In molti casi il cibo offerto come prasad alla divinità caratterizza alcuni alimenti particolarmente “graditi” da una specifica manifestazione del divino, come nel caso dei laddus, amati da Ganesha, nota rappresentazione del pantheon induista. Mito, vita quotidiana e cibo si fondono per creare insegnamento: numerose sono le versioni sulla nascita di questa divinità, ne sintetizziamo una che narra della dea Parvati (letteralmente Figlia-della-montagna) che, mentre stava compiendo i suoi atti di pulizia/purificazione, concretizzò un essere di fattezze umane con la farina di ceci impastata di olio con cui si era pulita (altre versioni affermano che utilizzò il suo sudore o gli unguenti di cui si era spalmata) per avere a disposizione un guardiano a custodia delle sue stanze.
Nota esplicativa obbligatoria per noi occidentali legati a consumi industriali di schiumogeni di vario tipo: una ricorrente pratica tuttora in uso, dopo un lavaggio accurato o dopo un massaggio secondo i dettami dell’abhianga (massaggio ayurvedico) è l’usanza di ungere il corpo con olii vegetali o oleoliti a base di erbe curative (l’ayurveda è ricca di una antica tradizione legata alla preparazione di questi composti). L’eccesso di olio viene bilanciato strofinando sul corpo la farina di ceci, la pelle rimane così oleata quanto basta e morbida. Il cicer arietinum (nome botanico del legume) ha questa interessante proprietà di “legarsi” e catturare le parti grasse, non sarà un caso che il consumo regolare di questo alimento riequilibri le dislipidemie del nostro sangue attenuando l’eccesso di colesterolo?
Tornando alla dea Parvati… essendo il pupazzo da lei composto una creazione divina (utile suggerimento simbolico: solo una mente purificata ha la capacità di dare forma e realtà a ciò che pensa e desidera) e vitalizzato dal desiderio, prese vita autonoma. Divenuto ormai un vero essere vivente, battezzato Ganapati (ogni cosa creata sottostà al nama e rupa, cioè a un nome e una forma) fu posto a guardia della stanza da bagno materna (qui abbiamo un altro riferimento simbolico sulla esistenza di un confine tra uno spazio divino, superiore, purificato e quello ordinario e materiale).
L’arrivo di Shiva, consorte di Parvati, ignaro dell’accaduto e completamente all’oscuro di essere di fronte non solo a uno sconosciuto, ma addirittura a suo figlio (anche se frutto di un concepimento eterologo divino) che oltraggiosamente gli impedisce l’accesso alla stanza di toeletta della sua compagna, scatena in lui una reazione istintiva e incontrollata (altro tipo di manifestazione della mente). Nel parapiglia che ne consegue la testa della neonata divinità viene decapitata (Shiva contiene in sé, tra le tante, anche una manifestazione distruttiva). La testa mozzata rotolata lontano e introvabile, impedisce a Shiva di rimediare al suo gesto impulsivo e lenire, così, il dolore di Parvati. Come immediata soluzione, al primo essere vivente che incontra, un elefante, sottrae la testa per sostituirla a quella mancante del figlio.
Abbiamo così la creazione della nota divinità conosciuta anche come Gajanana (faccia di elefante), Gajadhipa (Re degli elefanti) o Ganesha il dio panciuto con la testa da pachiderma! Nell’insegnamento del mito la figura di Ganapati rappresenta la relazione tra il microcosmo/il corpo di uomo/il principio manifesto (parte inferiore del corpo) e il macrocosmo/la testa di elefante/il principio non-manifesto (parte superiore del corpo). "L’immagine di Ganapati ci ricorda incessantemente la realtà di una identità apparentemente impossibile. L’essere umano come immagine del cosmo".
Per cogliere pienamente il mito bisogna anche accostarsi al significato che ha l’elefante per la tradizione orientale: un’animale utile, importante, saggio, paziente, forte, affidabile, collaborativo, intelligente, da qui anche l’origine antica del culto di una figura tereo-antropomorfa come quella di Ganesha.
Ganapati, attualmente, è noto principalmente come colui che toglie gli ostacoli, una divinità benevola e favorevole da cui deriva un altro suo epiteto: Vighneshavara (signore degli ostacoli). Questa sua propensione è ricordata dalla sua proboscide raffigurata ricurva per indicare che gli ostacoli possono essere aggirati e superati per non interrompere il raggiungimento finale (una interpretazione più Tantrica ricorda che sta a indicare le due vie iniziatiche della Mano Destra e della Mano Sinistra!). Ma oltre a questa venerazione popolarissima di buon auspicio per ogni opera da intraprendere (la sua immagine è presente in ogni luogo, casa e tempio), Ganapati è anche il signore delle categorie: "tutto ciò che si può contare o classificare forma una categoria (gana)… il termine categoria indica qualunque collezione di cose. Il principio di ogni classificazione che permette di stabilire una relazione tra diversi ordini di cose, tra il microcosmo e il macrocosmo, si chiama il Signore delle categorie(Ganapati)".
Ganesha è, inoltre, lo scriba divino: "sei tu, Capo delle categorie, quello che trascrive ogni cosa (Mahabharata)” è lo scrivano di Vyasa, a cui viene dettato il celebre poema epico Mahabharata, e, infine, il patrono delle lettere e dello studio. Numerosi sono i riferimenti simbolici legati alle sue rappresentazioni: il topo (mushaka) come “veicolo” (vahana), la svastica come segno grafico, le quattro braccia (due tengono un laccio e un uncino), le sue orecchie come ventagli. Viene rappresentato con una sola zanna (ekadanta) perché si narra che la Luna e i suoi 27 asterismi (naksatra) iniziarono a canzonarlo dopo l’esplosione della sua pancia da cui erano usciti tutti i dolci di cui si era rimpinzato (sicuramente i laddus, tipici dolci a base di farina di ceci, zucchero e ghee, che gli vengono donati, in particolar modo, alla celebrazione della sua festa, il Ganesh Chaturthi). In preda alla rabbia spezzò una zanna che lanciò contro la luna che piano, piano, divenne nera.
Il cece, gustoso e benefico legume ci ricorda anche un grande yogi della tradizione spirituale: Ramana Maharishi (il santo silenzioso di Arunachala) che compose un canto mistico ispirato da una pietanza classica della cucina indiana, il pappadam preparata a base di farina di ceci e spezie.
A proposito di ceci sapevate che… è coltivato dall’età del bronzo, (dal 3500 al 1200 a.C.) che il nome botanico arietinum deriva dalla forma somigliante al profilo di testa di ariete che hanno i semi… e che il cognome di Cicerone (Marco Tullio) deriva da un suo antenato che aveva una verruca a forma di cece sul naso… Il colore di Ganapati è il rosso ed è venerato con le offerte di fiori dello stesso colore, ma questo sarà argomento del nostro prossimo incontro.