Il 21 agosto scorso ricorreva l’anniversario della scomparsa di Teddy Goldsmith, il fondatore dell’Ecologist, la prima rivista che dal 1970 si è occupata a tutto campo di problemi ambientali a livello internazionale e che riscosse un notevole successo proprio in un'epoca di grandi trasformazioni del territorio e dell’ambiente.
Nato a Parigi nel 1929, Goldsmith scrittore, ambientalista e filosofo perseguì durante tutta la sua esistenza un percorso di studio e di ricerca improntato su principi ben chiari e ispirati alla filosofia olistica. Uno tra tutti era quello secondo cui l’obiettivo primario del modello di comportamento di una società ecologica deve riuscire a preservare l’ordine cruciale del mondo naturale o del cosmo. Questo modello di comportamento, rintracciabile nelle diverse tradizioni e culture con terminologie diverse, si esprime in Cina con il termine Tao, cioè quel principio regolatore che governa in natura le azioni e fa sì che questo tutto sia armonioso e integrato. Uno dei testi di Goldsmith si incentra proprio sul Tao riferito all’ecologia. Questo espediente del pensiero olistico dell’autore mi ha stimolato su un interrogativo: cosa ne avrebbe pensato della nuova guerra aperta dagli humana alle specie che vagando da un continente all’altro sono perseguitate proprio da quelli che sono la prevalente causa della loro itineranza?
Stiamo parlando delle cosiddette “Specie Aliene” di cui si fa gran parlare ormai da qualche anno cioè da quando in tutta Europa vengono monitorate e create lunghe liste di specie vegetali (oltre che animali) esotiche molto temute poiché in grado di colonizzare interi areali a scapito delle specie locali. Nel 2014 l’Europa ha dovuto ricorrere a un regolamento, il n.1143/2014, che impone agli stati membri regole ben precise per “contenere“ ma anche per eradicare le specie che minacciano la perdita di biodiversità.
L’ultimo aggiornamento risale al 13 luglio scorso pubblicato dalla Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea. Il fenomeno naturale delle migrazioni di specie, evento imprescindibile fin dall’origine delle specie viventi sul pianeta, è oggi cresciuto esponenzialmente a causa di due elementi – secondo gli scienziati - il riscaldamento climatico e la globalizzazione. Il traffico libero e sempre più intenso di uomini, materiali e mezzi ha consentito alle piante di migrare e di avvalersi di strumenti diversi per diffondersi e riprodursi nel modo più ubiquitario possibile.
Un ultimo articolo pubblicato da Nature Communications rivela che da una ampia ricerca di 45 ricercatori mondiali, “i tassi di invasione rimangono elevatissimi in tutti i gruppi tassonomici e in tutte le regioni del mondo senza che si evidenzi in generale nessun effetto di saturazione”, commenta un ricercatore di Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale. L’aumento costante è avvenuto in questi ultimi 200 anni, di cui un terzo dagli anni ’70 ad oggi. Quindi ben 16.000 specie sono state individuate in areali diversi da quelli originari, cioè di provenienza.
Se da una parte spaventa la minaccia della perdita di biodiversità, dovuta alla estrema competitività di certe specie esotiche su specie locali, come i casi eclatanti degli Eucalipti introdotti in molte aree del mondo con scopi diversi, o della Robinia e dell’Ailanto, considerati le pesti vegetali che invadono i boschi e le aree verdi urbane in molta parte d’Europa, dall’altra gli studiosi osservano un aumento senza precedenti della ricchezza regionale di specie. Omogeneizzazione globale delle flore delle faune versus estinzione globale del bioma originario autoctono.
In questo dibattito tra teorici dei sistemi ecologici vegetali ancora in continua attività, poiché il sistema stesso muta e non è controllabile come si vorrebbe, bisogna spezzare una lancia verso le migliaia di specie nuove di cui possiamo godere in giardini pubblici, privati, nelle zone ruderali e nelle aree più impensabili della città con un vigore e un energia incredibile. Il riscaldamento climatico ha fatto sì che molte piante esotiche di luoghi più caldi, in particolare sub-tropicali o mediterranei aridi, oggi si siano adattate nelle città e nelle aree metropolitane, cambiando il volto di certi paesaggi. È interessante scoprire nuove specie che ancora sono nelle liste nere di qualche protocollo europeo e vedere la loro prorompente robustezza anche in spazi minimi dell’asfalto.
Osservando il paesaggio ho scattato diverse foto di piante straordinarie per il portamento, la capacità di sopravvivere in luoghi angusti, per arredare naturalmente spazi che sarebbero disadorni e solo dopo guardando attentamente la specie di appartenenza ho scoperto di aver immortalato qualche specie esotica, aliena, invadente. Pensiamo alle bellissime Bocche di leone africane o turche (Antirrhinum sp.) ormai naturalizzate, all’asiatica naturalizzata Abutilon theofrasti, malvacea dal fiore giallo infestanti del mais che oggi approda in città come alberi effimeri di 4 o 5 metri in estate resistendo alla siccità, alle Buddleje profumatissime che attirano le farfalle e gli insetti con i loro fiori malva, fuxia e viola intenso.
Non posso demonizzare le bellissime Canne comuni - nella lista delle 100 specie più invasive - che popolano le zone vicino alle zone umide o ai corsi d’acqua, Arundo donax, ondeggiando con i loro fiori argentati durante tutta l’estate, filtrando e depurando tra l’altro le acque in cui sono affondate le loro radici, e ancora gli Eupatorium, bellissime piante sub-tropicali ora naturalizzate e diffuse anche nei climi temperati. E perché non rivalutare anche gli spontanei e veramente vagabondi verbaschi (Verbascum sp.) erbacee alte anche un metro e mezzo, colonnari e fioriti tutta l’estate di giallo resistenti alle altissime temperature che non necessitano di irrigazione.
Probabilmente se fossimo rigorosi dovremmo attenerci alle regole e non diffondere quelle che campeggiano nella lista europea delle “100 of the World's Worst Invasive Alien Species”, ma a volte è difficile non peccare di fronte a tanta bellezza… !