Ho intitolato la tua intervista “La storia di un performer”, ma cosa vuol dire in realtà essere un performer?
Il problema, vedendo il “problema” come una prospettiva e una risorsa - e anche questo è un “problema” se vogliamo -, sta tutto qui: nel momento della ricerca di un nome esplicativo, aziendale, non ho trovato niente nella lingua italiana in grado di illustrare, in una parola, le tante esperienze in corso o già compiute che mi sono trovato a sviluppare. Sono un musicista con la sua pratica conservatoriale e artistica d’incontri e scontri in gruppi piccoli e anche grandi e complessi come l’Orchestra Multietnica di Arezzo ma non mi occupo solo di musica né, a dirla tutta, di un solo strumento musicale. Sono un attore di palcoscenico con poca accademia e molta scena ma non sto solo sulla scena - le piccole città in cui mi muovo, d’altronde, nemmeno lo permetterebbero. Sono uno scrittore ma scrivere, pur raccogliendo gran parte delle mie fantasie, incide quasi per nulla sulle mie finanze - altro “problema”, se vogliamo. Nella diramazione scrittura entra il lavoro drammaturgico e giornalistico - sono un giornalista pubblicista regolarmente iscritto all’albo. Se sto sulla scena non disdegno lo sguardo registico... molti dei miei spettacoli per l’infanzia sono interamente realizzati da me: dal testo, alle musiche, alle scene, alle locandine... per non dire dei comuncati stampa. Realizzo inoltre documentazioni video, cortometraggi, videoclip. Ho lavorato con la cartapesta ma anche con l’argento. E tutto questo lo riporto nella scuola in laboratori che vanno dalla messinscena di uno spettacolo teatrale all’organizzazione di un concerto musicale con oltre 100 bambini dai 6 agli 8 anni dotati di mestoli, pentole e coperchi. E c’è ancora dell’altro ma qui mi fermo tornando al “problema” che, come tutti i problemi, ha due facce: da un lato, nella testa, risiedono la curiosità e l’ecletticità, il piacere di sperimentare e di conoscere, e questo porta al “perfomer”; dall’altro, nella croce, sta un pensiero... (ed è un pensiero perché pur con i miei venerandi 43 anni non può essere ancora altro): se con una sola delle attività che porto avanti riuscissi a procurarmi uno stipendio onorevole - perché va anche detto che all’ “onorevole” non sono ancora arrivato... - smetterei d’impegnarmi nelle altre? Non lo so e... attendo con gioia di trovarmi nel pieno del dilemma!
Sei un cantastorie, che inventa storie cantate e le racconta a grandi e piccoli. Da dove trai l’ispirazione? Quale è la tua storia meglio riuscita?
Ogni cosa, oggetto, soggetto, anche l’aria è per me, o può esserlo, ispirazione e lavoro… difatti è difficile spiegare che un’idea può venire da un sogno o proprio mentre ti stai tagliando l’unghia del pollice. Come si raccontano le ore di lavoro? Io non ci riesco perché belle idee nascono anche mentre sei lì che infili la busta della spazzatura nel secchio. E bisogna essere pronti a raccoglierle: un taccuino, un lapis, un telefonino e si va avanti. Prima uno schizzo, un abbozzo e poi, magari mentre l’unghia del pollice cade a terra e passi alla limatura, la testa cerca già uno snodo, un conflitto e la sua risoluzione. Le idee, se vogliamo, sono un “problema” della mente. Sono intrecci che capitano, vie sbagliate e/o irrisolte, incontri e scontri della chimica che ci rende esseri umani. Capitano a tutti. Fanno parte del gioco della vita. Poi c’è chi non ci fa caso e chi le nasconde. E chi cerca di superarle. L’esperienza dell’arte - o era predisposizione? - mi ha insegnato a cercarle, a inseguirle, a catturarle. Anche a procurarle, quando serve. Ma con attenzione perché, come tutti i “problemi”, le facce sono sempre almeno due e, parlando di sinapsi, il due ha un numero in potenza. E qui entrano in campo gli psicoterapeuti. La storia meglio riuscita, da un punto di vista pratico, è “Il corvo blu”. Una favola per il teatro ragazzi che, in oltre dieci anni, ho portato in tanti teatri e scuole d’Italia accompagnato da Gianna Deidda, splendida attrice fiorentina con origini sarde. Semplice e, per come la vedo io, perfetta.
