Oggi la gente cerca la conoscenza non la saggezza.
La conoscenza è legata al passato, la saggezza appartiene al futuro.

(Vernon Cooper, Lumbee) [1]

La conoscenza esige risultati, pretende dimostrazioni, si erge a giudice; grazie alla sua dimestichezza con l’intelletto, sembra attingere continuamente a quella forma di competizione che stabilisce meriti e decreta traguardi escludendo sempre chi meno si mette in mostra.

La saggezza è invisibile, respira attraverso la mente ma trova volentieri il suo rifugio nel cuore; è accorta, conosce la prudenza, è una forza in quiete, non pare avere un fine se non quello di farci sentire a nostro agio nelle cose.

Sa vivere intensamente, eppure è capace di distacco. Resta permeabile dai sentimenti e dalle emozioni, ma non ne viene travolta; sa ascoltare le ragioni altrui e comprendere gli stati dell’anima.

Accetta come una benedizione il cambiamento che ci mette di fronte ai nostri limiti, come pure alle nostre piccole o grandi bugie e, se lo vogliamo, ci aiuta ad accogliere nuove verità.

La conoscenza è sicura di sé, sa come prendere posizione e affermare la legittimità del proprio giudizio; cerca sempre nuovi mezzi per misurare le proprie certezze, per dare credibilità, peso e unicità alle proprie acquisizioni. Non sempre si presenta come definitiva, anzi le piace ammantarsi di dubbi per arrivare a trasformarli in nozioni sicure.

La saggezza ha a che fare con assennatezza e responsabilità, con la prudenza e l’accortezza, che, nella sua radice latina nel verbo corrigere, rimanda alla capacità di modificare una falsa impressione dopo aver preso una visione più tranquilla delle cose, come a sottolineare che la saggezza sa mettere in gioco le convinzioni di principio, è avveduta nel cogliere altri aspetti della realtà, senza pregiudizio.

Si accompagna spesso alla fiducia che “è da sempre lo spago che tiene insieme l’inizio e la fine del giorno, l’inizio e la fine delle cose” [2]. Senza fiducia brancoliamo nel buio della paura, nell’oscuro Inferno dell’indifferenza e ci dimentichiamo di incontrare gli altri, perdiamo la confidenza.

C’è saggezza nella giovane pianta che viene alla luce avendo in sé lo schema completo della propria crescita. A noi sembra spuntare all’improvviso ma ad emergere è il frutto di un paziente lavoro, è l’esito di un lungo e profondo ciclo vitale che segretamente si compie, invisibile fin quando il germoglio spacca la gemma e si protende verso la superficie. È la pazienza di chi resta fedele alla propria natura interiore; con questa forza gli alberi sopportano le vicissitudini e ricevono i doni della vita.

Saggezza è la capacità di accogliere fino in fondo la libertà degli altri anche se questa scatena in noi la paura di vedere il cambiamento di una realtà che ci fa sentire sicuri, dominanti, pronti al controllo.

La conoscenza domanda senza posa il perché delle cose, la saggezza ci invita a stare con attenzione là dove siamo, a guardare là dove apparentemente non c’è nulla, ad ascoltare con attenzione ciò che sembra immerso nel silenzio, a sfiorare con memoria amorevole le esperienze, anche quelle più dolorose, che abbiamo affidato al nostro cuore e si son fatte consapevolezza e acquisizione del nostro vissuto.

La saggezza procede lungo una via che ha in sé la propria ragione; non attende ricompensa; è un costante viaggio verso un tempio in cima alla montagna, un cammino fatto di piccoli passi. Talora la salita si fa difficoltosa e gli ostacoli sembrano insuperabili, e allora la saggezza si fa parola e ci ricorda che tutta la strada che percorriamo attraverso questo corpo è un continuo e ripetuto far fronte ad ostacoli che talora ci appaiono come veri e propri sbarramenti che sembrano impedirci di continuare.

La conoscenza esige sempre più spazio, sempre più tempo per elaborare regole, capire, rispondere agli interrogativi sul senso della vita; la saggezza conosce il valore del tempo meditativo, non teme l’ozio quando è pienezza di silenzio, quando accoglie la ricchezza dell’attesa, la leggerezza della non aspettativa.

