Questo agevole itinerario, un migliaio di chilometri in tutto, ha come base l’assolata San Diego e il suo fulcro nel magico Joshua Tree National Park, un parco dal fascino magnetico e dai colori intensi, reso celebre in tutto il mondo dall’album degli U2 del 1987 (intitolato appunto The Joshua Tree): un ampio giro circolare ai confini col Messico, passando per Palm Springs e le superbe località balneari, una a una, dell’estrema costa meridionale della California.
Un breve ma intenso viaggio fuori stagione, quando le strade sono semideserte, la gente è più disponibile e tutto diventa più facile, con un clima piacevole in grado di mitigare le temperature torride di piena estate. A bordo del massiccio Eldorado, prodotto dalla Honorbuild Industries su meccanica Ford E-3500, un luminoso mansardato messo a disposizione da un amico a un prezzo di favore, viaggio solo, per una volta libero di gestire le mie curiosità esplorative in solitudine.
Da San Diego a Slab City - il confine col Mexico
Los Angeles può intrattenervi per giorni e giorni, ma se volete sfuggire al trambusto della megalopoli e respirare l’atmosfera da spiaggia californiana allora dovete cavalcare l’onda verso l’amena San Diego (1,3 milioni d’abitanti), città evocativa del “sogno americano”. Ormai fusa con Tijuana, grazie alla forte presenza della comunità messicana, che ha dato origine a un curioso dialetto ibrido anglo-spagnolo, è diventata nota come la città delle quattro “S”: sun, sand, surf … and slang. Con la data 1904, stampata un po’ ovunque, s’intende ugualmente San Diego, poiché il 19 corrisponde alla lettera “S” e lo 04 alla “D”. Dopo un paio di giorni in giro per Mission Bay, Old Town, Little Italy, Seaport Village, Coronado Beach, passando per l’avveniristico ponte omonimo, l’Imbarcadero nel cuore della Big Bay" e il Balboa Park, col suo famoso zoo che ospita i rarissimi panda giganti, seguo la Interstate 8 verso est fino a toccare la suggestiva palizzata del confine messicano a Jacumba, dove la vecchia Highway 80 incrocia le rotaie del mitico “treno per Yuma”. Il paesaggio di sterpaglie e colline brulle mi accompagna alla frontiera di Mexicali e poi su verso nord lungo le Hwy 86 e 111, attraverso l’Imperial Valley. Una volta a Nilan, nella parte sud-orientale del Salton Sea, seguo la strada maestra che a destra dirige verso i monti, col quadro visivo che si allarga di colpo dopo la ferrovia. La bizzarra quanto geniale Salvation Mountain (Montagna della Salvezza), costruita dal desert cult Leonard Knight quale offerta a Gesù, mi appare poco oltre l’ex guardiola dei ranger che riporta la scritta "Welcome to Slab City": singolare paese formato da centinaia di RV sparsi in aperto deserto e noto per la sua comunità di camperisti veraci, gli “Slabbers”, fanatici dell’open air come soltanto negli USA sanno esserlo. Atmosfera da far west, con chiesa, libreria, saloon e night club. Slab City è la giusta tappa per passarci la notte. Da non perdere!
Joshua Tree National Park
L’indomani riprendo la Hwy 111 che costeggia la sponda orientale del lago salato, un grande specchio d’acqua che in estate evapora velocemente lasciando mucchi di pesci maleodoranti sulla spiaggia. Sosta a Bombay Beach per il nome altisonante. All’incrocio di Mecca giro a destra per la Box Canyon Road (21 km), tra sabbia e cactus fino a salire sull’altipiano di 900 m che segna l’ingresso meridionale al Joshua Tree National Park. Il ticket, US$ 15 per mezzo e componenti valido 7gg, si paga nel caseggiato dell’efficiente Cottonwood Visitor’s Center, dove proiettano video e si possono raccogliere mappe e materiale informativo gratuitamente. Il nome significa “albero di Giosuè”, grazie a un gruppo di mormoni che vi transitò alla metà dell’800: quello strano albero ritto e spoglio coi rami attaccati ad angolo retto, da sembrare braccia rivolte al cielo, apparve loro come una visione biblica del Vecchio Testamento. Si tratta di un insolito esemplare endemico di Yucca (Y brevifoglia), pianta straordinariamente coriacea capace di crescere in condizioni climatiche proibitive, anche sulla nuda roccia: può raggiungere i nove metri d’altezza e vivere fino a mille anni. Stretti tra i deserti di Sonora e di Mojave, i 1230 kmq di terreno arido disseminati di yucca divennero parco a tutti gli effetti soltanto dal 1994.
