Dopo una lunga attesa, durata quarant’anni, anche la Floricoltura italiana ha trovato casa. Oggi nel Parco di Villa Ormond a Sanremo, nella Palazzina Winter, è possibile visitare il Museo del Fiore che parla di un lungo capitolo della storia della floricoltura ma soprattutto dei personaggi che tanto strenuamente hanno contribuito a crearla. Una storia accidentata che condensa in sé l’incrocio di cultura botanica, agronomia, miglioramento genetico, tecniche di riproduzione ma soprattutto è il racconto di una stagione felice di quel ponente ligure noto in tutto il mondo con il nome di “Riviera dei Fiori”.

La casa del fiore o Museo della Floricoltura doveva nascere molti anni fa, diceva sempre Libereso Guglielmi purtroppo scomparso lo scorso settembre, libero pensatore anarchico ligure, che tra la Sicilia, la Liguria e l’Inghilterra, ha fatto conoscere a molte generazioni di bambini la storia delle piante, dei loro viaggi dai paesi lontani, le loro qualità e funzioni indispensabili per la nostra alimentazione e la vita. Perché lui, l’alter ego di Italo Calvino, molto più noto in quanto scrittore e intellettuale del ‘900, aveva vissuto al suo fianco nella Villa Meridiana a Sanremo con i più grandi ibridatori, botanici e scienziati che fondarono la prima Stazione Sperimentale di Floricoltura il 25 Gennaio 1925.

Con Regio Decreto infatti nasce in Italia il primo Ente che si occupa esclusivamente di floricoltura e prende il nome di Stazione Sperimentale per la Floricoltura Orazio Raimondo, dal nome di un emerito cittadino di Sanremo, che aveva lasciato la sua proprietà al futuro ente che si sarebbe occupato dello sviluppo della floricoltura. Quel lascito comprendeva anche 5.000 metri quadrati di terreno a cui si sarebbero aggiunti molti appezzamenti sempre più necessari per le nuove ricerche e sperimentazioni che videro, a partire dagli anni Venti del ‘900 in poi, l’esplosione di un mercato del fiore reciso celebre in tutto il mondo. Purtroppo la nota Villa Meridiana, sede della Stazione e di proprietà dei coniugi Mario Calvino e Eva Mameli, scienziati naturalisti e genitori di Italo, che furono investiti nel ’25 dal governo italiano di portare avanti il progetto nazionale, fu messa in vendita alla loro dipartita rispettivamente nel 1951 e nel 1978. Il Comune di Sanremo all’epoca non poté acquistarla e al suo posto oggi rimane un condominio che ancora riporta i lacerti di un trascorso di gloria della floricoltura e un luogo letterario: “La casa delle due culture”.

Fu così che nel 1953 la Stazione di Floricoltura si dota anche di una sede, con la donazione da parte dell’Amministrazione Aiuti Internazionali, della “Villa Bel Respiro” di Sanremo con il giardino adiacente. Nel 1967 viene istituito il nuovo Istituto Sperimentale per la Floricoltura, organo di ricerca del Ministero per le Politiche Agricole, con sede a Sanremo e diviso in quattro Sezioni disciplinari centrali più due Sezioni periferiche: una a Pescia e una a Palermo. Ma l’idea più concreta del Museo del Fiore in ricordo della lunga stagione forse risale al 2004 con la direzione l’agronomo Tito Schiva, per molti anni direttore della Sezione Miglioramento Genetico, che insieme ad Alberto Bianchieri, oggi sindaco di Sanremo, pensarono di spiegare ai cittadini, ma soprattutto ai turisti, perché Sanremo è conosciuta nel mondo come città dei Fiori. "Ci sono migliaia di reperti - ha affermato lo scorso 7 aprile durante l’inaugurazione il responsabile dei Giardini del Comune di Sanremo, Claudio Littardi, anche presidente del Centro studi e ricerche delle palme -. Abbiamo oltre cento foto legate alla vecchia vita nei campi, con immagini di scena quotidiana; e poi dalle pompe a spalle, agli utensili impiegati in campagna; passando agli attrezzi per ibridare, ma soprattutto i primi brevetti originali della famiglia Ester ed Ermanno Moro, riguardanti le prime varietà di fiori".

