Lucio Fontana (1899-1968) con i suoi “tagli” alle tele ha definitivamente liberato l’arte dal ristretto perimetro del quadro, aprendo le finestre verso il cielo e l’infinito. Quella dell’artista di Rosario è stata una esplicita azione che, accelerando la ricerca di nuove forme espressive e l’uso di materiali poveri, ha orientato il lavoro di intere generazioni: dai cartoni riciclati di Robert Rauschenberg (1925-2008) al carbone e ferro del greco Jannis Kounellis (1936-2017), dal legno assemblato della scultrice ucraina naturalizzata statunitense Louise Nevelson (1899-1988) ai sacchi di juta bruciati di Alberto Burri (1915-1995), fino al cemento di Giuseppe Uncini (1929-2008), pioniere (si veda Primocementoarmato del 1958) di una pratica scultorea drasticamente innovativa che apriva la strada alle ricerche dell’Arte Povera e del Minimalismo americano. Il maestro di Fabriano amava scrivere: “chi fa arte deve riflettere a fondo sui materiali che usa, per poter esprimere un significato reale”. Continuatore della ricerca di quest’ultimo, sulla scena artistica italiana si è prepotentemente affacciato Francesco Petrone, capace di utilizzare un materiale industriale solitamente relegato all’edilizia, quale il cemento armato, con sorprendente forza plastica ed espressiva.
Francesco Petrone nasce a Foggia nel 1978, ma da diversi anni vive e lavora a Roma. Si laurea con lode presso l’Accademia di Belle Arti della sua città natale, per molto tempo lavora come scenografo per il teatro e per il cinema, ed è docente di Discipline Pittoriche. Scultore e pittore, lavora con ironia e sarcasmo sul rapporto tra società e cultura pop, costruendo un immaginario fatto di controsensi, provocazioni, citazioni e giochi di senso. Una ricerca artistica che lo porta a lavorare con materiali industriali: gesso, ferro, resine, ma soprattutto cemento, in contrasto con la natura quasi ludica delle installazioni scultoree. Materiali con i quali “racconta” una visione della cultura occidentale, attraverso la vita stereotipata e ossessivo-compulsiva degli umani, anche attraverso simbolismi e metafore.
L’utilizzo del cemento amato raccoglie e raccorda l’atteggiamento critico di Petrone e la sua capacità creativa, con la realizzazione di un universo costituito di materiali ibridati in maniera inedita e dagli esiti plastici significati e sorprendenti. Una sorta di “ossimoro”, come riferisce lo stesso Artista, “tra un’invenzione umana nata con l’intento di fornire soluzioni funzionali ed economiche per un bisogno primario dell’uomo, quello di avere una casa, e la natura malvagia di un materiale divenuto 'colonna vertebrale' della vita stessa dell’uomo: motore sconosciuto, inconsapevole e misterioso che muove troppe azioni dell’essere umano”.
Il riferimento naturalmente è alla cementificazione selvaggia del territorio, e al richiamo di una responsabilità politica e collettiva, che si è fatta voce flebile e al processo lento di ricambio di una realtà simbolica e fisica ancora terribilmente ingombrante e compromessa. “Cemento” è anche il racconto di una Nazione, quella italiana, e una società contemporanea che cambia stancamente, che trasforma la propria fisionomia, mutandola in rigidi blocchi di cemento, asettico e omologato. Dal boom economico degli anni Sessanta del secolo scorso il cemento in Italia viene utilizzato per distruggere con squallide e insignificanti costruzioni campagne, spiagge, isole, siti archeologici, devastando la bellezza di un paesaggio unico al mondo.
Per Francesco tuttavia il cemento, materiale senza anima, diventa però fonte di ispirazione e mezzo espressivo, atto a trasformare in poesia un materiale simbolo stesso degli speculatori e dei palazzinari. La predilezione per questo materiale e per quelli non nobili lo spinge a sperimentare complesse procedure architettoniche che sembrano quasi scippate ai sistemi edili. Ne nasce la sua impronta stilistica, e i suoi cementi armati ne diventano il filo conduttore, rivelando rivoluzionari aspetti tecnici nel trattare la scultura, la levigatura finale e il colore. Il senso plastico gradualmente prende il sopravvento, dando una virata quasi paesaggistica e ambientale alla concezione dell’opera. La massiccia presenza dialoga e si confronta con la propria ombra, anch’essa costruita e resa volume.
Tali ricerche sono confluite recentemente in una serie di esposizioni e progetti installativi, come quelli realizzati per il MAAM, lo Spazio Y, il Museo Crocetti di Roma (Vitali Sensi), il Museo Omero di Ancona (Visioni Animali), la Galleria di Arte Moderna di Perugia (ART SIDERS). Particolarmente importante la personale curata da Mariangela Capozzi per il progetto artistico Cemento Amato, allestita dall’11 dicembre 2015 al 9 gennaio 2016, alla Galleria Curva Pura al quartiere Ostiense della Capitale.