Clarinetto, flauto dolce, composizione, coro polifonico, bombardino, raccontaci in qualche “battuta” il tuo percorso con la musica.
Io vengo dalla terra, come tanti. E dalla fabbrica. Da genitori che, nella fatica e nel sudore di anni di sviluppo e di crescita, economica e sindacale - insomma di stipendio ma anche di diritti -, hanno preservato un pensiero: far vivere ai propri figli una vita degna aiutandoli a sviluppare desideri e potenzialità, ciò che a loro era stato in parte o in tutto negato. Avvicinarsi alla musica era una di queste possibilità ed è avvenuta a 11 anni, con la scuola media. Come prima mia sorella anche a me è stata data la scelta di frequentare una scuola con un percorso “nuovo”, a quei tempi: lo studio di uno strumento musicale. Il clarinetto è arrivato qui. Poi la fondazione del Liceo Musicale di Arezzo, il primo e unico annesso a un Liceo Classico, il diploma in Conservatorio, il militare e la fanfara e infine la curiosità d’affondare le mani nel piacere di una trasformazione semplice e sempre stupefacente: il risuonare di un corpo che vibra nell’aria. Corpo come oggetto materico, timbrico (e qui sta la musica). Ma anche di carne e ossa (e qui sta il teatro). Il tutto grazie ad incontri e a maestri senza i quali, nel bene e nel male, forse non sarei qui a risponderti. Nel frattempo la musica, da buona opportunità di lavoro, è diventata una buona opportunità di disoccupazione ma questo, ai miei genitori, non gliel’ho detto… temo però che se ne siano accorti da soli, troppo tardi.
Le tue prime pubblicazioni sono stati due racconti brevi. Ce li puoi “raccontare brevemente”?
Sarò brevissimo. Da adolescente ho avuto l’acne. Incontro drammatico che ha letteralmente sconvolto la mia visione del mondo e di me stesso. C’era un “brufolo”, in particolare, che mi dava molto fastidio. Compariva sulla punta del mio naso a intervalli irregolari trasformandomi in Mastro Ciliegia. Figurati: in alcuni momenti ho perfino cercato di nasconderlo con un cerotto, tanto me ne vergognavo. E poi, sempre per dire come nascono le idee, un giorno mi trovo a passeggiare, in campeggio, con una tuta blu con una striscia bianca laterale. Sembra la divisa di un “nordista” della guerra di Secessione Americana. Un lampo e il mio viso si trasforma in un campo di battaglia: vedo la mappa, vedo le conformazioni acneiche, vedo chi vince e chi perde. Idea pervicace che tengo in testa per alcuni anni, fino alla conclusione dello sviluppo e all’addio definitivo all’acne giovanile, e che diventa l’eroica battaglia di un brufolo di nome “Testa Rossa Jack”. Una sorta di rivincita, insomma. Nell’altra, assai più complessa, ho narrato del mio primo colloquio di lavoro. Era un posto quasi sicuro - a quel tempo accadeva ancora - ma decisi di rinunciarvi per continuare nella via dell’arte, non mi sentivo pronto per una quotidianità “normale”. Però mi posi una domanda: quale percorso avrei dovuto compiere per arrivare alla scelta opposta? Questo è “Poltrone verdi”. Entrambi sono racconti fuori commercio. Anzi, se qualcuno ne volesse approfittare i diritti sono disponibili…
Cosa è la recitazione per te?
È racconto e gioco. È costume e trucco. È maschera e s-personalizzazione. È uscita dall’io. È mondo che la voce ri-crea. Sempre accogliente (e riflettente). Insomma… roba criptica!
Alcuni titoli dei tuoi spettacoli?