Perché il Museo offre un percorso articolato in una grande area verde a pochi passi dal mare ricordando una storia antica che parte con la nascita del primo Mercato del fiore in Liguria. Infatti il 14 agosto del 1894 a Ventimiglia con un'istanza di sessanta floricoltori si chiedeva l’istituzione del Mercato dei Fiori che di lì a poco sarebbe nato nella Piazza di Sant’Agostino, vent’anni dopo sarebbe stato istituito a Sanremo. Si passava così dall’era della coltivazione e cura dei giardini privati dei grandi proprietari di villa della Liguria, in prevalenza anglosassoni, alla produzione industriale, come osservava l’agronomo ligure Mario Calvino nel 1905 nella rivista Agricoltura ligure, lamentando dei giardinieri l’indolenza nel cercare e creare nuove varietà di rose coltivate, da destinare al mercato estero come fiore reciso. Nell’articolo sull’ibridazione delle rose rileva: “Noi abbiamo sempre sostenuto che è più logico ricorrere all’ibridazione sul posto, alla preparazione del seme nel nostro clima, nelle nostre colture. […] È per questo che noi incitiamo i giardinieri, i floricoltori del litorale a non trascurare questa branca interessantissima della floricoltura ed a studiar i mezzi migliori per fare semi ed ibridare con savi criteri le varietà da dove si voglion trarre altre varietà migliori”.

Sarebbe nata così la nuova stagione della produzione della rosa italiana che dagli anni ’20 agli anni ’70 avrebbe condizionato il mercato internazionale di questo fiore. Nel nuovo Museo del Fiore - Floriseum di Villa Ormond di Sanremo troviamo anche una sezione dedicata alla Rosa italiana, che insieme al garofano, all’iris, alla fresia, al gladiolo e altre centinaia di specie, costituisce un pezzo di storia della botanica italiana, anche recentemente e ampiamente descritta in un testo di Andrew Ornung, un linguista e letterato inglese che ha coltivato la passione e lo studio della rosa italiana tanto da scriverne il primo volume uscito in Italia su questo tema (Le rose italiane, Pendragon, 2015). Finalmente tornano alla ribalta i protagonisti di questa immane produzione di rose grazie all’opera di Mario Calvino, Eva Mameli, Luciano Moro, Domenico Aicardi, Quinto e Ada Mansuino.

Tutto questo viene recentemente riproposto e ristudiato in numerose iniziative sull’ibridazione della rosa in Italia a partire da una recente giornata di studi tenutasi proprio a Villa Ormond nel Museo del Fiore del MEMO’S Multimedia Exhibition Marguerite Ormond Sanremo e che il 27 Maggio scorso ha visto oltre a un'esposizione nutrita di rose italiane anche diversi interventi di rodologi, studiosi della materia e la presentazione di un nuovo testo della collana La vie en roses. Uno tra tutti l’intervento di Andrea Mansuino erede della nota famiglia di ibridatori, famosi per l’introduzione e diffusione a Sanremo e in Italia della Rosa banksiae, sulle vecchie e nuove varietà di rose e sul breeding dalla Riviera nel mondo. Una lunga stagione, quella della ibridazione e della riproduzione della rosa che ha visto anche grandi difficoltà a partire dai primi anni proprio a Sanremo, nonostante il grande impulso dato proprio dalla tradizione di giardinieri esperti, ibridatori d’eccezione come quelli citati ma soprattutto dal clima internazionale che si respirava in Liguria.