La saggezza è coraggiosa e pacata, è capace di immaginare il volto benevolo delle circostanze perché ha già attraversato la sofferenza dell’incomprensione, ha già affrontato le rapide della mancanza di generosità, sa che ci vuole tempo, ci vuole pazienza per continuare a camminare quando pare che nulla accada, sa che nulla resta sempre allo stesso modo.

È saggezza lasciare che le immagini della vita scorrano davanti ai nostri occhi senza aggrapparci al desiderio di fermarle, di possederle come cose che ci appartengono, che sono nostre, espressione di quel “troppo bene” che tante volte si trasforma in una gabbia dorata.

Negli antichi insegnamenti del Buddhismo la saggezza, Prajna, nasce insieme alle altre due sorelle gemelle Metta e Karuna, amore e compassione: una triade simbolica che ci mostra il legame profondo tra mente e cuore.

La saggezza non si sottrae alla paura che sta aggrappata al nostro sentire più antico, ma la accoglie, la culla come un bambino smarrito che corre e grida nell’attesa di essere ritrovato.

La saggezza è feconda: dal suo grembo si generano continuamente segni di un sapere che non dimentica l’esperienza del passato eppure si apre con fiducia alla nascita di nuovi figli.

La saggezza è attenta perché conosce il tempo dell’attesa che dell’attenzione è sorella nella comune madre etimologica nel latino attendere. Non si lascia distrarre dal rumore delle cose, dall’offerta continua di notizie, da una conoscenza sempre più sofisticata, e sempre più indifferente, proiettata verso la grande illusione di poter dominare il futuro, di poter controllare gli accadimenti.

La saggezza è matura anche se non ha età, è accogliente e compassionevole poiché sa che ogni cosa del mondo non è semplicemente se stessa ma coinvolge ogni altro oggetto così come la rete di perle nel Cielo di Indra è costruita in modo che guardandone una si vedano tutte le altre riflesse in essa [3].

La saggezza è frutto della riflessione che volge all’indietro il suo sguardo, nel verbo latino re-flectere, per non dimenticare il cammino percorso pur sapendo che le nostre orme sono già svanite nel vento.

Saggezza è la forza di attraversare la vastità della nostra mente, penetrarne i luoghi più sconosciuti accogliendo il rischio di guardare oltre il velo della vergogna, dell’inibizione. Così possiamo imparare, talora trovare risposte e scoprire tesori inaspettati.

Saggezza è ricordarsi della fonte quando beviamo l’acqua e esprimerle gratitudine; è accettare di far scorrere i grani del rosario infilati sul filo della vita stessa senza saltarne nemmeno uno.

La saggezza non accende i riflettori sul proprio talento. Ripara la sua luce. Aspetta il momento opportuno. Talora nasconde ciò che sa. Conoscenza e abilità sono semplici mezzi che dobbiamo imparare a utilizzare, ma la saggezza va oltre l’apparire, oltre il riconoscimento. Non dare nell’occhio, non lasciare tracce è una forma di grande saggezza, poiché ciò che cerchiamo va oltre l’esteriorità:

Il bambino adorno di vesti principesche,
con al collo monili ingemmati,
perde ogni piacere nel gioco,
la sua veste lo impaccia a ogni passo.

Per paura che si possa stracciare
o che s’imbratti di polvere
si tiene appartato dal mondo
e ha timore persino di muoversi.

(R. Tagore, Gitanjali)

La saggezza sa anche essere spensierata quando dimentica il sapere per tornare ad essere profondamente intuitiva, per ricordaci che impariamo anche dalla semplice osservazione, che alba e tramonto scandiscono la misura del giorno anche se dimentichiamo di accorgercene.

La saggezza ci dona parole che lavano i nostri pensieri, tutti i nostri pensieri, anche quelli che ci fanno paura, che ci inquietano e permette loro di emergere dal buio, dall’abisso della nostra mente per tornare a respirare nella luce. Così, liberati dal tormento dell’afasia, si purificano nel tepore della condivisione, dell’accoglienza.

La saggezza ci aiuta a compiere il sacrificio estremo di noi stessi per rendere possibile il miracolo del perdono, un sentimento antico, prezioso, che spacca le rocce più dure e apre nuove vie.

