Perché le piante profumano? Questa domanda se la posero nell’antichità gli uomini quando poterono godere dell’effluvio odoroso delle più diverse essenze sprigionate da fiori, erbe, legni, cortecce e resine. Grazie all’olfatto, che ci consente di percepire e distinguere odori gradevoli da quelli sgradevoli, senso più o meno sviluppato nell’uomo e, secondo alcuni studiosi, estremamente potente nei nostri progenitori, potevamo sopravvivere o meno distinguendo piante nocive o mortali da altre commestibili. Però le piante emanano questi odori non tanto per preservarci da morte sicura quanto – così sostengono gli evoluzionisti – ad assicurarsi la loro sopravvivenza.
Nel libro del giornalista americano Roy Lewis Il più grande uomo scimmia del pleistocene, best seller degli anni ’60 di fantascienza a ritroso, il protagonista racconta: “Studiavamo anche la botanica applicata. Certi frutti, certe radici, certi funghi si potevano mangiare; altri no. Per tutta l’età della pietra, ignoti pionieri diedero la vita per imparare a distinguerli con precisione. L’istinto si era ormai troppo atrofizzato per metterci sull’avviso. Dovevamo imparare la differenza, vitale, tra la radice di cassava che nutre e quella che uccide; dovevamo imparare quale fosse il frutto proibito, e star lontani dall’albero vietato, l’Acocanthera abyssinica, la cui stessa linfa è mortale”.
Le piante infatti sembra abbiano sviluppato capacità di produrre odori – composti volatili percepibili da altre piante, animali e uomini – per attirare a sé o per allontanare. Le sostanze attrattive per alcuni insetti fungono da richiamo per consentire l’impollinazione quindi la riproduzione e la perpetuazione della specie vegetali, quelle deterrenti per allontanare invece quelli nocivi, predatori animali come gli erbivori, in certi casi gli essudati radicali, sostanze liquide chiamati biocidi possono tenere lontane altre piante o predatori sotterranei.
Ma partiamo dalla chimica degli odori e dei profumi. Fino a Linneo che nel XVIII pubblica Systema Naturae niente di preciso si sa sulla natura delle essenze estratte dalle piante per quanto erano già utilizzate da millenni soprattutto nella cura, dalla Cina, all’India, al bacino del Mediterraneo. Solo a partire dall’Ottocento si arrivò a distinguere la natura chimica, fisica e istologica delle sostanze aromatiche. Una pubblicazione del 1893 della Vallardi Essenze, profumi e profumerie di L. Gambari si sofferma sulle proprietà chimiche e fisiche delle essenze e le loro proprietà nonché sugli usi. I composti chimici che producono odori sono detti aromatici e sono idrocarburi, alcoli o aldeidi e possono essere esterificati in acidi organici diversi. Ad esempio: acido benzoico (essenza di mandorle amare), acido cuminico (essenza di cumino) acido valerianico (dalla valeriana). Molte sono sostanze volatili come il citrene (C10-H10) nella corteccia d’arancio, nei fiori (Nroli), nel limone e nel cedro, bergamotto , nel cumino, nel sambuco e nella noce moscata, il pinene (C10-H16) (da cui la trementina), nell’assenzio, timo, anice, salvia e prezzemolo, laurene nel lauro nobile e nella menta piperita, il canfene nel mirto comune, nel rosmarino, il sesquiterpene (C15-H24) nei garofani e nel legno di rosa e nel Convolvolus scoparius, nel patchouli (Pagastemon pachuli).
