Robert Doisneau, uno dei più grandi fotografi del ‘900, definiva se stesso un “pescatore d’immagini”. I suoi scatti, realizzati vagabondando tra le strade della Parigi anni Cinquanta, soprattutto quelle dei quartieri popolari, lungo la Senna e nei bistrot, sono riconoscibilissimi. Ci restituiscono la spontaneità e la leggerezza delle scene di vita quotidiana, animate da un’umanità buffa e poetica nello stesso tempo.
Insieme alle sue istantanee, Doisneau ci ha lasciato altre numerose testimonianze che documentano la grande passione della sua vita, la fotografia. Per esempio le parole con le quali descrive con disarmante sincerità il modo in cui vedeva il suo lavoro: “Quello che io cercavo di mostrare era un mondo dove mi sarei sentito bene, dove le persone sarebbero state gentili, dove avrei trovato la tenerezza che speravo di ricevere. Le mie foto erano come una prova che questo mondo può esistere”.
Ma è soprattutto uno scatto, diventato un’icona, a essere legato indissolubilmente al suo nome: è la celebre foto dei due giovani innamorati che si baciano tra i tavolini di un caffè davanti all’Hotel de Ville di Parigi. L’immagine, che è tra le più riprodotte al mondo, risale al 9 marzo del 1950 e fu pubblicata originariamente sulla rivista Life. Ancora oggi, quando si apre una mostra dedicata a Doisneau, è la prima che il pubblico chiede di vedere. Succede anche al Forte di Bard, che ospita fino al 1° maggio 2017, Icônes, esposizione degli scatti più rappresentativi e affascinanti dell’artista francese. La mostra, curata da Gabriele Accornero, cerca di indagare più a fondo possibile la personalità di quello che fu, insieme a Cartier Bresson, il più grande esponente della cosiddetta “fotografia umanista”. È per questo che, insieme alle foto, in esposizione si trovano documenti filmati - come la video intervista realizzata per l’occasione alle figlie, Annette e Francine - e oggetti appartenuti all’artista - come l’apparecchio originale Rolleiflex degli anni Quaranta, suo fedelissimo compagno di lavoro.
In mostra ci sono anche il plastico in scala che riproduce lo spazio interno dell’atelier parigino di Place Jules Ferry 46 a Montrouge, dove le foto venivano sviluppate e selezionate e un ritratto del maestro, opera inedita del fotografo siciliano Ferdinando Scianna. E poi, per accompagnare le foto, lungo il percorso espositivo, che si articola nelle cannoniere del forte, sulle pareti sono riportate alcune tra le citazioni più intense e significative di Doisneau, quelle parole con cui raccontava come nascevano le sue immagini o come sceglieva i protagonisti degli scatti. “Mi piacciono le persone per le loro debolezze e difetti. Mi trovo bene con la gente comune. Parliamo. Iniziamo a parlare del tempo e a poco a poco arriviamo alle cose importanti. Quando le fotografo non è come se fossi lì ad esaminarle con una lente di ingrandimento, come un osservatore freddo e scientifico. È una cosa molto fraterna, ed è bellissimo far luce su quelle persone che non sono mai sotto i riflettori”. E poi aggiunge: “Le meraviglie della vita quotidiana sono emozionanti. Nessun regista cinematografico sarebbe capace di comunicare l'inatteso che si incontra per le strade”.
Altre volte Doisneau testimonia come nascono, nel profondo, l’ispirazione e l’impulso che lo spingono a portare avanti il proprio lavoro: “Vi spiego come mi prende la voglia di fare una fotografia. Spesso è la continuazione di un sogno. Mi sveglio un mattino con una straordinaria voglia di vedere, di vivere. Allora devo andare. Ma non troppo lontano, perché se si lascia passare del tempo l'entusiasmo, il bisogno, la voglia di fare svaniscono. Non credo che si possa vedere intensamente più di due ore al giorno”. Ma soprattutto, spesso, con le parole, oltre che con il linguaggio visivo, Doisneau fa emergere l’enorme importanza che attribuisce alla fotografia come mezzo espressivo. E questo sempre, sia quando davanti all’obiettivo ci sono degli sconosciuti incontrati per strada sia quando si tratta di personaggi illustri, come nel caso del celebre ritratto di Picasso nella sua casa di Vallauris: “Un centesimo di secondo qui, un centesimo di secondo là strappati all'eternità… Un fotografo che ha immortalato un momento splendido, una posa accidentale di qualcuno o di uno splendido scenario, ha scoperto un tesoro”.
Doisneau, come racconta in una lunga intervista a un collega più giovane, Frank Orvat, sceglie uno sfondo, punta il mirino e attende il miracolo. I suoi racconti sono spesso aneddotici, ma solo apparentemente disimpegnati. Perché Doisneau, da introverso, poco portato a essere un reporter di guerra o un fotografo d’assalto, con il suo fotogiornalismo di strada riuscì comunque come pochi altri a essere testimone di un’epoca, con tanto di contrasti e contraddizioni. Benevolmente irriverente, come quando fotografa una fila di mutandoni stesi ad asciugare sopra lo sfondo della Torre Eiffel, non volle mai realizzare scatti “violenti” o denunciare con asprezza. Raccontò la vita nei boulevard meno centrali ed eleganti, il dietro le quinte dell’ufficialità, sempre con uno sguardo dolce, venato di umorismo. Davanti al suo obiettivo, le persone quasi mai sono immobili, compiono azioni, generano energia, comunicano come andrà a finire la storia. Non è poco. È un frammento di infinito. È la vita, colta per un breve istante, nel suo continuo fluire.