La saggezza pronuncia parole che affondano le loro radici nell’anima, parole graffiate dalla vita, parole che svelano segreti nei quali altri si riconoscono e ciò crea fiducia.

La saggezza è pronta ad accogliere le parole che dicono la sofferenza, il dolore, le parole che ci sono amiche, figlie, sorelle, talora madri, quelle che, quando riusciamo ad ascoltarle, ad aprire il nostro cuore per accoglierle, sanno essere un farmaco che lenisce il dolore, un balsamo steso sulle ferite.

La saggezza parla con parole che non fanno male, che non separano, che non nascondono menzogne; non ama le chiacchiere che turbano il nobile silenzio.

La saggezza ricuce i brandelli delle nostre vite, tutte bisognose di essere “riparate” attraverso il filo luminoso e robusto della speranza che riaggiusta le nostre fragilità per farne rinnovato tessuto di benevolenza, di bellezza e di guarigione.

La conoscenza è incalzante, ha bisogno di essere continuamente saziata: la sua fame e la sua sete sono proverbiali. Il suo desiderio compulsivo di possedere altro sapere genera una inquietudine bulimica. Le piace oltrepassare il limite e presume di poter penetrare l’ignoto, di spiegare la natura di ogni mistero, padrona di un sapere onnipotente. La conoscenza si sporge dal parapetto della vita per cercare senza sosta di scoprire altri luoghi, altri esseri, altre verità e non trova il senso dello stare nell’attesa.

La conoscenza può avere leggi spietate che esigono obbedienza, che impongono scelte senza ritorno.

La saggezza ha una sua grazia nel muoversi a piccoli passi, senza fretta. È la gratia dei Latini, la charis dei Greci, che è bellezza ed anche gratitudine per il bene che si è ricevuto; è il piacere che suscitano l’amabilità, la benevolenza e la delicatezza. Talvolta si ammanta del fascino dell’effimero per farci comprendere meglio la forza del distacco.

La conoscenza sfida l’oceano servendosi di strumenti sempre più sofisticati , ma non regge il confronto con la sua vastità; la saggezza ne accetta l’immensa distesa e ne accoglie il mistero.

La saggezza ci rende strumenti ben accordati, splendide arpe capaci di suonare in armonia con il Sole e con il respiro, con il mare e con il cuore: creature di questo mondo eppure risonanti con l’universo.

La conoscenza tace solo quando non ha parole bastanti ad affermare le proprie ragioni, ad esporre e spiegare i risultati raggiunti; la saggezza cerca il silenzio che si percepisce al di là della parola, uno stare nella pace fluida e serena che è ascolto del vuoto. Nella saggezza sta la consapevolezza “una particolare attitudine mentale di attenzione a quello che ci sta accadendo nel momento presente, una disposizione gentile e accogliente, partecipe e non giudicante” [4].

La conoscenza si affeziona alla completezza del sapere, ne cerca la totalità; la saggezza ci suggerisce di accogliere il frammento, di prenderci cura del particolare che si fa specchio della vita nella sua interezza e ci aiuta a comprendere la nostra condizione.

La saggezza ci concede di essere tristi poiché è questo sentire che ci rende umani. È questo un momento di “grande disordine sotto il cielo”. Il nostro sguardo fatica a spingersi oltre un orizzonte che sembra farsi più angusto, che pare privilegiare il valore di separazione contenuto nel verbo greco horizein, dal quale l’orizzonte trae origine, anziché ricondurlo al desiderio di aprirsi a nuove visioni, di lasciar correre lo sguardo dell’immaginazione oltre il limite assegnato ai nostri occhi. Eppure sentiamo tutti di avere un estremo bisogno di attingere a quella saggezza antica che è pienezza di sentire, che è respiro condiviso.

Io sono fratello con tutte le forme della vita presenti nel mondo.

(Mitakuye Oyasin) [5]

A cura di Save the Words®

Note:
[1] Indiani d’America, Il Grande Spirito parla al nostro cuore, RED Edizioni, Como 1995
[2] Carla Gianotti, Il respiro della fiducia, Mimesis Edizioni, Milano-Udine, 2015
[3] cfr. Roberto Laneri, La voce dell’arcobaleno, Edizioni il Punto d’Incontro, Vicenza, 2002
[4] C. Gianotti, op. cit.
[5] Preghiera dei Lakota