Il primo fu Signac, un piccolo acquarello con le barche a vela nel porto de La Rochelle. Shojiro Ishibashi, imprenditore e 'padre' della Bridgestone, lo comprò in una galleria di Tokyo per appenderlo nella grande sala della sua villa di Kurume, città dedita ai commerci marittimi nella parte sud dell'arcipelago giapponese, dove era nato e viveva. Era il 1939 e un dipinto occidentale costituiva una rarità in una nazione uscita da poco dall'isolamento e la cui cultura artistica fino ad allora aveva avuto non solo stili, ma anche tecniche e soggetti diversi.
Poco dopo in casa Ishibashi arrivò L’inondation a Argenteuil, firmato da Claude Monet. E il produttore di pneumatici cominciò a sviluppare l'idea di un museo dell'arte occidentale, museo che contribuisse al risveglio culturale del Giappone, ancora legato a vecchie tradizioni di origine medievale. Per inserirsi a pieno titolo nell'epoca moderna non bastava la crescita economica del suo Paese: di questo Ishibashi era pienamente consapevole. Così mise le ali al progetto. Ed è una collezione piena di sorprese quella che Shojiro e i suoi discendenti hanno messo insieme in meno di cento anni: 2.500 opere, dal pre-impressionismo fino all'arte astratta, ma anche pezzi antichi provenienti dall'Egitto, dalla Grecia e dal mondo romano, oggi raccolti nel Bridgestone Museum of Art, nel centro di Tokyo.
In occasione della sua chiusura per lavori, il 'cuore' di questa raccolta si è spostato all'Orangerie di Parigi fino al 21 agosto; un ritorno di molti capolavori, ancorché temporaneo, nella città in cui sono nati. E anche un omaggio a quello scambio di suggestioni tra i due mondi, quello occidentale e quello del Sol Levante, che tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento aveva dato nuova linfa a entrambi. Non a caso per l'esposizione Tokyo-Paris sono stati scelti gli spazi dell'Orangerie, dove imperano le ninfee di Monet, figlie di quel 'japonisme' che aveva acceso una generazione di artisti francesi, i quali pur conoscevano quel lontano Paese solo attraverso le stampe.
D'altronde anche Ishibashi non era mai stato in Europa quando negli anni Quaranta e Cinquanta riesce a mettere insieme la prima parte della sua collezione. Pionieri si nasce e non importa aver viaggiato per dimostrarlo. E lui pioniere lo era già fin da giovanissimo, un coraggioso piccolo industriale che prese le redini dell' azienda tessile familiare lanciandosi in una innovazione che fu l'inizio della sua fortuna: la suola in gomma dei tabi, calzini tradizionali in cui il pollice è separato dalle altre dita dei piedi. Con lui i tabi diventeranno delle vere e proprie scarpe adottate da tutto il popolo giapponese. Un grande successo che gli permetterà anche di aprire gli occhi su nuove possibilità di utilizzo della gomma. L'automobile muoveva ancora i primi passi, ma Ishibashi ne capì la potenzialità e fece studiare ai suoi operai la possibilità di usare la gomma con cui produceva le calzature per realizzare i pneumatici. Nel giro di tre anni saranno pronti i 'Bridgestone', che tutti ormai conosciamo e che portano il suo stesso nome tradotto in inglese (ishi significa stone, cioè pietra, mentre bashi è il nome giapponese per bridge - ponte -). Ma le ambizioni di Shojiro andavano oltre l'economia. Il suo sogno, appunto, era quell'apertura che solo la cultura può dare, e la sua meta era quell'Occidente che anche lui, come la maggior parte dei suoi connazionali, non aveva mai visto.
