I’m sure that in five more years, everyone will be showing their vagina on the internet.
Basterebbe soltanto quest’affermazione per comprendere rapidamente l’approccio critico dell’artista americana Ann Hirsch, che la bolognese Gallleriapiù ha deciso di farci conoscere nella prima personale italiana. Classe 1985, vive e lavora a Los Angeles e ha già all’attivo un curriculum importante: tra le esposizioni infatti figurano presenze al Goldsmith e alla Whitechapel di Londra, così come al New Museum di New York. Laureata prima in video arte e poi in scultura, l’artista è gradualmente approdata al mondo della rete, dapprima con le chat private, e immedesimandosi poi attraverso diversi progetti come la fondazione di un personale canale Youtube e la partecipazione diretta a un reality televisivo, così empaticamente nello stereotipo della donna contemporanea proposta dai vari massmedia. Submarine Society, titolo dell’esposizione, vuole essere una totale, severa ma giusta, immersione sottomarina nella tormentata e navigata sessualità femminile.
Cosa significa essere contemporanei? Significa poter essere presenti a se stessi, in un virtuale che cambia alla velocità di una scopata. No, non avete letto male. La Hirsch analizza l’oggi e lo fa oltrepassando i limiti imposti dalla censura. Sì, molto probabilmente è ancora possibile parlare di censura nonostante il progresso culturale degli ultimi anni. E per capire che ciò è vero, basta pensare al nostro inconscio, di tutto ciò che la mente ritaglia, butta e oscura perché ritenuto osceno, vergognoso, perturbante. Di quanto ancora una società che si definisce evoluta non sappia contemplare l’osceno e le questioni sociali che esso porta a galla con sé. Di quanto si abbia paura di vedere il fondo, di questo eterno navigare, reale o virtuale che sia. Ecco, la Hirsch è il Capitan Hook di questa Submarine Society, e di allegrie yellow alla Beatles c’è ben poco.
Ma ritorniamo al perturbante. I disegni a matita della serie Iceberg, che accolgono nella prima sala d’ingresso della mostra, è una insieme di lavori in progress di quest’anno che partono proprio da una rilettura personale di Freud, come viene citato, nel testo critico della mostra, il più grande esploratore dell’inconscio del secolo scorso: “La mente è come un iceberg, solo un settimo della sua superficie emerge dall’acqua”. Maledettamente vero. Quanto e quante cose si depositano nei sobborghi più intimi e oscuri, negli interstizi più nascosti della coscienza. Nel suo diario segreto redatto alla stregua di un fumetto allucinato, la Hirsch con un tratto piuttosto istintivo, quasi infantile, semplice e per questo onesto e originario, traccia la propria ricerca e ce la disvela su tela invitandoci a riflettere. Si spoglia delle sue fantasie e ci invita a una nudità di pensiero. I colori quasi fauves, intensi, colpiscono per l’immaginario vasto e surreale a cui danno poi vita. Ricorda un primo espressionismo nordico, inquietante, trasbordante di indicibili confessioni. Il disegno della Hirsch è peccaminoso, nel senso laico del termine, ovvero all’artista non serve il perdono voyeuristico, anzi in questa progressione delirante invita l’altro da sé a fare altrettanto, a interrogarsi sui naufragi dell’invisibile, perché quella punta di Iceberg diventi letteralmente un’erezione cerebrale.
Le donne che popolano la serie di Iceberg non sono che gli alter ego dell’artista, le tante e possibili esistenze muliebri al limite, così fragili e ossessive. Sospese tra una visione e la paranoia (viene alla mente un verso della celebre canzone del 1966 dei Buffalo Springfield: “Paranoia strikes deep, Into your life it will creep, It starts when you're always afraid, You step out of line, the man come and take you away”), esse si alternano impiccate a palloncini o antropomorfizzate come zebre umane, o ancora evanescenti tra simboli di sodomia o mascherate da personaggi derivanti la cultura popolare americana ma non solo.
Gli Iceberg sono cocktail di simboli e significati multipli, a mezzavia tra l’ironia e il dramma esistenziale. Questi assurdi paradossi visivi non fanno che confermarci quanto il contemporaneo stesso sia così, ed è proprio per questo che la nostra mente non accettando reali determinate situazioni, censura e non comprende molte paure, sia personali che collettive, relative all’oggi.
Da Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio di Sigmund Freud: “Sul Perturbante (Un-heimliche). Non c’è dubbio che esso appartiene alla sfera dello spaventoso, di ciò che ingenera angoscia e orrore, ed è altrettanto certo che questo termine non viene sempre usato in un senso nettamente definibile, tanto che quasi sempre coincide con ciò che genericamente è angoscioso”. E ancora: “Unheimlich, dice Schelling, è tutto ciò che avrebbe dovuto rimanere segreto, nascosto, e che invece è affiorato”.
Spostandoci nella seconda sala, vietata ai minori di 18 anni, arriviamo alla serie di video Cuts: The Unbearable Whiteness of being, Dancers in the dark, You’re so deep, Got milk?, Censored, Titty Fucking, The women of the Oblong Table, una serie di filmati pornografici suddivisi in altrettante categorie come: For Women, Asian, Interracial, Anal, Milf, Teen, Amateur.
La Hirsch, non vuole provocare lo spettatore, no, assolutamente. E qui il visitatore medio non deve inciampare nello stereotipo o nel cliché. L’artista prende in analisi una grandissima parte di web che spesso e volentieri non viene fruita così facilmente dal pubblico mainstream, nonostante vada ricordato che il porno sia a tutti gli effetti uno dei più grandi mercati del contemporaneo. La Hirsch fa un’indagine semiotica: che sia sesso tra donne, anale, con uomini di colore, di bassa qualità, l’importanza è accorpare secondo valori formali o tonali, una produzione controversa e ludica come quella pornografica. Ma non solo, in alcuni video, accade quello che possiamo chiamare cortocircuito di senso, se in alcuni una voce narrante racconta e spiega alcuni aneddoti relativi al sesso anale o alle milf, in altri vengono sostituiti i gemiti e le grida di piacere a canzoni di Bruce Springsteen, scelta non casuale, visto che l’artista lo considera perfetto nel ruolo dell’americano medio bianco di mezz’età che decanta il possesso e l’amore.
Cosa esiste di più vero e sincero del porno, così senza sovrastrutture o celamenti? Come ha affermato Melissa Panarello, che della sua esperienza ha fatto un vero e proprio pop-marketing: “La pornografia non contempla l’etica, solo l’estetica”. E se ciò comporta un’analisi semiotica come la Hirsch ha intrapreso, ancora meglio.
Submarine Society è una mostra da vedere con profonda serietà, e questo voglio sottolinearlo, perché troppo spesso la percezione collettiva delle proprie angosce e del sesso, soprattutto della pornografia, è spesso confusa e ridicolizzata, abbassata a un livello di incomprensione generale, che porta inequivocabilmente a molteplici tipi di censura. E per censura intendo, anche e soprattutto, un tipo di atteggiamento ostile all’avvicinamento e alla conoscenza di questioni, per così dire: perturbanti.
La Hirsch trasversalmente con differenti mezzi, dal disegno al video, ci fa riflettere sul nostro essere presenti come corpo, da donne, in questo limen sempre più sottile tra reale e virtuale, in questo conflitto benevolo che possiamo comprendere o cercare di esplorare soltanto non censurando ciò che primordialmente ci perturba o ci imbarazza, sia essa una nostra fantasia inconscia, sia esso un filmato pornografico.