Tra i progetti vanno segnalati quelli molto significativi dedicati agli Insetti e l’ultimo denominato Amen. Il primo rappresenta fisicamente insetti (si veda Mosche che fan paindant), con l’Artista che ha lavorato con mosche, vive e morte, blatte, chiocciole (lumache) e formiche, dove l’essere umano è rappresentato metaforicamente come un insetto dai comportamenti massificati e omologati, perso nella vanità e nell’autocelebrazione personale rappresentata dall’uso di colori sgargianti formulati alle opere. Il secondo progetto, dal titolo Amen, è insieme un racconto e un ossimoro. La fede e la morale, il vero stabile e conservatore. La retorica e la speranza calcificata. Il contrasto e il continuo conflitto tra gli opposti. L'essere e l'avere. L'esserci e vivere nel continuo combattimento. La parola Amen, utilizzata tanto nell'Islam, come chiosa della prima sura del Corano, che nella liturgia cristiana, come risposta dell'assemblea alla fine delle preghiere liturgiche,diventa un punto di incontro tra due opposti, che hanno origini comuni. Una strada in continua oscillazione tra vicino e lontano. L'avverbio ebraico ámén significa soprattutto "certamente", "in verità" o meglio "così sia". Tra le opere di questo ciclo: Peccato Originale, Souvenir da una croce, Amen, Zero e Le tre età dell’uomo.
Francesco Petrone esterna un’arte mai omologata, percorsa dall’idiosincrasia verso le voci italiane ma anche del tutto indipendente dalle influenze internazionali, instillata da una prima esperienza nel Movimento Informale che ha stimolato l’euforia per innesti di cemento, ma anche di gesso, sabbie, terre, piombo, stagno, rame (si veda l’opera È tutto rame quel che luccica). Il cemento, materiale di uso industriale, votato all’indifferenza estetica e in radicale rottura con la tradizione manuale scultorea, diviene nelle opere di Petrone supporto iconologico per raccontare gli sviluppi e le contraddizioni della società contemporanea. Analizzando la situazione economica e sociale del nostro paese, l’Artista sperimenta, attraverso l’utilizzo del cemento, un vocabolario plastico che contiene in sé una forza espressiva prominente e uno spessore teorico suggestivo.
Sul piano sociale, cadute le ideologie e i valori che un tempo organizzavano e tratteggiavano la società secondo gruppi e ceti, la società si è inesorabilmente smembrata, divisa, frantumata. Le sculture di Petrone vogliono invertire la descritta rotta, ritenendo come prima del cemento, delle pietre, dei denari, dei palazzinari, vengano le “pietre vive” costituite dal cuore delle persone che, se opportunamente stimolate, possono portare un loro tangibile personale contributo alla società. Un’idea che nasce da lontano e che affonda le radici nel citato progetto The Italian Bugs, con il quale il Maestro pugliese ha recuperato, nel lontano immaginario di una generazione dall’infanzia florida ma corrotta dagli sprechi economici, gli elementi per la costruzione di una metafora della crisi della società occidentale. Non mancano tuttavia reminiscenze e rievocazioni nelle opere di Francesco, come quando realizza Le tre età dell’uomo, con chiaro riferimento alla famosa opera Le tre età della donna del 1905 del viennese Gustav Klimt (1862-1918).
“La finalità del lavoro di Francesco Petrone risiede nella sua onnicomprensiva capacità di rendere visibile il reale, non relegando le tematiche della società contemporanea in un idioma sconosciuto e indecifrabile, anzi, eleva le esperienze quotidiane ad altari plastici di una fisionomia accessibile ad ogni individuo e scaturisce, in seno alla sua esperienza di scultore, inedite visioni immaginifiche di una bellezza neutrale e scevra da qualsiasi forma o volontà di un futile decorativismo. In un’epoca segnata da processi storici improrogabili le opere di Petrone marcano un radicale punto di svolta, poiché l’assenza di un’ideologia conclamata genera un pensiero libero e una comune forma di discernimento dove non vi è la pretesa di insegnare qualcosa o indottrinare nel proprio modo di vedere il pensiero sociale” (Alessia Carlino).
Le opere di Petrone sono isole di quiete che poggiano su se stesse, senza una legge intellettualistica precostituita. A suo modo ha cercato di realizzare, come i grandi maestri storicizzati, una scultura non antica, ma che fosse quella antica resistente alle mode, portatrice di valori eterni. Con il suo lavoro Francesco Petrone è capace di nobilitare e consegnare nuova dignità espressiva a materiali artisticamente improbabili come il cemento e il ferro, dando loro una posizione di prestigio nella lunga tradizione plastica italiana. Un’operazione ambiziosa che attraversa tutta la parabola creativa del maestro foggiano.