Le sue figlie hanno tanto talento che i miei insegnamenti daranno loro niente di più del piacere di dipingere – diventeranno pittrici, ma si rende conto di cosa significa? Nel suo ambiente alto borghese provocherà una rivoluzione, se non una vera catastrofe.
Così scriveva, nell’Ottocento, il maestro Emile Guichard alla madre della pittrice impressionista Berthe Morisot: a una donna veniva difficilmente riconosciuto il talento artistico e in gran parte anche ostacolato, per rispetto della rigida etichetta d’epoca. Non ebbero infatti vita facile pittrici come Mary Cassatt, Camille Claudel, Artemisia Gentileschi.
Finalmente, dopo due secoli di storia, la creatività e la progettualità femminile vengono degnamente riconosciute e consacrate con la mostra W. Women in Italian, alla Triennale di Milano: figure, teorie e attitudini progettuali sono analizzate ed esposte per raccontare, in modo dinamico e fluido, il design femminile del Novecento. Un design meno autoritario, più spontaneo e dinamico, capace di rivendicare il ruolo e l’importanza delle donne nel sistema dell’arte. Una vera e propria sfida, vinta a pieni voti dalla curatrice Silvana Annicchiarico, non a caso “donna”, che è riuscita a sfatare il dogma dell’autorialità del designer, adottato dalla cultura patriarcale, e a celebrare, con un approccio metodologico e ordinamentale, il ruolo delle imprenditrici, delle archiviste, delle galleriste e delle curatrici.
“Il design non è più soltanto progettazione di oggetti, ma sempre più anche innesco di processi e relazioni. Le storie del design fin qui raccontate – spiega la curatrice – ruotano quasi tutte attorno a un grande buco nero: la rimozione del femminile. L’occultamento della presenza e del contributo delle donne. Come se le donne non ci fossero state. Come se fossero rimaste a casa. Ci sono voluti quasi ottant’anni, ad esempio, per riconoscere e dimostrare, che una delle icone del design novecentesco – il lettino da riposo Daybed del 1930 – non è da attribuire soltanto a Mies Van der Rohe, come è stato fatto per decenni, ma soprattutto alla sua devota e discreta compagna Lilly Reich”. Anno dopo anno, il ruolo femminile ha iniziato ad acquisire una certa credibilità nel campo della creatività nazionale e internazionale, mostrando un’operatività e una “performatività” diversa, più raffinata ed elegante, più “donna”.
Il progetto di allestimento, messo in scena da Margherita Palli, è una grande metafora della creazione e della creatività. Si comincia – fin dal ponte che porta al Museo – entrando in uno spazio che allude al corpo femminile ed evoca la sua natura più intima: una sorta di grande utero abitato da sussurri, litanie e chiacchiericci in cui aleggiano ricami, intrecci, merletti; tutto “sotto il segno di Penelope”. Questi sono gli artefatti che ben esprimono il lavoro femminile tradizionale: il tessere e il tramare, due attività apparentemente solo domestiche, ma in realtà capaci di sottendere grandi strategie relazionali. Si prosegue poi con l’esibizione di vari oggetti, di lavori quotidiani e artigianali, ideati e raffigurati da alcune delle più bravi illustratrici contemporanee italiane. A ognuna di loro è stato chiesto di rivisitare l’iconografia tradizionale, enfatizzando la funzione di volta in volta salvifica, epica o taumaturgica degli oggetti impugnati dalle sante, rappresentando, in modo emblematico, l’esuberanza creativa della nuova grafica femminile italiana. Originalità, libertà e passione sono i fili conduttori, che accompagnano il visitatore in questo tripudio di forme e colori, attraversando i campi dell’arredo, della moda e del focolare domestico: viene celebrata ed esaltata anche la figura della “mamma”, nella sua immagine fisica e psicologica.
Se state quindi pensando a qualche idea regalo alternativa per queste festività, la Triennale di Milano sarà ben lieta di regalarvi femminili emozioni fino al 19 Febbraio 2017.