Ogni giorno mi cadono dalle mani un'infinità di cose. Al mattino, appena sveglia è comprensibile che io sia un poco disorientata perché le mie notti sono molto movimentate: dormo più di giorno che di notte, infatti sono le 23 e solo ora inizio a svegliarmi. È per questa ragione che sto scrivendo. Quindi al mattino raggiungere la posizione verticale è un'operazione confusa perché sono molto stanca e inoltre devo superare la coperta e i cuscini che durante la notte butto a terra. La mia giornata si complica in bagno e soprattutto nella vestizione. Mentre semino oggetti cerco e non trovo le maglie, i vestiti, o i pantaloni che devo indossare. Di solito sono sparsi in tre camere e così mi sposto da una stanza all'altra, mentalmente mi chiedo come vestirmi e mi dico che alla sera dovrei appoggiare in un letto che non uso l'abbigliamento del giorno dopo. Ma è evidente che se facessi un lavoro così logicamente organizzato non sarei quella che sono. D'estate faccio prima, ma d'inverno i tempi si allungano perché mi vesto a strati, come una cipolla. Da quando trovo gli indumenti quasi adatti per essere indossati, alla realizzazione finale, impiego un'ora esatta: dalle dieci alle undici. Siccome, in realtà, nella mia vita di esatto non c'è nulla, anche qui tendo a ritardare.
Mentre la lenta sovrapposizione d'indumenti può ripetersi, cambiando gli abbinamenti due o tre volte al giorno, il dolore all'anca e le cadute degli oggetti accompagnano costantemente il mio tempo lasciandomi pochissimo spazio per fare altro. Se poi vi aggiungo anche il riposo pomeridiano le azioni che compio hanno quasi il sapore del miracolo. Leggo un quotidiano e dopo aver tentato l'avventura di un Sudoku rimango immobile, prigioniera di quei pensieri nefasti che mi accompagnano fin da bambina. In quel tempo arrivavano solo a notte fonda, ora hanno aumentato la loro presenza.
Oggi pomeriggio, ad esempio, dopo il riposo, seminando come sempre pettini, fazzoletti, maglie, berretti, sciarpe, penne, fogli, foglietti, calze, camice, creme, pillole e matite, mi sono vestita da donna di quadri perché alle 17e 30 dovevo andare all'inaugurazione di una mostra organizzata dall'associazione di cui faccio parte "Dis/ordine dei Cavalieri della Malta e di tutti i colori". Come al solito ho iniziato a girare su e giù per il corridoio e per le stanze raccogliendo un po' qua e un po' là borse, sciarpe, giubbotti senza maniche con maniche, giacche, cappelli poi chiavi, denaro, fazzoletti, cellulare. Se apparteniamo alla terra, ad essa continuamente m'inchino: semino e raccolgo. In effetti il primo pavimento è la terra. I miei amici, ironici come sempre, mi dicono che le cose non cadono più come una volta forse è mutata anche la legge di gravità.
Ogni stanza poi ha le sue cadute. Questa mattina sono stata per molto tempo in cucina e tra un movimento e l'altro ho raccolto perché scivolati sul pavimento, coltelli, cucchiai, forchette, due fette di pane, un coperchio, un piccolo tegame stretto e alto con un manico lungo fatto apposta per perdere l'equilibrio e nel suo interno due uova stavano diventando sode, ma sode non erano, spaparazzate al suolo anche loro. Per non parlare dei voli a terra, in studio. Lì, le cose cadono da sole, appena apro la porta d'ingresso si crea una corrente d'aria tale che solleva dai tavoli da lavoro fogli, penne, matite, pennelli, squadre, righe. Gli sportelli degli armadi si aprono e scivolano a terra quaderni, fotografie, cartelle piene di lavori. Il mio studio è il regno dei venti. Qui si rincorrono e si scontrano. Qui nascono. È del tutto inutile chiudere porte e finestre, i venti entrano dalle fessure e nel mio studio restano e si moltiplicano.
Oltre alle cadute giornaliere vi sono quelle che capitano una volta ogni tanto e sono le più strane. Sono riuscita, senza sentirne il rumore, a far cadere dalle tasche della bicicletta una macchina fotografica e una meravigliosa borsa verde piena zeppa di cose preziose per me, ma di nessun valore per chi l'ha trovata. Il mio è un equilibrio instabile e forse questa condizione è la causa della caduta degli oggetti. In realtà appoggio l'utile e l'inutile sempre al bordo del tavolo, del tavolino, del letto, del frigorifero, della libreria, della credenza, insomma di qualsiasi piano di appoggio.
