L’antico sistema finanziario ateniese è oggi conosciuto grazie soprattutto alle arringhe giudiziarie dei grandi oratori attici di epoca classica quali Demostene, Lisia e Isocrate.
Elemento chiave del sistema finanziario erano i tribunali: l’apparato giuridico cittadino dirimeva le vertenze di carattere commerciale attraverso processi presieduti da una giuria i cui membri, di norma 500 alla volta, venivano estratti a sorte e partecipavano alla seduta per un giorno, che era la durata massima di un processo. Le parti del contenzioso si potevano rappresentare e difendere da sole, anche se spesso venivano ingaggiati famosi maestri di retorica, incaricati di scrivere a pagamento le loro orazioni giudiziarie (“logografi”). Alla fine della giornata la disputa risultava risolta, dopo che i giurati avevano ascoltato gli interventi, la cui durata era scandita da un orologio ad acqua, ed avevano espresso il loro voto che, a maggioranza, determinava la sentenza.
Un caso particolare di vertenza giudiziaria riguardò Demostene in prima persona ed attesta l’elevato grado di alfabetizzazione finanziaria della società ateniese classica. Demostene (384 a.C. – 322 a.C.), politico e oratore ateniese, dopo aver perso il padre all’età di sette anni, venne posto sotto la tutela dei tre parenti Afobo, Demofonte e Terippide. I familiari tutori si resero responsabili di una “mala gestio” del patrimonio amministrato con conseguente dilapidazione dello stesso. Demostene, pertanto, raggiunta la maggiore età, citò in giudizio i parenti e nell’orazione “Contro Afobo”, condotta nel processo avviato nel 364 a.C. al fine di recuperare il proprio patrimonio, si cimentò, nonostante la giovane età, nel dimostrare e convincere i giurati di essere stato depredato dell’eredità che gli spettava di diritto, dettagliando a quanto ammontava tale valore con un approccio di valutazione finanziaria molto complesso, in quanto riguardante due attività economiche, inventari di merci, prestiti ed altri “asset”.
Il padre di Demostene era un ricco e benestante imprenditore che gestiva due redditizie attività economiche: una bottega per la produzione di armi destinate all’esercito ed una bottega di produzione di mobili. Quest’ultima azienda, specializzata in particolare nella costruzione di letti di alta qualità, era il collaterale di un prestito e, pertanto, ne veniva amministrata la proprietà fino all’estinzione del rimborso da parte del debitore. Entrambe le ditte avevano dimensioni rilevanti: la bottega di armi, specializzata nella fusione e rifinitura delle spade, occupava 33 schiavi, e la bottega di letti ne impiegava altri 20, per un totale di oltre 50 operai a tempo pieno. Oltre a tali attività, Demostene padre era titolare di un portafoglio di investimenti piuttosto diversificato: possedeva 2400 dracme presso il banchiere Pasione, 600 dracme presso il banchiere Pilade, un prestito marittimo di 7000 dracme concesso a Xuto, piccoli prestiti a interessi zero concessi per ulteriori 7600 dracme, una casa ed altri averi personali, come per esempio i gioielli appartenenti alla moglie.
Nella sua orazione “Contro Afobo”, Demostene procede ad una duplice stima degli “asset” ereditari, prima in base al valore di mercato e poi in base all’utile netto annuale da essi generato. Di seguito un estratto del testo: “mio padre, signori della giuria, lasciò due officine, che facevano grandi affari. Nella prima, che produceva spade e coltelli, lavoravano trentadue o trentatré operai, gli uni del valore di cinque o sei mine, altri di non meno di tre mine ciascuno. Le entrate di questa attività economica erano di trenta mine l’anno, al netto di imposte. La fabbrica di letti, poi, occupava venti operai, avuti in pegno per quaranta mine prestate, i quali producevano un reddito di dodici mine nette. Lasciò, inoltre, il profitto di un talento dato in prestito con l’interesse mensile di una dracma per ogni mina, il quale produceva, naturalmente, un’entrata di sei o sette mine all’anno […]. Ora, se a quest’ultima somma aggiungete l’interesse per dieci anni, valutato a una dracma, otterrete che il risultato della somma principale più l’interesse ammonta a otto talenti e quattromila dracme.”
Nel sistema ponderale e monetario della Grecia classica, la misura di base era il talento, che si divideva in 60 mine, ognuna delle quali era formata da 100 dracme. Ciascuna dracma era suddivisa in 6 oboli. Mine e talenti non erano tipologie di monete, ma unità di peso utilizzate per indicare la corrispondente quantità di metallo prezioso (1 talento = 26 Kg circa; 1 mina= 431 grammi circa). Le monete più utilizzate erano invece l’obolo (in bronzo, peso di 0,7 grammi circa) e la dracma (in argento, peso 4,3 grammi circa).
Nell’ultima parte del testo dell’orazione “Contro Afobo”, Demostene reclama l’interesse del 12% annuo a titolo di risarcimento per il periodo di tempo in cui è stato privato della sua proprietà, valutando il valore temporale dell’utile a cui ha dovuto rinunciare per dieci anni prima di poter raggiungere la maggiore età ed attivare il recupero del suo patrimonio.
Dal testo dell’orazione si può rilevare, oltre alla grande padronanza dei concetti di economia e finanza da parte dell’oratore, nonostante la giovane età di soli 20 anni, anche l’evidenza di un elevato livello di alfabetizzazione finanziaria dell’uomo medio ateniese del IV secolo a.C. che, per poter seguire chiaramente la logica finanziaria di Demostene e decidere da giurato entro i tempi brevissimi del processo, doveva evidentemente avere profonda familiarità con i principi di calcolo e di pianificazione finanziaria a lungo termine.