Uno dei momenti più imbarazzanti della mia vita l’ho vissuto in una magnifica spiaggia della costa ionica siciliana. Un luogo magico, sconosciuto al turismo di massa, che i giapponesi assocerebbero a “Shibumi”, un termine che si usa per indicare la bellezza nell’arte e nella natura. Shibumi è quella qualità che rende un elemento semplice ma non banale, dignitoso ma non austero, dà gioia allo spirito e arriva nella parte più nascosta di qualcuno. E lì dove ero solita trascorrere parte delle vacanze estive, la mano dell’uomo siciliano era stata benedetta da questo concetto. Così discreta, nella sua eleganza, al punto da compiacersi di non essere osservata: ogni angolo era perfettamente integrato nella bellezza disordinata della natura. In quegli anni, ero molto giovane, avevo una chioma lunga e folta. Il sole non era ancora tramontato e avevo deciso di sciacquare i capelli nella doccia della spiaggia per godere degli ultimi sprazzi di luce.
La mia prima consapevolezza
Il momento di magia si interruppe quando, aprendo gli occhi per osservare il panorama, incrociai lo sguardo inorridito di un bagnino. Mi guardai i piedi: sulla pedana di legno su cui poggiavo era comparsa della schiuma. Non impiegai molto a capire che, con il mio atteggiamento superficiale, avevo commesso uno scottante peccato, contribuendo a sporcare la spiaggia e rischiare che quella nuvoletta di schiuma finisse in mare attraverso lo scarico.
Oltre a porre una maggiore attenzione all’ambiente, l’imbarazzante esperienza si è rivelata poi utile anche per iniziare a compiere scelte più consapevoli sull’uso dei cosmetici per la cura del corpo. Per esempio, siamo abituati a pensare che la schiuma sia una garanzia di efficacia e se non se ne forma abbastanza non si ha l’impressione di una corretta detersione. In realtà, è ormai appurato che i detergenti ricchi di schiumogeni alterano il pH della pelle e modificano l’equilibrio del delicato film idrolipidico, che funge da barriera protettiva tra la cute e il mondo esterno. Inoltre, simili prodotti sono anche molto inquinanti.
Cosa fa bene e cosa fa male
Oggi, l’ecologia e la biodegradabilità sono concetti sempre più sentiti, grazie anche all’impegno di alcune organizzazioni non profit. Come Skineco, associazione internazionale di dermatologia ecologica. “Ogni giorno – spiega la prof.ssa Pucci Romano, docente di Terapie Speciali Dermatologiche all’Università Tor Vergata di Roma e presidente di Skineco – veniamo in contatto con almeno 500 sostanze presenti nei cosmetici. Compaiono circa 31 componenti in un balsamo; 45 in una crema da giorno; 28 in un bagnoschiuma; 40 in una lacca per capelli”. Ma siamo in grado di affermare con assoluta certezza che che ogni singolo ingrediente è sicuro?
“Per essere davvero utile, efficace e non dannoso – continua la dermatologa - un cosmetico deve rispondere non solo alle normative che già lo regolamentano, ma anche a due nuove esigenze: il rispetto per l’ambiente (ecologicità) e l’affinità con la pelle (dermo-compatibilità). Si tratta di due canoni che non possono più essere trascurati. L’ecologicità di un cosmetico riguarda tutta la sua filiera produttiva, dalla composizione al packaging: si tratta di un concetto semplice, se pensiamo che ogni volta che ci laviamo, deodoriamo o trucchiamo, alla fine, attraverso l’acqua, rilasciamo nell’ambiente tutto ciò abbiamo usato per la cura del corpo. La dermo-compatibilità, invece, è un concetto più tecnico che esprime la compatibilità di un cosmetico con l’ecosistema cutaneo ed è assolutamente indispensabile per assicurare il benessere dell’organo più esteso del nostro corpo. Dal 1997 è obbligatorio che ogni cosmetico immesso sul mercato riporti sulla confezione l’elenco degli ingredienti in esso contenuti, usando la denominazione presente nell’INCI e seguendo un ordine decrescente di concentrazione. Tra questi componenti, dovremmo evitare i derivati della raffinazione del petrolio (Petrolatum, Paraffinun Liquidum, Vaselina…) poiché sono inquinanti, comedogeni e inseriti recentemente dalla direttiva europea tra i cancerogeni di classe II. No anche ai siliconi (Peg e Ppg, Triclosan e, in generale, quasi tutte le sostanze che finiscono in –one, -thicone oppure –siloxane)”.
