Cosa sono le Confraternite dei giardinieri vi chiederete. Ebbene ce lo spiega in modo eccellente una guida botanica di Andrea Wulf, scrittrice eccellente formatasi al Royal College di Londra ora giornalista delle più prestigiose testate, Sunday Times, New York Times ma soprattutto The Garden. Come ha scritto un recensore del suo libro The Brother Gardeners. Botany, Empire and Birth of an Obsession (trad. it. La Confraternita dei giardinieri, 2011) "non serve essere giardinieri per goderselo".
Per conoscere la storia avvincente della floricoltura nel mondo è necessario addentrarsi in un universo parallelo alla vicenda classica dei viaggi di esplorazioni e dei nomi altisonanti ormai noti come Charles Darwin o James Cook. Quello dei giardinieri e degli appassionati viaggiatori botanici, quando all'alba del diciannovesimo secolo anche il più umile dei giardini poteva vantare fiori e cespugli esotici. E non solo nel mondo anglosassone o in Olanda diventata patria del fiore e delle bulbose. Quel mondo, quello della floricoltura e del vivaismo ora lo si può riscoprire o meglio capire e conoscere se lo vediamo come risultato di sforzi pionieristici compiuti da un gruppo straordinario di uomini, devoti alla causa della natura e della sua scoperta. Solo così dice l'autrice, quando guarderemo il nostro fazzoletto di terra o un giardinetto in città non lo vedremo più come un caos di piante non identificabili bensì il frutto di secoli di storia.
Non dimentichiamo che queste Confraternite erano oltre che luoghi democratici, perché accessibili e frequentate da orticoltori, collezionisti, scienziati e regnanti, anche centri internazionali di cultura scientifica in quanto necessariamente lo scambio di piante nuove e rare avveniva mettendo in contatto tutti paesi europei e non solo. L'America, le Indie, tutta l'Asia e l'Oriente furono coinvolti in una rete di scambi incredibili di relazioni umane, le più diverse e narrative che oggi possiamo riscoprire in una sorta di romanzo d'avventura. Non dimentichiamo che proprio dalla lettura quei bollettini di viaggio, diari di bordo, i grandi scrittori otto-novecenteschi hanno tratto spunto per i loro racconti, romanzi e saggi.
Se guardiamo all'Italia, anche qui nello stesso periodo si assiste a un turbinio di informazioni che circolano sui nuovi arrivi di piante, sugli scambi di semi e le tecniche nuove per riprodurre piante mai viste prima. La nascita e lo sviluppo delle società orticole – o confraternite come vogliamo chiamarle - rappresentò per il giardiniere l’opportunità di entrare in contatto con un fervente cenacolo di “amatori di flora”, comprendente sia i titolari delle prime cattedre ambulanti di botanica dell’epoca o curatori di orti botanici, Filippo Parlatore (1816-1877), Giuseppe Bertoloni (1804-1878), Pietro Savi (1811-1871), Roberto De Visiani (1800-1878), Giovanni Brignoli di Brunhoff (1774-1857), sia i proprietari di giardini ma anche esploratori botanici.
Allo stesso modo la loro partecipazione alle conferenze orticole e alle esposizioni comincia ad essere più assidua finché, a metà Ottocento, i più meritevoli e intraprendenti iniziano a ricoprire cariche di rilievo sia nei comitati organizzatori e nelle commissioni giudicanti, sia come protagonisti nei concorsi delle mostre botaniche. Fino all’epoca, infatti, alle esposizioni e alle conferenze orticole il giardiniere non poteva accedere se non accompagnato dal nome del proprietario o dell’istituzione presso cui lavorava: Becalli, Rigamonti, Rovelli, Roda, Ingegnoli, per citare solo alcuni dei più noti.
I successi ottenuti da questi professionisti con le tecniche di miglioramento vegetale, incroci varietali, innesti, forzature, ecc., con l’ausilio di nuove tecnologie atte a riprodurre ambienti tropicali e subtropicali (stufe, serre e tepidari), insieme alle nuove scoperte in ambito botanico provenienti dal Borneo, Giava, Sud America, Australia e Africa, gli consentono di avviare proprie ditte individuali non più al servizio di un unico proprietario. Si fa riferimento a esploratori come Odoardo Beccari (1843-1920), Orazio Antinori (1811-1882), Luigi Maria D’Albertis (1841-1901) che costituiscono un indispensabile contributo per lo sviluppo della flora botanica esotica e del vivaismo ornamentale. Nasce quindi tutto un nuovo settore commerciale proprio laddove il collezionismo botanico ebbe maggior sviluppo: Liguria, Toscana, Campania Sicilia e il Lago Maggiore.
