Mi disse che era finita… pausa, famosissima, di riflessione… Si era calmato il vento, quel vento che trasportava i profumi, i miei occhi fermi su quel vento fermo, dietro tutto il mondo senza rumore, non sapevo da che parte cominciare per ricordare… avrei inventato qualsiasi storia per dimenticare quel momento, per distrarmi dalla sensazione di vuoto… e cominciai dall’inizio, come ogni storia che si rispetti, dai suoi occhi chiari su di me. Si era alzato piano e mi guardava - Papà ho sete - mugolai nel sonno, presi il bicchiere pieno, caldo della sua mano, l’acqua scendeva leggera, una benedizione, tornò a letto con il passo confuso della notte, ascoltavo il rumore che faceva mentre mi accoccolavo sotto le coperte con il piacere della bocca fresca. Spesso la notte lo chiamavo, a bassa voce una o due volte e lui subito era con me, mi amava, sentivo tutta la profondità e dedizione del suo amore, non volevo nient’altro che quello.
Il profumo mi portava da lui inevitabilmente, per la freschezza e la naturale sensazione di piacere. Il piacere era stata fin dall’infanzia una divinità proibita.
L’amore ti stringe a sé e non si stacca , vorresti per sempre. Mi manca quando non c’è, l’inverno fa sparire le foglie e il profumo. E ricordare è nella mente… L’amore con lui non aveva regole ne confini solo il sapore della bellezza, era abbandono, uno dentro l’altro nei sogni, la paura di lasciarsi andare e non tornare più a riguardarlo da lontano. Le parole sono dimenticate ora e non è più accanto sopra di lato, non lo tocco, sono sola.
Non era finita, continuava come continua la notte. Fu in una notte qualsiasi di un novembre umido e caldo che andai a trovare la mia amica in una stanza arredata male, piano terra di un palazzo vecchio senza antichità, lei dormiva con il trucco in faccia, guance rosa di fard, vestita con le cose migliori, quelle che le piacevano di più, a parte le calze, bianche, lei non si sarebbe mai messa calze bianche così spesse se non avesse avuto da coprire qualcosa… guardo sempre i piedi nei morti, non so perché, li fotografo nel dettaglio, come sono messi. La morte non ha sapore né odore, sono i fiori intorno a puzzare e la carne che si scioglie ma la morte no, la morte ha con sé l’inesistenza è priva di profumo e non sa di rose come dice qualcuno.
Il respiro sembrava ci fosse e le palpebre chiuse da un momento all’altro avrebbero potuto aprirsi e guardarmi, la cosa in sé fa paura ma non riuscivo a capire perché la mia amica non apriva gli occhi e mi guardava dal momento che ero appena arrivata, in qualsiasi altra circostanza l’avrebbe fatto. Allora uno si concentra sui particolari del viso, il naso perfetto, rivedo mille momenti diversi e la bocca… d’improvviso via tutto come se non fosse mai esistita, mai nata.
La stanza intorno mi ricorda chi siamo e dove siamo e che giorno è, la differenza tra me e la mia amica è che io sono viva, lei no. Mi concentro sull’arredamento, orrendo, e cerco il profumo… Le piante di basilico sul terrazzo sono seccate, è inverno. Vorrei andare a cercarlo in un paese lontano… ma rimango, stretta alla mia terra come a una madre antica che non voglio lasciare, a un respiro che mi parla d’amore, ai vestiti belli, alla casa fatta di scale e desideri, attaccata alla paura.
Quando sono nata era primavera, caldo, venerdì, e dalla finestra aperta si affacciava una madre a guardare le teste dei pini, ad odorare resina e salmastro; conosco gli odori del mare, e quello di basilico mi ricorda la casa, la tavola apparecchiata, i ritorni. In mezzo all’odore di basilico qualcuno ritorna… Ogni giorno l’aspettavo come un grande amore, quando l’acqua bolliva sul fuoco e c’era rumore di forchette, i sassi dell’orto caldi di sole e gli angoli vuoti di gente e le strade zitte; io lo cercavo con gli occhi, aspettavo la gioia che avrei provato… e quando arrivava guardavo il nonno che era mio, lì per me come una madre. La mia amica era questo, lì per me come una madre e ora non mi bastava pensarla…
La solitudine arriva come il profumo, improvvisa e avvolgente e totale, senza vie d’uscita. Ero sola nella vita nel senso di figlia unica, sola senza quella sensazione che provano fratelli e sorelle a condividere letto, bagno e minestra con i coetanei, e mi pensavo sola ancora di più ogni volta che perdevo qualcuno: morti, partenze, litigi, si perde sempre qualcuno e quando accade sembra di fare più fatica a percorrere la stessa strada… ma è solo un’impressione, insieme un senso di leggera ebrezza, una impercettibile sfida con le novità… e tu dove sei amore mio se non perduto nel vento, basilico fresco dalle foglie piccole, le cime impettite e i continui ritornelli… Ho voglia di bruciare tutti i rami secchi nel fuoco del camino, lasciare solo la terra inaridita dal freddo ad aspettare la primavera.
Era il 14 settembre di un anno di fine secolo, tornavo a casa da un viaggio ormai finito: il mio primo matrimonio, lento in autostrada un ritorno che era inizio, vuoto come tutte le cose che cominciano, il pensiero curioso e maledetto mentre la macchina andava. Sapevo di aver scelto e questo mi dava un senso di libertà e sicurezza. Davanti a me avevo giorni sconosciuti, imprevedibili… le foglie nascono piccole e spuntano dove non te lo aspetti e appena nate sembrano già avere dentro tutto il loro profumo, quello che esplode senza rumore quando piano diventano grandi. La scelta giusta la riconosci dal profumo, dall’odore che ha dentro e quella di interrompere la strada insieme perché non era più la mia era la cosa giusta da fare.
Continua il 23 Agosto.
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