Sono molto affezionato a “Rosa Lullaby”, un lavoro per il teatro nato da una ricerca triennale che mi ha portato a intervistare molti dei protagonisti dell’esperienza di chiusura del manicomio di Arezzo - il tutto sta in un libro da me curato dal titolo “Utopia e realtà: una memoria collettiva” edito dalla Edifir di Firenze. “Rosa Lullaby” è stata l’occasione per lavorare con un cantautore straordinario, Paolo Benvegnù, che ha scritto per lo spettacolo canzoni ancora inedite. Sempre scritti da me segnalo, per gli adulti (ma aperti a tutti), “Il Vanto del Buon Amore”, una riscrittura in ottava rima de “El libro del buen amor” di Joan Ruiz Arcivescovo di Hita (1343), un testo che portiamo in scena con composizioni musicali originali dell’epoca e ancora “Cioccolato al l’Arte”, un percorso stravagante, molto corporeo, dedicato allo studio del cioccolato, una delle mie passioni culinarie. Di quelli per il teatro ragazzi ne ho tanti nati in anni di studio e di ricerca. Tra gli ultimi vorrei segnalare “Favolondo”, una favola in musica realizzata in collaborazione con i musicisti dell’Orchestra Multietnica di Arezzo; “Il Flauto Magico”, una riscrittura dell’originale mozartiano che portiamo in scena con le trascrizioni musicali dell’epoca per duo e di cui ho realizzato anche le scenografie utilizzando materiali di riciclo e ancora “Pirati di classe”, invenzione giocosa insieme al duo comico “Noidellescarpediverse”, con importanti partecipazioni televisive, Samuele Boncompagni e Riccardo Valeriani. Non scritti da me, tuttavia di un certo livello, segnalo l’attuale “Credoinunsolodio” - il testo è di Stefano Massini - con Amanda Sandrelli, attrice e donna superba e uno spettacolo non più in produzione ma che mi ha dato tanto, “Morire dal ridere” con l’energetico Nicola Rignanese, da molti conosciuto come spalla televisiva di Antonio Albanese ma attore dall’esperienza teatrale straordinaria. Posso citare anche l’indimenticata Marisa Fabbri con la quale ho portato avanti un rivelatorio percorso attoriale e musicale?
Chi è il piccolo Tuk?
Alcuni anni fa ho avuto modo di conoscere e frequentare la Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari, diretta da Duccio Demetrio - ne sono uno dei diplomati e, per un po’, consulente scientifico. Il piccolo Tuk nasce da questa frequentazione e dall’incontro con figure umane meritorie di citazione, come Renato Li Vigni e Anna Noferi. Dall’amicizia, prima, e dalla passione comune per il rispetto dei luoghi dell’uomo, naturali e mentali, sono nati dei racconti (riuniti in due libri) e un percorso di teatro per ragazzi che ci ha portati addirittura a recuperare un pezzo di bosco trasformandolo in un magico teatro. Il teatro di un’ora, “L’ora di Tuk”, poi diventata rassegna di teatro in natura di carattere nazionale grazie alla Provincia di Arezzo e infine, con la crisi, memoria di qualcosa di buono che è stato fatto e che è andato perduto. Forse per sempre.
Pasta di legno, pasta di sale, argilla, usi molto anche la manualità e cosa riesci a creare con le tue mani?
Con le mani ho realizzato molto: sculture, oggetti scenici, strumenti musicali. Ho un vera inclinazione per il recupero di ciò che non ha storia o che non l’ha più perché s’è rotto, perché non è più servibile, perché non va più di moda. Sento il lamento di un racconto in potenza che non s’è fatto narrazione. E così, quando posso, m’adopero affinché quell’oggetto recuperato possa dirsi portavoce di una nuova storia. Ricreatore di un nuovo mondo. In teatro ma anche, più semplicemente, sopra una mensola di casa. Certo, mia moglie non ne è sempre contenta… - ad esempio di quei gusci di noce che m’ostino a tenere sulla scrivania non è contenta affatto ma ancora non sa che cosa diventeranno… Dal mio punto di vista è anche una questione di rispetto di quanto ci circonda e di quanto del mondo manipoliamo a fini non sempre ecocompatibili. E una sorta di testamento non solo verbale dedicato a chi mi seppellirà.
Cos’è Sottoidiciotto?