Prima di ripartire a pochi passi dal centro merita un’occhiata il Cottonwood Spring, l’oasi semi-artificiale di palme e pioppi neri americani (cottonwood) che attrae gli uccelli del deserto. Fu la sorgente degli indiani Cahuilla per secoli. Volendo fermarsi, questo campground è uno dei più attrezzati, con acqua corrente e docce. Percorrendo la Pinto Basin Road, l’unica strada che attraversa il parco, ci si rende presto conto di essere in pieno deserto, come quello classico dei film western o di Tex Willer, con infinite distese di enormi blocchi di granito e sorprendenti colline rossastre arse dal sole, coperte soltanto da qualche sporadico arbusto: natura selvaggia e incontaminata. La prima sosta d’obbligo avviene a una trentina di chilometri, al Cholla Cactus Garden, che consiste in una piacevole passeggiata di 4-500 m (20-30 minuti) attorno a una distesa di seducenti Opuntia cacti, rare piante spinose dai colori indefiniti, assolutamente da non toccare: se si attaccano alla pelle sono molto irritanti e difficili da togliere. Giunto al bivio, la scorrevole Park Boulevard a sinistra mi conduce nella parte più importante del parco, a cominciare dalla breve deviazione per la Split Rock, un enorme roccia a forma ovoidale, e la vicina Skull Rock, con la bizzarra forma di teschio umano probabilmente scolpita ad arte: difficile credere che sia soltanto opera della natura.
Poco oltre, l’intera area attorno alle suggestive Jumbo Rocks è un grande campground posto ai piedi di enormi e singolari formazioni geologiche, che fanno pensare ad animali preistorici o a qualsiasi altra cosa si possa immaginare. Ottimo per passarci la notte e godersi il tramonto, quando la luce calda del sole mette in risalto un paesaggio dorato, preludio a una via lattea talmente nitida da sembrare irreale. La quiete della notte è sublime, si può udire il respiro di altri che dormono a dieci metri, silenzio interrotto solo occasionalmente dal ronzare degli elicotteri in stanza alla base dei Marines di Twentynine Palms, 10 miglia più a nord. Se libero chiedete lo spiazzo 61, col suolo pari e protetto da un grande sasso. A parte il sentiero per Skull Rock non esistono percorsi tracciati e in genere si esplorano i dintorni liberamente.
La mattina seguente vengo attratto dalla segnaletica che a sinistra mi indica Keys View. La salita di qualche miglio termina nell’ampio belvedere (1581 m), che offre una vista mozzafiato verso sud, fino al Salton Sea e alla pianura di Palm Springs. Tornato sulla via principale, in breve parcheggio al centro della scenografica Hidden Valley (Valle Nascosta), un’altro luogo molto bello per passarvi la notte, situata nel cuore del parco. Tutt’attorno un paesaggio ultraterreno, dai colori intensi, dominato da macigni erosi nei secoli, colline granitiche tondeggianti che emergono nette dalla nuda sabbia bianchissima frequentate da schiere di giovani rocciatori, appassionati di rock climbing, in cordata sulle pareti rocciose che delimitano la valle. Camper, auto e tende sistemati in ogni anfratto. Il piacevole sentiero o trial da seguire è di appena un miglio; parte dalla pic-nic area ed è immerso in una conca leggendaria usata in passato dai ladri di bestiame per nascondervi le mandrie razziate nelle fattorie dei dintorni, facilitati dai recinti naturali creati dai grossi massi.
Molto gettonato dagli escursionisti pure il vicino sentiero circolare di Barker Dam, un paio di chilometri in cui si concentra buona parte dalla fauna del parco, tra cui il coyote e il famoso roadrunner. Proseguendo s’incontrano una vecchia diga del 1899, graffiti indiani e diverse varietà di volatili che attraggono gli amanti del birdwatching. Gli alberi più grandi si trovano a Covington Flats, dove si godono pure bellissimi scorci sul parco; purtroppo la pista sterrata è abbastanza impegnativa, specie con la responsabilità di guidare un mezzo non proprio. Altri noti sentieri circolari (loop) sparsi per il parco, di diverse lunghezze e difficoltà, sono quelli di Indian Cove (0.6 miglia), Lost Horse Mine (4 miglia), Fortynine Palm Oasis (3 miglia), ma occorre più tempo e tutto sommato quello che ho visto mi è parso pienamente soddisfacente: un parco facile da raggiungere, poca gente, sistemazione notturna senza problemi e paesaggio spettacolare. Pur essendo un parco desertico, l'elevazione rende le temperature più tollerabili di quelle della Death Valley, regalando nel complesso un'esperienza più facile da godere. Tuttavia, se capitate in piena estate (luglio-agosto) occorre tanta acqua, cappello a falde larghe ed è bene evitare le marce forzate nelle ore più torride.