Già a partire dalla prima metà dell’Ottocento proprio nella riviera di Ponente vivevano il francese Louis Isnart, capo giardiniere a Ospedaletti, Clarens Bicknell, botanofilo inglese a Bordighera, Beatrice Duval, protezionista e pittrice svizzera, Ludwig Winter, architetto del paesaggio e capo giardiniere dei fratelli Hambury tra Ottocento e Novecento, proprietari del giardino omonimo esotico a Ventimiglia. Non va dimenticata l’ostinazione con cui il gruppo di illuminati studiosi e botanici ibridatori italiani, dopo il primo conflitto mondiale, portò avanti il progetto di ricerca per supportare quei piccoli coltivatori e floricoltori della riviera, che furono in grado di trasformare le loro modeste attività in nuove e moderne imprese, con colture protette per la moltiplicazione del fiore reciso e piante da interni. Non si può non citare l’opera immane di Eva Mameli Calvino di cui ho già parlato diffusamente in un precedente articolo, poiché è proprio lei che porta avanti insieme al Marito Mario Calvino e ai già nominati Aicardi e Mansuino nonché Stefano Bensa, agrotecnico, un progetto assiduo che durerà fino agli anni ’50 per ottenere centinaia di nuove varietà, ibridi di Te in particolare, da cui poi venivano selezionate le più promettenti da immettere nel mercato commerciale.

Proprio la scienziata Eva Mameli scrive in più articoli e relazioni tecniche della stazione sperimentale che il programma di miglioramento genetico e di ibridazione deve mettere in primo luogo la selezione a partire da coltivazioni provenienti da semi selezionati e non, per caratteri ben precisi: rifiorenza, resistenza alle malattie (mal bianco in particolare), scarsa spinosità, resistenza al freddo e alla siccità, elevato numero di petali, robustezza del peduncolo fiorale, solo per citare i principali caratteri. In un articolo del 1929 l’autrice parla di ben 47 rose promettenti. Di queste poi si menziona come veramente utile la varietà “Riviera” rossa brillante all’esterno e rosa carico all’interno. Il colore rosso sarà un carattere ampiamente perseguito, proprio perché molte espressamente dedicate al fiore reciso, parallelamente ad altre linee di ricerca che cominciarono a indirizzare la produzione di rose da cespuglio, rampicanti e con fiore piccolo e a mazzetti.

Dopo la crisi economica del ’29 e degli anni successivi la stazione sperimentale vide una buona ripresa su questo filone con i riconoscimenti nei primi Concorsi nazionali e internazionali sulla Rosa, come quello di Roma istituito nel 1933 nel roseto di Colle Oppio. Tante le rose della Riviera premiate: nel 1932 Camelia (Nuntius Pacelli x Sachsengruss), Ventimiglia H.T. nel 1935, Maddalena (Julien Potin x J.C. Thornton) in ricordo della madre di Eva Mameli premiata nel 1938, Imperia (Empire Queen x Dame Edith Helen) e Clotaria (Gruss an Coburg x J.C. Thornton), che venne premiata all'Esposizione biennale di Sanremo nel 1953; e ancora Liguria H.T., Radiosa (M.me Pierre S. du Pont x J.C. Thornton), Catalina (Pres. H. Hoover x Kath Petchold) premiata nel ’51 e molte altre. Molta fortuna l’avrà la rosa Radar Souvenir de Denier Van Der GON x Brasier ottenuta alla Stazione nel 1947 che poi diventerà Radar italiana. Lo stesso autore del volume de Le rose italiane afferma che dopo il congedo della stazione Sperimentale alla fine degli anni ’50 di Eva Mameli Calvino non si hanno più notizie nelle relazioni tecniche di nuove varietà ottenute. E purtroppo solo pochissime ancora oggi sono sopravvissute nelle collezioni e nei roseti pubblici e privati uno tra tutti il Roseto Botanico “Carla Fineschi” a Cavriglia vicino ad Arezzo. Un invito quindi alla visita del Museo del Fiore a Sanremo per ritrovare la vie en rose…