessuna delle nostre azioni approderà mai a qualcosa di piacevole. La felicità che il tempo trascorso a contatto con le piante ci regala, nasce quando riusciamo a esprimere il nostro impulso a prenderci cura di un angolo di terra.
Del resto, lo sapeva bene l’architetto paesaggista Gilles Clément che sosteneva che quanto fa un giardiniere, riguarda il mondo stesso. Ha intuito cioè che tutto il pianeta è come un unico grande giardino, e l’umanità è il suo giardiniere. Spetta quindi a tutti noi, indistintamente, averne cura, esserne responsabili e saperlo salvaguardare con presenza, cura, attenzione e delicata fermezza.
Dobbiamo riconciliarci con le altre forme di vita, ritrovare il nostro posto all’interno della natura e non operare con supremazia, da padroni del pianeta, ma in armonia con tutto ciò che ci circonda, praticando la consapevolezza. Sì perché quando lavoriamo la terra, dovremmo ricordarci che stiamo facendo un po’ di giardinaggio anche negli incolti della nostra mente cuore perché in una mente lasciata a se stessa possono attecchire piantacce di ogni genere, senza che ce ne rendiamo conto.
Applicare la consapevolezza, l’ascolto, l’osservazione attenta del sorgere e dello scomparire dei fenomeni in un giardino, aiuta a prendersi cura anche di noi stessi e del nostro cuore che, se non coltivato come si deve, puo’ diventare un terreno fertile per le malerbe.