Occhio agli “eco furbetti”
Grazie a una maggiore sensibilizzazione dei consumatori su questi concetti, negli ultimi anni si è assistito a un incremento nella domanda di prodotti naturali per la cura del corpo. Ma siamo proprio sicuri che tutto ciò che viene definito naturale, bio, eco, lo sia realmente? “Fatta eccezione per gli oli e i burri vegetali puri – precisa l’esperta - un cosmetico naturale al 100% non esiste. Il termine naturale può avere molti significati. È naturale tutto ciò che esiste in uno qualunque dei diversi comparti naturali del nostro pianeta: minerale, fossile, vegetale, animale, umano, geosfera, biosfera, atmosfera. Anche l’uranio, il petrolio, il mercurio, appartenendo al mondo minerale, sono a tutti gli effetti prodotti naturali, ma ciò non significa che siano salutari. Pertanto, si può dire che l’utilizzo del termine naturale è corretto se si vuole indicare una filosofia e uno stile di vita che includa soprattutto il rispetto per la natura. Un cosmetico, invece, può essere definito ecologico solo quando è prodotto con componenti derivati da fonti rinnovabili, dal mondo vegetale o dalla chimica verde; è il più possibile rispettoso dell’ambiente e biodegradabile, anche nel packaging; non contiene derivati del petrolio come la vasellina e la paraffina, siliconi, ftalati eccetera. Se un cosmetico ecologico è ottenuto con ingredienti provenienti da coltivazioni biologica, viene definito eco-biologico. Quello eco-dermo-compatibile, in più, è anche ipoallergenico e dermatologicamente testato. Infine, se gli ingredienti provengono da coltivazione biologica, viene denominato eco-bio-dermo-compatibile”.
La nuova frontiera (etica) della bellezza
Sostituire i componenti incriminati - come i derivati dal petrolio, massicciamente presenti nella cosmesi classica in quanto ne determinano le caratteristiche di gradevolezza, ma non eco-compatibili perché provengono da fonti non rinnovabili - con altri che rispettino i canoni dell’eco-dermo-compatibilità è assolutamente possibile e auspicabile. Anche grazie alla “chimica amica”, che realizza prodotti di sintesi che tengono conto delle affinità e della compatibilità con le strutture della pelle. “I principi attivi giusti – sottolinea Pucci Romano - sono quelli che rispettano l’equilibrio del film idrolipidico, favoriscono il risparmio di acqua e mantengono in salute la barriera cornea. Le sostanze che rispondono a questi requisiti sono sicuramente i grassi di natura vegetale o provenienti da sintesi di chimica verde”.
La maggiore attenzione alla formulazione non riguarda, però, solo derivati del petrolio. È importante non trascurare il ruolo inquinante delle microplastiche presenti nei cosmetici. Frammenti o sfere di plastica di dimensione inferiori a 5 millimetri sono contenuti in tantissimi prodotti di uso quotidiano come saponi, creme, gel e dentifrici. Quello che molti consumatori ignorano è che queste microplastiche non vengono trattenute dai sistemi di depurazione e finiscono direttamente in mare, causando – a detta degli esperti - un inquinamento incalcolabile e irreversibile. Si stima, infatti, che ogni anno arrivino negli oceani 8 milioni di tonnellate di plastica e, secondo le Nazioni Unite, se non si interviene subito, nel 2050 in mare ci sarà più plastica che pesci. Molti studi confermano che, una volta in acqua, queste vengono ingerite dalla fauna, assieme alle sostanze tossiche accumulate. Il rischio è anche lo squilibrio della catena alimentare: pesci e molluschi contaminati da plastica e inquinanti possono finire così sulle nostre tavole.
Tutti per uno
Per questo motivo, Marevivo, Legambiente, Greenpeace, Lav, Lipu, MedSharks e WWF, nel novembre del 2017 hanno lanciato l’appello #Faidafiltro, per chiedere al Senato di approvare al più presto la proposta di legge per la messa al bando delle microplastiche nei cosmetici. Le associazioni chiedono di seguire la strada tracciata da molti altri paesi che si stanno adoperando per implementare normative adeguate contro questi inquinanti.
In definitiva, risulta sempre più impellente una linea consapevole per la gestione “sostenibile” della cosmesi, dove il termine sostenibile è da leggere proprio in senso etimologico: quanto possiamo “sostenere” senza essere danneggiati o danneggiare? “E se la ricerca ancora non definisce dei canoni precisi e imprescindibili – conclude la prof.ssa Romano - allora occorre affidarsi al principio di precauzione, che impone prudenza nell’impiego di prodotti o di tecnologie nuove se ancora non ci sono le prove scientifiche che questi siano assolutamente sicuri per la salute e per l’ambiente”.