La collezione comincia con gli artisti giapponesi che avevano introdotto la pittura a olio e dipingevano secondo lo stile occidentale. All'Orangerie troviamo esempi significativi di autori tra fine Ottocento e inizi Novecento, come Seiki Kuroda, Shigeru Aoki e Takeji Fujishima il quale, con il suo Ventaglio nero, non può fare a meno di ricordarci il Manet de La signora dei ventagli. Ma sono sempre di più gli impressionisti a 'stregare' Ishobashi. Consapevole di non avere le conoscenze per scegliere le opere, lui si rivolse allora a un gruppo di esperti che di volta in volta gli suggerirono alcuni autori e alcuni acquisti. Un sorprendente olio di Pissarro, Jardin potager au jardin Maubuisson, Pontoise, e un luminoso dipinto degli ultimi anni di Sisley, Saint-Mammes et les coteaux de la Celle, matin de juin, vennero così acquistati ad un'asta a Tokyo in cui era messa in vendita la collezione di Kojiro Matsukata, mentre Tete de femme di Picasso faceva parte della raccolta di Shigetaro Fukushima. Matsukata dirigeva un cantiere navale e aveva fatto fortuna nel corso della Prima guerra mondiale, al punto che durante i suoi molti viaggi era riuscito a mettere insieme una collezione numerosa ed eterogenea. Una crisi lo ridusse in difficoltà economiche costringendolo, durante gli anni Trenta e Quaranta, a vendere centinaia di opere. Fukushima era invece vissuto a Parigi e aveva acquistato secondo il suo gusto per poi rivendere una volta tornato in Giappone.
Shojiro Ishibashi certamente ha dimostrato di avere un temperamento coraggioso, ma ebbe anche un po' di fortuna. La fabbrica Bridgstone era a Korume, tra Hiroshima e Nagasaki, ma i bombardamenti non la sfiorarono e subito dopo la guerra poté riprendere l'attività. La nuova ricerca e l'acquisto di opere d'arte vennero di conseguenza. E ancora una volta l'audacia non mancò al 're' dei pneumatici. Al termine del conflitto mondiale, il Giappone era infatti un Paese ferito e l'arte occidentale non veniva vista di buon occhio. Ishibashi, però, non si perse d'animo e andò avanti sulla strada già segnata. Poi, nel 1950, ormai sessantenne, per la prima volta fece un viaggio a New York e visitò il Museum of Modern Art. Fu come accendere una miccia: due anni più tardi nel pieno centro di Tokyo, dove i suoi uffici erano stati distrutti da un bombardamento, nasce la Bridgstone gallery, un intero piano aperto al pubblico dove venne esposta per la prima volta una parte della collezione personale. Il figlio Kan'ichiro e il nipote Hiroshi, hanno seguito lo stesso percorso fino alla realizzazione del nuovo museo dalle linee futuriste che sarà inaugurato nel 2019.
È Jeune homme au piano di Gustave Caillebotte l'ultimo acquisto andato a far parte della raccolta, che a partire dagli anni 2000 si è arricchita anche di esemplari di pittura astratta, tra cui Isola di Paul Klee, Number 2, 1951 di Pollock e Le Dune di Mondrian. Sono comunque Matisse, Picasso, Renoir, Manet, Cezanne e Monet i punti di forza della collezione. La Montagne Sainte-Victoire et Chateau Noir ci riporta al Cezanne degli ultimi anni, mentre Manet a la calotte è uno dei soli due autoritratti di Manet, tanto più commovente, quanto più si pensa che il pittore si è dipinto in piedi, tre anni prima della sua morte, quando lo sappiamo già affetto da sifilide, malattia per la quale dovrà essergli amputato un piede. E chissà quale sarebbe la felicità di Van Gogh, se potesse sapere che uno dei suoi quadri (Moulins et jardins a Montmarte) è stato acquistato e portato proprio in Giappone. Lui che il Giappone, dopo averlo a lungo sognato nei negozi parigini pieni di stampe provenienti dal Sol Levante, era andato a cercarlo nel sud della Francia, sperando che potesse dargli un po' di pace. E poi c'è Rodin, che incontrò nel 1904 l'attrice Hanako, diventata una delle sue modelle favorite.
Oggi, anche grazie a Ishibashi, la popolarità dello scultore francese in Giappone è grande, così come quella di Monet che con le sue ninfee ha 'costruito' un vero e proprio ponte tra le due culture. Altro secolo, altra pagina: le differenze nella vita, come nell'arte, oggi sono meno appariscenti. I due mondi si osservano più da vicino. La Fondazione Bridgestone è pronta a proseguire il suo viaggio. Un catalogo pubblicato da Hazan accompagna la mostra Tokyo-Paris. Capolavori del Bridgestone Museum of Art in corso all'Orangerie.