Ritorno al tentativo di uscire oggi pomeriggio da casa e al tentativo di dare un senso al mio girovagare nelle stanze e nel corridoio alla ricerca del cosa mettermi mentre l'anca, nelle evoluzioni "gira a destra, vai dritto poi gira a sinistra", inizia a farmi male. Guardo la confusione che mi circonda e inizio a rendermi insopportabile. L'andirivieni ogni giorno si complica di ulteriori sviste, quindi sta diventando un'operazione sempre più intricata. Non solo è sempre più difficile andarmene ma appena chiudo la porta ecco che la riapro perché, incredibilmente, ho dimenticato le chiavi dello studio, o della bicicletta oppure il cellulare o altro ancora. Sono in attesa di quel giorno nel quale lo smarrimento, le cadute, i dolori all'anca saranno tali che non riuscirò più a uscire di casa. E sarà la mia fine.
Il Dis/ordine al Fresco
Non oggi pomeriggio però perché devo raggiungere le amiche e gli amici dell'associazione che sono già alla mostra. È mio desiderio, ora, accennare ai nostri incontri che sono segnati da un profondo coinvolgimento personale e nascono sempre dal desiderio di incontrare amiche e amici che condividono una dis/uguale forza creativa. Le nostre riunioni avvengono spesso al bar nell'ora dell'aperitivo.
In un periodo in cui anch'io, come le cose che mi circondano, sono in caduta libera, ritrovo il piacere della relazione. In questi incontri - confronti prende forma uno stato di empatia dove in compagnia di buon vino e cibo, si apre una realtà atemporale nella quale ci sentiamo liberi di svelare noi stessi e contemporaneamente ci facciamo custodi e testimoni di una bellezza comune: la bellezza della nostra città costantemente messa in pericolo da scelte politiche sciagurate. In questa impresa siamo una specie tutta particolare di angeli caduti o perduti. Come un fiume sotterraneo si moltiplicano gli affetti, le complicità e i progetti da realizzare e già realizzati perché "gli artisti sono rimasti tra i pochi a lavorare i territori dell'assenza, ad ararne meticolosamente i pendii portandovi semi di vitalità gratuita. È il loro modo di intrattenersi nel mondo, di colmare il vuoto delle perdite. Ricostruiscono a poco a poco mappe d'identità... " (Roberto Barbanti).
Ecco, oggi pomeriggio devo raggiungere questi amici nella nuova impresa. Con molto ritardo entro nella mia strada delle meraviglie. Di simili, al mondo non ce n'è. Alla distanza di due braccia, a destra m'accompagna la teoria di personaggi famosi che hanno attraversato la storia di Ravenna e che ora sono dipinti sulle "loro" biciclette. Finzione e realtà qui si danno la mano: si esaltano a vicenda. Ne ho già parlato, ma il tempo ne ha aumentato il significato. È tra le opere più fotografate dai turisti ed è diventata per i ravennati un'immagine familiare. La pioggia, il freddo e l'umidità l'hanno intaccata ma ne hanno aumentato la reale e autentica qualità. Qual è la mia percezione? Il mio sguardo osserva il cammino del percorso e vede che le immagini sono tutte particolari. Uniformità della particolarità perché allo stesso modo si uniscono in un tutto unico: le biciclette reali si appoggiano su quelle dipinte. La vita quotidiana "l'andirivieni" della via da forma vitale alla storia. È un'operazione unica ideata e progettata da Marcello Landi che è un artista geniale ma soprattutto una persona di rare qualità compresa l'eccezionale generosità.
Ma oggi sono qui per un'altra operazione azzardata: una mostra mai vista. Allestire una mostra in un bar frequentatissimo e pareti che accoglieranno le opere, rivestite di carta da parati floreale, richiamano ancora una volta (come la teoria, nella strada) la forza del gioco creativo. Non credo in forze diverse, la forza è una sola, il gioco - uno solo. Sta tutto nella misura. I lavori "visivi" confusi nelle pareti - un'aggiunta - stanno giocando "a nascondino". E le persone hanno perduto il piacere di riconoscerle, non sono più abituate ad alzare la testa e così quasi tutti i presenti, tranne le e gli artisti e i loro amici non vedono e non ascoltano nulla. E ritorno al nulla perché l'arte ruota attorno a esso e con esso ricomincia a giocare.
Ieri, nel primo pomeriggio ero qui nel bar, c'erano solo gli artisti che sistemavano le loro opere. Mi sono seduta e dalla vetrata, alla distanza di due braccia potevo tranquillamente conversare con Teodora, Oscar Wilde, Totò, Dante, Marguerite Yourcenar. Oggi invece è l'ora degli aperitivi e c'è tanta gente. Mi appoggio a un angolo. Entra un signore, s'inchina e raccoglie sciarpa, fascia, guanti e mi dice: "Sono suoi?" E io "Sì, grazie".
3 gennaio 2017
Sono in studio e rileggo quello che ho scritto giorni fa. Il vento riposa qui al mio fianco. La confusione che mi circonda è immobile. Guardo fuori. È notte. Tra me, la falce di luna e Venere, niente.