L’ambiente marino è il più vasto della Terra, ricoprendo più del 70% del pianeta, e di questo soltanto una minima parte è stata esplorata e studiata dall’uomo. Oltre il 50% della superficie oceanica è posta al di sotto dei 3000 metri di profondità e solo il 5% è stato esaminato superficialmente utilizzando strumenti quali Rov (Remotely Operated Vehicle), ecoscandagli e sommergibili, mentre meno dello 0,001% dei fondali al di sotto di tale profondità è stato campionato e analizzato in laboratorio.
Per definizione, gli ambienti marini profondi sono estremi: la pressione idrostatica è pari a 400 atmosfere a 3000 metri, (considerando che al livello del mare la pressione è pari a 1 atmosfera, il che significa che l’aria pesa circa 1 grammo ogni cm3), la temperatura è inferiore ai 4°C, la luce è completamente scomparsa, vi sono correnti veloci che spazzano gli ambienti e le creature viventi sono alquanto bizzarre, per certi versi spaventose.
La concentrazione di ossigeno è pari alla saturazione, infatti, superata la profondità dove il livello di ossigeno è minimo (Oxygen minimum zone), poiché consumato dagli organismi e non più prodotto dalla fotosintesi, la sua concentrazione torna ad aumentare per la presenza di correnti profonde fredde e ricche di tale gas. La fotosintesi clorofilliana, il processo mediante il quale gli organismi vegetali (autotrofi) ricavano energia dal sole trasformando sostanze inorganiche in organiche, utilizzate poi da tutti gli altri organismi (eterotrofi) sotto forma di cibo, viene meno, poiché la luce scompare e a 200 metri di profondità l’oceano è completamente nero, ma viene sostituita dai processi cosiddetti chemiosintetici, dove cioè alcuni organismi, in particolar modo batteri, non necessitano più della luce per produrre sostanza organica ma sfruttano altre fonti di origine chimica.
In passato, si pensava che gli ambienti profondi fossero statici, omogenei e privi di creature viventi; al contrario, gli studi hanno dimostrato che i fondali marini profondi sono continuamente spazzati da forti correnti che ne modificano le caratteristiche, che esistono aree con forti attività tettoniche e che sono abitati da strane creature.
Tra i principali organismi che abitano il sistema profondo vi sono senza dubbio gli invertebrati, tra i quali rientrano crostacei, echinodermi e anche molluschi. Ma non mancano i pesci con specie dalle forme strane, alcune delle quali dotate di speciali strutture bioluminescenti (fotofori) utilizzate per illuminare l’ambiente circostante. La pressione è sicuramente uno dei parametri fisici più importanti che influenzano la vita alle profondità abissali, nonché la distribuzione degli organismi. Con la pressione che aumenta di 1 atmosfera ogni 10 metri, a 11.022 metri, la Fossa delle Marianne, il punto più profondo dell’oceano, la pressione è pari a 1100 atmosfere circa, e se gli organismi viventi non avessero sviluppato particolari adattamenti per far fronte a condizioni estreme, verrebbero letteralmente schiacciati dalla colonna d’acqua attorno a loro.
Questo, tuttavia, non avviene! La natura, ancora una volta, si è preparata a far fronte a tale ostacolo portando allo sviluppo di membrane cellulari più resistenti, enzimi meno sensibili all’aumento di pressione e strutture più stabili. Alcune specie sono euribate (vivono cioè sia ad alte che a basse pressioni) come ad esempio i policheti Notomastus latericeus e Hydroides norvegica, le cui distribuzioni vanno dai 20 a 5000 metri, o come il pogonoforo Siboglinium caulleryi che vive dai 20 agli 8000 metri. Alcuni pesci capaci di vivere a profondità tra i 4000 e i 5000 metri sono privi di vescica natatoria e sono prettamente bentonici (vivono in prossimità del fondale), mentre lo squalo che raggiunge le profondità maggiori, il Centroscymnus coelolepis, è stato catturato con nasse poste a 3750 metri.
Anche i coralli, benché si sviluppino principalmente sotto forma di barriere coralline in acque superficiali, possono raggiungere notevoli profondità formando i cosiddetti sistemi a coralli profondi, conosciuti anche con il nome di coralli bianchi per la totale assenza di zooxantelle, le alghe simbionti che nei reef corallini superficiali garantiscono la vita del corallo. Si sviluppano fra i 40 e i 7000 metri di profondità e sono presenti anche in Mediterraneo a qualche centinaio di metri.