Sottoidiciotto è un esperimento giornalistico per l’infanzia nato sei anni fa con il portale d’informazione www.arezzonotizie.it. Grazie a Gino Perticai, direttore del portale, sono libero di elaborare testi dedicati ai piccoli fruitori della rete ma anche, e forse soprattutto, ai loro genitori. Oggi, anche per ragioni economiche, Sottoidiciotto è soprattutto una pagina d’informazione ma invito il lettore a curiosare all’interno dell’archivio - in questi sei anni, difatti, il portale si è sviluppato molto e gran parte degli articoli vecchi sono recuperabili solo in questa forma -: vi troverà davvero tante strambe invenzioni letterarie. In attesa di nuove rivoluzioni che pare dovrebbero arrivare… Per quasi due anni sono stato anche tra i redattori de “Il Nuovo Corriere Aretino” con una pagina settimanale, domenicale, interamente dedicata ai piccoli lettori intitolata “Focus dei Piccoli”. È stata una gran bella esperienza finché la crisi è passata e con la sua falce ha strappato non solo la mia pagina ma l’intera testata… tant’è che tanti giornalisti, come me, sono ancora in attesa degli ultimi mesi di stipendio. Ma questa è una storia che ha poco a che fare con quel che ci stiamo raccontando per cui… avanti il prossimo!
È molto attiva la tua collaborazione con Les Trois Comò. Parlaci dei vostri spettacoli.
Les Trois Comò sono una gioia. Amici deliziosi. Musicisti eccelsi. Ascoltatori stupendi, attenti e generosi. Di più non si può chiedere. Il gruppo è in gran parte umbro, zona Assisi - Elisa Tonelli (voce), Fabrizio Volpi (chitarra), Giacomo Piermatti (contrabbasso), Massimiliano Dragoni (percussioni e salterio) - con la propaggine toscana/aretina di me (nel gruppo mi trovo anche a suonare clarinetto e fisarmonica) e Giorgio Pinai (flauti). Il loro è un percorso musicale che ha una propria storia finché, complice la stima reciproca, mi sono inserito e da lì ci siamo messi a percorrere insieme un cammino di teatro in musica. Molto a braccetto! Io mi occupo della parte drammaturgica, i 5 originari de Les Trois Comò lavorano sulle musiche e i testi, quindi, in un’opera comune che spesso sconfina in pranzi e cene succulenti - nel gruppo ci sono ottimi cuochi ma siamo tutti incredibili mangiatori - mescoliamo le carte ed ecco la meraviglia: lo spettacolo è pronto per la scena. Amiamo confrontarci con temi impegnativi rivolti alle nostre origini, alle nostre terre e culture, ma anche ai conflitti che la modernità impone. Così con “Nero Profumo”, dedicato al caffè d’Italia, bevuto, cresciuto con le nostre generazioni, amato ma anche coltivato, con gli squilibri imposti dal mercato internazionale e dalle multinazionali e un occhio al commercio equo e solidale. Così ancora con “Tacito per Roma”, il nostro secondo lavoro che ha debuttato da circa due mesi, dove raccontiamo una storia legata alla migrazione interna di tanti umbri, toscani e marchigiani verso Roma capitale in cerca di lavoro e d’opportunità d’autoaffermazione, quando certi luoghi del nostro splendido centro Italia potevano dirsi depressi o, comunque, poco “generosi” con la propria gioventù. In questo momento stiamo lavorando a un nuovo progetto, “Ri-volta la carta” che debutterà il 1 giugno a Bibbiena ma non posso dire di più… non ancora. Posso dire però che parlerà di “spreco” e di “profitto”…
Hai nominato più volte l’Orchestra Multietnica di Arezzo… di che si tratta?