La maggiore presa di coscienza portò i più meritevoli a mettere a frutto l’esperienza acquisita, avviando un’azienda per proprio conto indirizzata alla vendita di piante e al settore della manutenzione dei giardini che nell'Ottocento esplodevano di nuove specie e varietà anche sull'onda della nuova moda del giardino paesaggistico o romantico, come veniva chiamato più comunemente. Fra i primi e più noti giardinieri Raffaele Amicucci nelle Marche, Antonio Bartolini, i Mercatelli in Toscana, i fratelli Rovelli, Carlo Contini, i Nava sul Lago Maggiore, Angelo Longoni, Giuseppe Maillot, i Berti, i Sada, i Tagliabue, in Lombardia, Lodovico Winter, i Sommariva, i Pallanca in Liguria, Francesco Van den Borre, i Croff, in Veneto. Ad alcuni di loro fu permesso l’impianto di piccole pepinière, così erano chiamati inizialmente i vivai anche in Italia, nelle immediate vicinanze del parco dove lavoravano, pagando un affitto alla proprietà. Altri invece, specialmente quando i risvolti economici delle iniziative diventavano apprezzabili, abbandonarono addirittura i loro datori di lavoro, scatenando a volte dei contenziosi, per fondare gli stabilimenti orticoli, cioè gli prototipi delle attuali aziende vivaistiche.
Questi antichi giardinieri-floricoltori, sinora sostanzialmente negletti, ebbero il ruolo di pionieri nella nascita del vivaismo, nella diffusione di nuove entità botaniche, sull’adozione di tecniche colturali innovative e, più in generale, sull’evoluzione del giardino a partire dalla metà dell’Ottocento ma con l'esplosione di queste strutture commerciali nei primi del Novecento fino alla Prima guerra mondiale e poi tra le due guerre.
Questo passaggio è di grande rilevanza perché individua nel collezionismo botanico la matrice su cui si è sviluppato tutto un comparto mercantile e produttivo. Successivamente, si ebbe un'articolazione in vari settori, anche in rapporto alle condizioni pedo-climatiche, con il risultato di caratterizzare le produzioni di zone come il Lago Maggiore (camelie e acidofile in generale), la Toscana (camelie, conifere, fruttiferi), la Liguria (succulente, palme, garofani, rose), la Sicilia e la Campania (agrumi e piante tropicali).
La diffusione dei primi cataloghi è quindi parallela alla nascita degli stabilimenti e naturalmente legata allo sviluppo delle tecniche grafiche disponibili. Infatti se inizialmente erano prevalentemente descrittivi, dei meri elenchi di piante suddivisi secondo ordini diversi (dall’alfabetico a quello per grandi famiglie ma più comunemente in alberi, cespugli e piante erbacee o da fiore e da frutto, ecc.), successivamente furono impreziositi da disegni in bianco e nero riproducenti parti di pianta come il fiore o i frutti. Altre volte riportavano anche materiali o attrezzi del mestiere sempre nel catalogo che solitamente era proprio di stabilimenti agricolo-botanici. Fino a quando l’avvento della fotografia ha costituito un forte passo avanti nella composizione e nella veste grafica dei cataloghi in cui per la prima volta venivano inserite immagini in bianco e nero degli esemplari posseduti seguiti poi da brevi schede sulle caratteristiche, le esigenze pedologiche, climatiche, la disponibilità di specie e varietà, nonché il prezzo al cliente.
Finché poi nei primi del ‘900 il Catalogo diventa uno strumento indispensabile per caratterizzare anche lo stile e il livello qualitativo dell’azienda vivaistica che ne fa un vero emblema del proprio marchio di produzione. Il colore incentiva sostanzialmente anche il proprietario dello stabilimento orticolo a spingersi ancora più avanti chiedendo ad artisti o comunque valenti grafici di creare le copertine dei cataloghi. Un esempio tra tutti quello dei Fratelli Ingegnoli a Milano e della Ditta Sgaravatti a Padova, alcuni dei veri e propri manifesti in pieno stile Belle Époque.
In questo ambito dovremmo anche considerare le numerose aziende vivaistiche di antica tradizione del fiorente mercato europeo che negli stessi periodi pubblicavano cataloghi di valentissimi produttori che fecero scuola ai nostri primi vivaisti e dai quali poterono importare piante ancora non arrivate in Italia. Numerosi e pregevoli le pubblicazioni e i cataloghi di aziende vivaistiche francesi, olandesi e Inglesi ancora oggi note e attive sul mercato. Per nominarne i più noti: Suttons Seeds, (Devon,1806), Barr & Sons (London, 1882), Hillier Nurseries (Hampshire, 1864), Jackman & Son (Woking, 1810); Arboretum Kalmthout (Antwerp, Belgium, 1856), Morel et fils (France, fine ‘800), Vilmorin (Francia, 1743). Moltissimi di questi cataloghi, che sono dei preziosi documenti fotografici e iconografici ancora tutti da scoprire, sono conservati presso la Biblioteca Internazionale La Vigna di Vicenza a cui va il merito di averne data notizia e divulgazione.