Alcuni pesci di acque profonde presentano occhi enormi (telescopici) al fine di poter vedere meglio l’ambiente che li circonda, (dove ancora qualche radiazione luminosa si fa spazio tra gli abissi, tra i 200 e i 300 metri), altri li hanno completamente persi e si orientano grazie ad appendici del corpo. Le colorazioni sono assai modeste, da specie grigie o con colori spenti a specie totalmente trasparenti.
Una peculiarità che rende il sistema oceanico profondo straordinario quanto misterioso è il fenomeno del gigantismo abissale. Esso riguarda principalmente alcune specie di crostacei che, rinvenuti a profondità superiori ai 3000 metri, presentano organismi molto più grandi dei “cugini” di acque poco profonde. Un esempio è il Bathynomus giganteus, un crostaceo isopode che può raggiungere i 50 cm di lunghezza per 2 kg di peso, mentre gli esemplari costieri di questo gruppo non superano uno o pochi cm di lunghezza. Altro esempio di gigantismo è il Riftia pachyptila, il verme tubolare gigante che vive nei pressi nelle sorgenti idrotermali a 3000 – 4000 metri, che può raggiungere i 2 metri di lunghezza e che sopravvive grazie a batteri simbionti in grado di dargli sostanza organica.
Alle grandi profondità il cibo è scarso e dipende da ciò che cade dalla superficie (organismi morti e particelle organiche). I pesci, dunque, hanno sviluppato alcune caratteristiche tali da permettere loro di mangiare qualsiasi resto organico capiti loro appresso; tra queste, un’enorme bocca e denti affilati e ricurvi, e uno stomaco altamente dilatabile, per poter ingerire anche prede più grosse di loro stessi. Questo è legato al fatto che, con l’aumento della profondità, diminuisce la probabilità di alimentarsi e un predatore può incontrare una preda solo occasionalmente.
Alcuni esempi di teleostei di acque profonde sono l’Argyropelecus hemigymnus, chiamato in italiano pesce accetta o pesce ascia, di piccole dimensioni, lungo sino a 6 cm, dotato di occhi telescopici e numerosi fotofori sparsi per il corpo, diffuso sia nell’Oceano Atlantico che nel Mar Mediterraneo; il Melanocoetus johnsonii, il cui maschio non supera i 3 cm di lunghezza mentre la femmina può raggiungere i 18 cm, dotato di un esca luminosa per attirare le prede; il Chauliodus sloani, o vipera di mare, dal corpo allungato simile a quello di un’anguilla, che raggiunge anche i 60 cm di lunghezza, la cui presenza è stata confermata in tutti gli oceani compreso il Mar Mediterraneo.
Il mare profondo è ancora in fase di studio e di esplorazione ma, risultando l’ambiente della Terra più difficile da esplorare, resterà in buona parte un mistero per l’uomo. Recente e spettacolare, tuttavia, è stata la spedizione in solitaria nel punto più profondo dell’oceano, da parte del regista, fotografo ed esploratore James Cameron, che ha gettato ulteriore luce sulle potenzialità di cui oggi l’uomo dispone. Il 26 marzo del 2012, Cameron si è chiuso all’interno del sommergibile Deepsea Challenger, un veicolo ideato da lui stesso, una sorta di razzo sottomarino in grado di scendere e risalire con grande rapidità, lungo più di 7 metri, costruito con le tecnologie più recenti e sofisticate. In poco più di due ore e mezza, ha raggiunto gli 11.000 metri nel fondo dell’Oceano Pacifico. Solo nel 1960, altri due esploratori avevano "toccato" quel fondale, Jacques Piccard e Don Walsh, a bordo del batiscafo Trieste.
Otto mesi dopo il termine della spedizione di Cameron, il team ha annunciato i risultati scientifici; l’analisi delle immagini scattate e dei campioni raccolti ha rivelato la presenza di una grande abbondanza di vita. Sono stati isolati più di 20.000 organismi, in particolare anfipodi e isopodi, alcuni dei quali nuovi alla scienza. Questo sta a indicarci dunque le potenzialità dell’uomo nei confronti della tecnologia e dell’esplorazione. Chissà, però, se prima di raggiungere Marte, saremo stati in grado di conoscere un po’ meglio il nostro pianeta acqua? La risposta agli scienziati!