Con Le chiavi di casa di Gianni Amelio, i partecipanti al cineforum avente per tema “La psiche infantile e adolescenziale”, hanno incontrato il tema del delicato rapporto tra padre e figlio, in particolare quando il figlio è portatore di una disabilità. Amelio si è ispirato al romanzo autobiografico di Giuseppe Pontiggia, Nati due volte, dove lo scrittore, partendo dalla sua esperienza personale, racconta il dolore di avere un figlio spastico.
È un film doloroso, ma anche leggero proprio per la simpatia del protagonista, Andrea Rossi, un ragazzo tetraplegico che, da consumato attore, ha catturato l'interesse e la commozione degli spettatori per la sua gestualità spontanea, gli sguardi profondamente comunicativi e la mimica particolarmente espressiva. Il film tratta di un singolare percorso di conoscenza e familiarizzazione tra un padre e un figlio che si incontrano per la prima volta quando Paolo ha 15 anni e Gianni, il padre, lo deve accompagnare in Germania per una terapia riabilitativa; il viaggio in treno sembra metaforicamente rappresentare il loro percorso emotivo per conoscersi e diventare davvero padre e figlio.
La storia affettiva tra i due nasce da un rifiuto iniziale da parte di Gianni di vedere e riconoscere il figlio al momento della sua nascita, anzi lo rifugge perché non è in grado di tollerare il dolore mentale di cui Paolo sembra essere la personificazione. Tanti sono i motivi per questo rifiuto apparentemente così crudele: perché sente che il piccolo è la causa della morte della compagna nel partorirlo, perché si sente in colpa per aver causato tutto questo travaglio, perché è ancora immaturo per affrontare un compito così grande e, non da ultimo, la costante presenza del figlio, rifletterebbe in maniera implacabile le sua responsabilità.
Questo viaggio obbligato diventa una opportunità di frequentazione, di familiarizzazione e di autentica scoperta reciproca che susciterà un arcobaleno di emozioni impreviste: forti rabbie, smisurate dolcezze, paure angoscianti, gaiezze ed allegrie impreviste, tristezze e nostalgie sfibranti. È un film toccante, mette in moto inevitabilmente pensieri e affetti. Nel gruppo infatti ha suscitato emozioni, curiosità, domande, ma anche ha rievocato esperienze personali e ricordi. È stato un vissuto comune l'evidenza del cambiamento avvenuto nel rapporto tra i due protagonisti; Gianni e Paolo, dopo essersi annusati, studiati reciprocamente, da “sconosciuti” via via diventano meno estranei, permettono alla fiducia di affacciarsi, possono abbandonarsi, gioire reciprocamente dell'essere insieme, dell'essersi ritrovati: a situazioni colme di amarezza, si alternano momenti di estrema dolcezza.
Al termine della proiezione il gruppo si interroga sulla dinamica dell'incontro. Laura asserisce “all’inizio del viaggio non erano tranquilli tutti e due, c'era il timore di invadere lo spazio dell'altro, ma anche di essere delusi o rifiutati”. Mauro aggiunge: “Mi hanno colpito molto i momenti in cui il ragazzino scappa e mi chiedo il perché, sembra che il motivo sia per richiedere al padre una prova di attenzione e di contenimento: 'se veramente sono importante per te, ti devi arrabbiare se mi comporto male', anzi Paolo alza il tiro per essere limitato, non vuole essere trattato in maniera privilegiata, ma normalmente, proprio per non sentirsi diverso”.
Nel gruppo si riflette sull'importanza del limite, della norma ed è un bisogno che ha a che fare col sentirsi protetti, dà sicurezza sentire che c'è una persona più grande che aiuta a pensare e a far rispettare le regole. Laura sottolinea che è doppiamente faticoso conoscersi dopo tanti anni, perché genitori e figli si cresce insieme, ci si abitua reciprocamente fin dagli inizi, qui Gianni e Paolo hanno dovuto fare tutto dopo e in breve tempo.