Prima ancora che l’uomo potesse indagare sui principi chimici che stanno alla base degli odori, il senso dell’olfatto lo fece interrogare sul perché dei meccanismi che regolavano il funzionamento dell’odorato. Della prima speculazione vera e propria assimilabile a una ricerca scientifica se ne ha notizia tra il VI e V secolo a.C. con i presocratici che danno risposte diverse interrogandosi sull’olfatto e gli odori. Secondo l’ autore, docente di Storia Greca, Giuseppe Squillace, il primo che si soffermò sulla capacità umana di percepire odori fu Eraclito di Efeso vissuto proprio a quell’epoca. Aristotele riportando da Sul senso una sua frase scrisse: “se tutte le cose diventassero fumo, sarebbero i nasi a discernerle”. Ma grande aiuto ci fornisce sempre Squillace avendo tradotto e pubblicato per la prima volta un trattato sugli odori del primo botanico greco della storia della scienza Teofrasto di Ereso nell’Isola di Lesbo, allievo di Aristotele,, vissuto tra il 372 e il 322 a.C tra Atene –allievo di Palatone – Mitilene e Lesbo. Sugli odori è stato uno dei suoi lavori minori per alcuni autori – scrisse circa 200 opere – rispetto a Le cause delle piante e Storia delle piante, di cui forse faceva parte. Egli ne distingue sette tipi ponendo a confronto sapori, colori e odori. Indaga sulle componenti aromatiche (osmai) e la lavorazione per creare una fragranza. Studia molto le piante soprattutto a seguito delle spedizioni di Alessandro Magno in Asia che avevano portato anche molte spezie (cinnamomo e incenso). Dall’Arabia e dall’India raccoglie informazioni sulle resine fragranti, l’impiego di incenso e mirra, cinnamomo e cassia, del balsamo della Mecca e delle aromatiche dell’Oriente, sull’estrazione a caldo a freddo in olio delle essenze, la combinazione delle sostanze aromatiche e sulla conservazione.
Nel capitolo VI Teofrasto parla degli aromi (sostanze odorose) delle piante e dove si rintracciano naturalmente: corteccia, fiori, foglie, frutti, rami, radici, resina, semi. L’uso dell’olio è tale perché è in grado di preservare le fragranze molto a lungo perché è denso e viscoso. Il più grasso è l’olio di mandorla (amygdalinon) e ancora di più lo è il sesaminon (di sesamo) e di oliva. Ad esempio l’essenza di rosa (Rhodinon) quella iris (Iris germanica), la mirra (Commiphora myrra), l’incenso (Boswellia sacra) – di queste due piante si utilizzava la resina fatta sgorgare dalla corteccia dell’albero attraverso apposite incisioni. L’uomo attraverso la techne ricava profumi, una combinazione di sostanze aromatiche di vari tipi:
1. Osmai sostanze odorose in generale
2. Aromata essenze
3. Diapasmata polveri profumate – ottenute da polvere di spezie per asciugare il sudore
4. Myra sostanze profumate liquide
5. Chrismata oli profumati – per ungere il corpo.
Questo vocabolario tecnico poi si è ridotto al termine generico profumo, perfume (inglese, spagnolo, danese e portoghese), parfum (francese), parfűm (tedesco), parfumeren (olandese), parfymera (svedese), tratto dal latino per fumum o pro fumo con la quale i Romani indicavano le offerte che tramite il fumo salivano dall’altare alle divinità (Squillace G., 2014).
Teofrasto individua 23 sostanze odorose, la parte impiegata della pianta, le caratteristiche e proprietà, dall’Alloro (foglie e bacche) al Cardamomo (semi), alla Cassia (corteccia), al Cinnamomo (corteccia), Croco (fiori), Giglio (fiori), Giunco (legno), Incenso (resina), Iris (radice), Meliloto (fiori), Mela cotogna (frutti), Mirra (resina), Mirto (bacche), Palma (legno, rami), Rosa (fiori). Oltre che nell’Iliade e nell’Odissea dove sono citati balsami curativi, cosmetici e oli profumati da toeletta, per le celebrazioni divinatorie, cerimonie funebri e nei conviti, grande apporto lo abbiamo dai lirici greci del VII e VI secolo delle città dell’Asia Minore e delle Isole dell’Egeo.
Sacro e profano sono al centro della poesia greca con riferimenti a piante sia come decori (corone, abbellimenti per le giovani, per le cerimonie) e come fonti di profumi soavi che alimentano sentimenti come l’amore, l’amicizia e poi la seduzione e l’ospitalità. In Saffo poetessa di Lesbo, vissuta tra VII e VI secolo (630- 570 a.C) a Mitilene si trovano i riferimenti più numerosi dai meli, dove "odorano d’incenso (libanotos) le are fumanti […] intorno intorno ombran le rose tutto il luogo; dalle stormenti fronde piove sopore. E il prato dove pascono i cavalli è fiorito dei fior di primavera; odore soave esalano gli aneti e i meliloti". (Inno ad Afrodite).
Oggi molte sono le ricerche nel campo del profumo e soprattutto su come le piante hanno sviluppato loro stesse un senso dell’olfatto… ma ne parleremo il prossimo mese.