L’Orchestra Multietnica di Arezzo è un progetto vasto e dalla presa eccezionale, soprattutto per gli aspetti umani che veicola, d’incontro e di conoscenza tra culture e generazioni anche lontane. Frutto di un’idea di Massimo Ferri e della cooperativa Officine della Cultura - con il sostegno del Comune di Arezzo -, una realtà di cui sono socio con la quale collaboro sotto tanti aspetti. L’Orchestra Multietnica di Arezzo è attualmente un’associazione di volontariato presieduta da un altro musicista e produttore eccellente, Luca “Roccia” Baldini e diretta da Enrico Fink, flautista e cantante dalle molte doti. L’Orchestra raccoglie musicisti aretini in senso stretto e lato, residenti nel territorio ma dalle origini lontane, e dunque vede affiancati i tanti modi di leggere e affrontare la musica, ma se vogliamo la vita, presenti oggi in una città piccola ma nemmeno tanto come Arezzo. Per questo è un progetto che va oltre la musica e gli strumenti musicali. S’innesta direttamente nelle relazioni e nelle contraddizioni della nostra contemporaneità trovando, nel suo piccolo, soluzioni sociali ambiziose e sempre rispettose degli uomini e delle culture di cui siamo portatori. Lavoriamo molto nelle scuole ma l’anelito al grande palcoscenico è sempre forte ed è così che stiamo portando avanti collaborazioni importanti con Stefano “Cisco” Bellotti, Raiz, Moni Ovadia, Filippo Graziani e Amanda Sandrelli. Abbiamo un nuovo disco in cantiere - lo stiamo registrando adesso -, uno già in vetrina dal titolo “Animameticcia” e, accanto, il premio “Suoni di confine 2010” riconosciutoci dal MEI insieme ad Amnesty International.
Quali dei tuoi spettacoli e concerti ci aspettano in estate?
Tra luglio e agosto l’Orchestra Multietnica di Arezzo torna in palcoscenico con un nuovo disco e una nuova produzione per incontrare il pubblico di Arezzo e di Montevarchi, per adesso. Con Les Trois Comò ci attendono invece alcuni concerti tra Toscana, Umbria e Marche con il nuovo testo “Ri-volta la carta”, ma le date sono ancora in via di definizione. Stiamo lavorando anche su “Credoinunsolodio” con Amanda Sandrelli ma si va a fine estate. Questi i momenti più impegnativi mentre maggio è dedicato alla restituzione dei laboratori scolastici, il premio del pubblico per i piccoli studenti, e a giugno si conclude il progetti di “A Pezzi”.
Già, “A Pezzi”… ti va di dircene “un pezzo”?
“A Pezzi” è un film, un vero cortometraggio, suddiviso in capitoli o pezzi o canzoni - un pezzo per ogni canzone - che sto realizzando insieme all’omonimo gruppo musicale aretino composto da Enrico Zoi (chitarra e voce), Stefano Albiani (batteria) e Luca “Roccia” Baldini (basso e voce, nonché produttore del progetto). A partire dal 20 marzo scorso stiamo lanciando il film, a pezzi, su youtube. Attualmente siamo al pezzo n. 5. L’ipotesi è di concludere per il solstizio d’estate regalando a chi ci guarda non solo il filmato ma un intero cd musicale, il cd d’esordio di questo gruppo che sta cercando di raccontare, in musica, la propria essenza generazionale. È un progetto ambizioso che sta coinvolgendo anche amici e associazioni della città. Invito i lettori a guardare i pezzi di “A Pezzi” cercando il canale youtube di “A Pezzi” o visitando il sito www.apezzi.it.
Ti senti anche tu come Brecht “come un insetto nell’ambra”?
Grazie per aver citato parte del titolo della mia tesi di Laurea in Lettere. Mi dai l’occasione di ricordare, anche a me stesso, che sono uno dei laureati con “110 e lode e dignità di stampa” dell’Università degli Studi di Siena. Non siamo in tanti! Ma sì, un po’ nell’ambra mi sento. Pregio e difetto di vivere e operare con pochi soldi in realtà piccole dove non ci sono casse di risonanza, dove anche le cose eccelse le vedono in pochi e non trovano sbocchi, dove non esistono critici in grado di recensirti né media capaci e/o desiderosi d’investire nel racconto dell’arte come stai facendo tu. Non solo insetto nell’ambra, dunque, ma ambra nel deserto. Però voglio leggere tutto questo come un modo per operare bene, per dedicarsi al proprio mestiere con la pazienza dell’artigiano. Perché alla fine è questo che faccio: performer e artigiano. Sarà un problema?
Per saperne di più: www.giannimicheli.eu