Fausto aggiunge che padre e figlio si sono dovuti “svezzare” in fretta, ma Mauro osserva che l'aspettativa di conoscenza del figlio e del padre è maturata prima, perché sapevano entrambi che si sarebbero incontrati. Franco, a questo punto, racconta di un fatto reale successo a un ragazzo di sua conoscenza che gli è stato tanto rievocato da Paolo, dai suoi comportamenti impulsivi e spesso non controllati. Questo ragazzo aveva sempre mostrato di essere “diverso”, si notava dallo sguardo, dai movimenti flaccidi, da tanti segnali di stranezza, ma era sempre stato tranquillo e pacato nei comportamenti. È successo che una volta la nonna, persona a lui tanto cara e tanto vicina, aveva tentato di picchiare col mattarello il gatto che era saltato sulla pasta sfoglia che stava tirando e allora il ragazzo, quasi in preda a un raptus, aveva preso il mattarello e l’aveva colpita con una forza tale da ucciderla.
È un ricordo che lascia senza parole, attoniti, increduli di tanta violenza esplosa inaspettatamente e per una motivazione apparentemente futile. Il gruppo, davvero scosso da questa testimonianza, si interroga sulle ragioni di un atto così tremendo, le ipotesi sono diverse: dal trauma del vedere la nonna-fata trasformata dalla rabbia in nonna-strega, al cortocircuito mentale del dover affrontare una situazione emotiva improvvisa; dall'identificazione con la nonna punitrice, alla non tollerabilità di essere catapultato da una situazione rassicurante, per lui simile a un paradiso terrestre, in un inferno di uno scenario aggressivo e spaventoso. Si pone la questione della interazione tra il funzionamento psichico e corporeo, e se la lesione motoria può essere accompagnata anche da un malfunzionamento mentale.
Laura, ritornando al film, osserva che in Paolo ci sono momenti in cui il circuito mentale è saltato ed è quando impulsivamente agisce quello che vuole, senza poter pensare alle conseguenze che possono essere anche pericolose. Fausto spiega che un disabile vuol mostrare che sa fare ancora meglio di un normodotato, vuol fare di più, vuole “rendere” più degli altri per dimostrare di non essere da meno, ma solo chi ha vissuto l'esperienza della disabilità può capire fino in fondo la portata emotiva di questa necessità. A volte, infatti, certe impuntature hanno il sapore di sfida alla vita, è una sorta di smania per compensare il difetto di cui ci si sente portatori sottovalutando i rischi e anche i risvolti negativi che tali agiti possono comportare.
Silvia osserva che se Paolo consola il padre in un momento di sconforto, è vero che lo fanno tante volte i bambini di consolare i genitori, quando li vedono tristi e in difficoltà. Angelo fa al gruppo una domanda provocatoria: “lo scrittore è italiano, perché si rivolgono a una struttura per la terapia che risiede all'estero invece che stare in Italia?”. Per libera associazione si viene a parlare delle “case-famiglia” quali strutture di accoglienza per persone problematiche e Laura, che ha avuto un'esperienza in questo senso come volontaria, racconta di questa particolare attività. Angelo riferisce del servizio civile di suo figlio in una “casa-famiglia” per adolescenti difficili e Franco informa dell'esistenza di un villaggio sempre di “case-famiglia” al suo paese, allargando il discorso al problema della droga. La conversazione prende un taglio sociologico e si riflette quindi anche sul problema economico rispetto alla gestione delle strutture di aiuto.
E parlando di strutture, Silvia e Giovanna sottolineano la gravosità del pensiero dei genitori di figli disabili rispetto al futuro, al cosa succederà quando loro non ci saranno più. Il pensiero del gruppo va allora ai centri di assistenza: c'è chi ci crede, c'è chi, scettico, pensa che diventino un “refugium peccatorum” dove tutti approfittano per essere accolti e mantenuti. Ognuno dice la sua, ogni tanto qualcuno riporta il discorso al film, qualcun altro, per libera associazione, allarga la comunicazione ad altri temi. Il fluire del tempo è impalpabile, è proprio piacevole parlarsi così.
È previsto un buffet per la fine della serata, ma nessuno se la sente di chiudere il dibattito, sarebbe patito come una rottura dell’atmosfera emotiva profonda che si è instaurata nel gruppo. Si decide di gustare salatini e dolcetti da seduti, continuando la conversazione a ruota libera, il clima ricorda quello del parlarsi in famiglia attorno al tavolo quando si scambiano idee ed esperienze in un clima di confidenza e convivialità. Fuori piove, c'è un tempo da lupi, ma dentro c'è un bel caldino, l'atmosfera può ricordare quella del raccontare al tepore della stalla, sembra di dar vita, sempre per rimanere nell’ambito cinematografico, a quella bella scena de L’albero degli zoccoli di Olmi...