Fino al 1 maggio 2018, la Fondazione MAST di Bologna dedica i suoi spazi ai progetti dei quattro finalisti della quinta edizione del concorso GD4PHOTOART che quest’anno si è rinnovato a cominciare dal nome, che ora è diventato MAST Foundation fo Photography Grant on Industry and Work.
È una selezione biennale riservata ai giovani fotografi di tutto il mondo e, da una rosa di 35 candidati, sono stati scelti i lavori di Mari Bastashevski e di Cristobal Olivares e il premio ex-aequo è stato assegnato a Sara Cwynar e Sohei Nishino. Gli obiettivi del premio? Li spiega nel dettaglio Urs Stahel, curatore della PhotoGallery Mast e dell’esposizione: “Mostrare l’essenziale, rilevare gli aspetti strutturali, cogliere nelle immagini il sapere astratto e l’essenza del comportamento umano e fornire una rappresentazione fotografica che renda possibile e accessibile sia l’aspetto informativo che quello emozionale, il dato concreto e il significato, il piano descrittivo e quello metaforico”.
Sohei Nishino che abbiamo intervistato è nato a Hyogo in Giappone nel 1982. Ha creato una rappresentazione del fiume Po, a metà strada tra la mappa e il diorama, utilizzando una tecnica che ha sviluppato negli ultimi dieci anni per creare paesaggi urbani. Per questo progetto ha viaggiato lungo il corso del fiume, dalla sorgente al Delta scattando centinaia di fotografie che poi ha stampato, combinato insieme e disposto manualmente in grandi tableaux.
Il progetto Po si traduce in un’esplorazione della psico-geografia della Valle del Po e dei suoi abitanti. Si può considerare un'altra tappa progettuale sulle orme di una sua lunga ricerca fotografica, durata più di 10 anni e focalizzata sull’acqua intorno al mondo, da Amsterdam a Nuova Delhi, da Istanbul a Londra, da Parigi a Hong Kong?
Nelle mie mappe dioramiche sulle città, mi sono concentrato sull’acqua. Non perché guardo all’acqua delle città ma perché la maggior parte delle città si sono sviluppate attraverso l’acqua e da lì è nato questo mio interesse. L’acqua circonda la nostra vita quotidiana ma spesso ignoriamo la sua esistenza. E spesso, specialmente per chi vive in città, l’acqua rappresenta un bene che può essere acquistato in un supermercato o che viene sterilizzato nelle piscine. La mia occasione è quindi riflettere sulle nostre origini. Il fiume come il mare è come il sangue che circola nel nostro corpo umano. Sviluppando questo tema che è uno degli elementi più importanti per la terra e per la vita, ho riscoperto che l’atto fotografico è il modo per riconoscere il pianeta ma anche per riscoprire me stesso”.
La curatrice Michiko Kasahara scrive che la sua fotografia è complessa e difficile da capire perché comporta una costante apertura di sé verso l’Altro. È d’accordo?
Per me la fotografia arriva prima del linguaggio e le esperienze dirette e personali sono un modo per riconoscere il mondo che devo fronteggiare ma non è sempre facile. Vorrei presentare un nuovo modo di capire il mondo attraverso la fotografia e per questo ho creato nuove mappe di lettura, diverse da quelle già esistenti. Per farlo, ho dovuto mettere da parte il buon senso comune e pormi nuove domande sul senso dell’esistenza. Il mio modo di pensare è connesso anche alla filosofia Zen che mi dà una grande gioia interiore”.
Il suo metodo di lavoro fotografico prevede lo sviluppo manuale di centinaia di foto fissate su provini a contatto. Un’operazione solitaria e semplice ma lunga, da svolgere in camera oscura. Poi con molta cura taglia e smonta uno per uno i provini sviluppati. Poi ogni pezzo viene incollato su una tela gigantesca. Come mai ha scelto questo processo infinito?
Per molti fotografi il lavoro si svolge in un giorno per altri prende tanto tempo e io appartengo a questa seconda categoria. Dopo aver passato tanto tempo in un luogo a fotografare, mi serve tempo per far decantare il lavoro e poi devo scrutarlo, spezzarlo e far riemergere con meticolosità ogni ricordo. Tutto il lungo processo dei miei progetti è di estrema importanza per me e senza questo metodo non sarebbe quello che è. Il mio lavoro è come un tessuto intrecciato di memorie e di esperienze e il risultato finale si può paragonare a un arazzo”.
La sua ricerca fotografica insegue il circolo e il flusso circolare della vita. È un suo credo che applica ai suoi progetti artistici?
L’idea del circolo della vita mi è venuta dopo aver viaggiato e aver completato il mio progetto lungo il fiume Po. Quando ero studente del liceo , prima di iniziare la mia carriera di artista, non avevo un’idea chiara sul futuro. Ho scelto di fare il pellegrinaggio Shikoku (il cammino degli 88 templi in Giappone ndr) non per una mia ricerca religiosa, ma perché in quel periodo volevo focalizzarmi sul senso del cammino e ora mi rendo conto di quanto questo viaggio fosse legato al mio lavoro. Più camminavo e più sentivo il mio corpo leggero e come svuotato. Era un processo meditativo e ritengo che il lungo processo che attuo nella mia ricerca artistica è molto simile. Viaggiare significa movimento ma assume il suo significato più profondo solo quando si torna al punto di partenza. Ecco il senso del circolo della vita che applico anche alla mia arte.