...la melanconia imita la terra, aumenta in autunno e domina nella maturità.
Nei tappeti io ci inciampo. Nel mio appartamento giacciono arrotolati sotto gli armadi. Ne ho in abbondanza perché, per un certo periodo, alla fine dell'estate Mustafà riusciva a vendermeli. Ne ho una vera collezione perché Mustafà è un grande mercante turco e riesce sempre a convincermi che i suoi tappeti, le sue lenzuola, i suoi teli, i suoi abiti sono di ottima qualità e soprattutto mi sono indispensabili. Compro per simpatia e poi relego in angoli bui. I tappeti in casa spengono i miei passi, riescono ad essere sempre lì, dove meno me li aspetto.
Sono distratta e ci inciampo soprattutto a casa di quelle amiche che continuano a coprire i loro pavimenti con queste armi improprie. Sempre lì pronte a colpire. È sufficiente un bordo leggermente sollevato, una piega quasi invisibile per farmi precipitare rovinosamente a terra e mettere a rischio il mio fragilissimo scheletro. Più che costruito di ossa solide ora pare una impalcatura instabile di cristallo e se cado si frantuma. Ma quando l'autunno regala al giardino tappeti di foglie dai toni pastello allora scendo e i miei passi lenti compongono ballate.
È la natura che in uno splendore di gialli e rossi con le loro sfumature e ancora verdi e viola e arancioni che vanno incontro al lilla e all'ocra, dona nuova vita alle foglie cadute. Dovrebbero terminare il loro ciclo come accade nella bellezza impenetrabile - per nostra fortuna - dei boschi, dei castagneti e ridare vigore alla terra. Invece no, qui in città si ripulisce ciò che non andrebbe toccato e si continuano a chiudere gli occhi su ciò che in realtà sporca e inquina il nostro respiro. E prima che si compia il delitto della ripulitura il mio sguardo si inchina a questo trionfo di colori, e il respiro riprende il suo ritmo naturale.
In autunno compio proprio un itinerario guidato che mi conduce alla visione degli unici tappeti che richiamano in me il senso delle cose. Volendo posso comprendere la bellezza di tappeti persiani e di altre razze prestigiose ma qui c'è dell'altro. C'è l'autunno della mia vita che è così potente e insieme armonico come questi tappeti. Prima di ritornare alla terra le foglie e io mettiamo in campo splendori mai visti prima. Sì, a terra, diamo il meglio di noi.
Riprendo il mio itinerario alla ricerca di tappeti d'autunno. Dopo aver conversato con quello del mio giardino mi dirigo verso il centro della città e alla fine di via Mario Montanari incontro un tappeto grandioso rosso incendio con trilli di color malva permanente, foglie con due volti ben distinti; uno ocra giallo e l'altro un cremisi tendente al rosso indiano. Qui non resisto e fotografo questo trionfo. Procedo e tengo sotto controllo i ginkgo biloba che segnano lo spazio verde che divide in due la circonvallazione: in un giorno tutte le foglie a forma di ventaglio cadono a terra e con il loro colore giallo tendente all'ocra illuminano tutta la via. Ma Ravenna contiene in sé due gioielli di rara bellezza. Sono due alberi. Il primo è il grande ginkgo biloba che arricchisce un angolo di via di Roma. Dovrebbe far parte delle guide turistiche ravennati. Ha, sulla città un forte impatto visivo e quando i suoi ventagli abbandonano i rami e danzando nell'aria si adagiano nel terreno lo trasformano in un mosaico d'oro. Lì, un tappeto monocromo di luce. Il secondo si trova in uno dei luoghi più affascinanti del mondo; il giardino all'interno del complesso di S. Vitale. L'albero, un platano dalla storia antica, è a ridosso del cosiddetto mausoleo di Galla Placidia. Lo conosco da tanto tempo. Quando facevo lezione all'aperto spesso portavo gli studenti in questo luogo per cercare di descriverne la fatale qualità.
Sembra, pare, è un Dio sceso dall'Olimpo. Per un tempo infinito ha vissuto accanto alle stelle, il sole ha guidato i suoi passi, la luna d'avorio ha cullato la sua anima. La sua musica viene dal canto degli usignoli. Nel cuore di Ravenna quel platano lì - non ne esiste un altro simile - è passato e presente e futuro. Sotto la sua ombra posso esplorare la storia di questa città. Il suo respiro è il respiro della mia anima. E in tutte le stagioni mi regala le metamorfosi della sua bellezza. In autunno, la dolce voce del vento fa volare a terra piccole stelle e il paesaggio attorno si addormenta tra splendori di luce. Il mio corpo affonda in questo mare di foglie liquefatte e ne divento la custode testarda e incosciente.
Un ignoto autore medievale scriveva: "il sangue che imita l'aria aumenta in primavera e domina nell'infanzia; la bile gialla imita il fuoco, aumenta d'estate e domina nell'adolescenza. La bile nera, ovvero la melanconia, imita la terra, aumenta in autunno e domina nella maturità. Il flegma imita l'acqua, aumenta in inverno e domina nella vecchiaia".
Ecco, nei tappeti d'autunno ritrovo il mio stato di grazia e di bellezza. I suoi percorsi mi conducono a quella melanconia che oscilla fra esultanza e disperazione. Rivivo i luoghi solitari della riflessione e del sogno e come se niente fosse - come se ci fosse sempre stata - prende corpo la residenza della melanconia che nella mia esistenza rappresenta il contraccolpo della creatività. Infatti, mentre il mio corpo senza difese si inchina alla terra per sentirne il respiro, la terra restituisce il dono. Ricambia. Ricambia con la sua essenziale qualità.
In questo stato mutevole - tra esultanza e disperazione - sotto i miei passi, i tappeti d'autunno giocano con il vento e cantano.