Palm Springs e la costa
All’alba del quarto giorno di viaggio esco dalla parte nord del parco e attraverso la Yucca Valley sulla Hwy 62, accompagnato dalla magica visione del sole che proietta al suolo le ombre allungate di migliaia d’alberi “Giosuè” con le “braccia” alzate, da sembrare un mistico saluto. Costeggio poi la selva di pale a vento sulla Interstate 10 West che in breve mi conduce al Museo dei Dinosauri, non distante dalla famosa casa gialla di Hadley, l’unico luogo in America dove servono i Date Shake (frullati di dattero), squisiti. Riprendo la 10 verso East, poi la 111 ed entro a Palm Springs, altrimenti nota come Snow Bird, poiché grazie al clima temperato per molti attori e personaggi influenti è diventata la residenza invernale: “come uccelli che migrano dal freddo”. Città curatissima e lungo la via è tutto un défilé di mega ville tirate a lucido. Supero la Frank Sinatra Drive e nell’esclusiva frazione di Rancho Mirage ordino una succosa braciola al Babe’s Restaurant, indicato dalle sculture in bronzo di maiali giganti, col laghetto annesso alla Cheesecake Factory. A Palm Desert imbocco la Hwy 74 che attraversa la riserva montana di San Jacinto e mi porta fino al parcheggio di Dana Point, al margine di una bella spiaggia invasa da migliaia di gabbiani. Procedendo lungo la Interstate 5 South e la litoranea, dedico il giorno seguente ad analizzare una a una le località balneari lungo la costa, da Laguna Beach, caposaldo della Lesbian Community, a La Jolla, col suo monumentale Mormon Temple.
Notizie utili
Enti Turismo - il Joshua Tree National Park è amministrato dal National Park Service: www.nps.gov
Ulteriori informazioni nel sito dei ranger: www.OhRanger.com
Documenti - passaporto a lettura ottica. Per informazioni: italian.italy.usembassy.gov
Prefisso internazionale - dall’Italia 001 e dagli USA 011-39; per informazioni premere “0” (Operator) da qualsiasi telefono.
Emergenza - polizia, ambulanza, tel. 911.
Assicurazione - l’assistenza medica negli USA è costosissima, con 43 euro la Europe Assistence (tel. 800443322) mi ha coperto le spese fino a 70.000 euro.
Soccorso stradale - in qualsiasi luogo e momento (servizio 24h) telefonate al Cruise America Traveler’s Assistence: 1-800-334-4110. GPS utilissimo nelle aree metropolitane.
Joshua Tree NP - anche nei brevi fuori pista guardate bene dove mettete le gomme, facendo attenzione a sassi appuntiti e a non insabbiarvi.
Consolato d’Italia - Los Angeles, tel. 310-8200622 - www.conslosangeles.esteri.it; con giurisdizione per Arizona e California, compreso San Diego.
Noleggio Camper - tutti i tipi di camper, caravan, luoghi e materiali attinenti, sono indicati con la sigla “RV” (pron. ar-vi = Recreational Vehicle).
Sosta al Joshua Tree National Park
All’interno del Joshue Tree NP trovate nove assolati camp-ground (CG), ognuno con le proprie specifiche peculiarità. Per camper e motorhome il costo è di US$ 15 a notte e US$ 5 per lo scarico delle acque nere alla dump station. Chiedete al ranger gli orari del “generator time”, durante i quali viene concesso di utilizzare la corrente elettrica del proprio generatore o quella del campo se disponibile (50 amp), in genere dalle 7 alle 9, dalle 12 alle 14 e dalle 17 alle 19. Ci sono soltanto due CG provvisti di acqua corrente, sia nei lavandini che nelle latrine: Cottonwood e Black Rock, indicati per coloro che vogliono vedere il parco, senza però sperimentare la vita dura del deserto. Tutti gli altri CG sono estremamente spogli, da pionieri.
Fuori stagione i CG del parco sono semideserti, mentre nei fine settimana estivi può essere problematico trovare una sistemazione. I cellulari non hanno copertura nell’intera area del parco.
Joshua Tree NP - informazioni utili sui vari Visitor’s Centre del parco
Cottonwood - a sole 8 miglia dalla Interstate 10 (ben visibile l’indicazione dell’uscita per il parco). E’ l’unico Visitor’s Centre posto a sud e all’interno dei confini del parco, l’unico sulla via principale, non si può sbagliare: ci si passa davanti, è segnalato da un grande cartello. Distrattamente potrebbe anche succedere di passare senza pagare, ma sia nel parco che all’uscita vi sarà chiesto di mostrare il ticket d’ingresso. Aperto tutto l’anno dalle 9 alle 15.
Joshua Tree - è il quartier generale posto sulla National Park Drive, a nord-ovest del parco: tel. 760-3661855. Aperto tutto l’anno dalle 8 alle 17.
Oasis - nella parte nord-est, sulla via per Indian Cove Campground: tel. 760-3675500. Aperto tutto l’anno dalle 8 alle 17.
Black Rock Nature Centre - collocato nel Campground omonimo, ad appena 5 miglia dall’abitato di Yucca Valley, questo centro resta aperto da ottobre a maggio. Gli edifici sono aperti dalle 8 alle 16, tranne il venerdì che chiudono alle 20.
Informazioni dettagliate e prenotazioni online nel sito http://campcalifornia.com/ (tel. 1-888.782.9287). Nei centri abitati ho sempre parcheggiato nei normali spazi per auto, sufficientemente ampi. Per le acque nere chiedete della “dump station”.