“Impunemente innamorata dell’arte e della fotografia, sin da bambina mi sono destreggiata nel cercare, ritagliare, incollare e sovrapporre fotografie e immagini. Allora raccoglievo i miei ARTEfatti in quaderni. Crescendo ho scoperto dapprima le magie della camera oscura, poi quelle dell’editoria. Ho continuato così a ricercare fotografie e immagini per professione ma, per gioco, a usare colla e forbici. Ho anche imparato a osservare gli oggetti e i materiali. Ogni oggetto di uso comune, ogni pezzo di plastica, carta, vetro, legno o stoffa, può essere trasformato e reinventato, riciclato e riproposto, con sentimento e ironia, così come le nostre vite”.
Chiara Corio, giornalista, photo editor e artista, così si presenta e introduce alla sua opera, capace di “materizzare” una mente fervida di immagini, cultura, attraverso mani talentuose con cui intreccia un continuo discorso amoroso fluttuante tra il reale e l’onirico.
Da che parte vuole iniziare a raccontare di sé?
Ho iniziato molto presto a lavorare come archivista presso una nota agenzia foto-giornalistica e la sera frequentavo un corso di fotografia, ero immersa in un piacere quotidiano, circondata da tutte quelle immagini interessanti. Sono diventata photo editor e giornalista, e la mia professione l’ho sempre vissuta come una passione, con grande senso di responsabilità e divertimento.
Come ha scoperto la sua passione per le immagini?
A casa, da bambina, erano tutti più grandi di me e leggevano nel tempo libero, io non ancora, ma mio padre mi regalava libretti e giornalini che potevo ritagliare. Riempivo quaderni dove incollavo figure e ritagli, dove trasferivo foto con la trielina, ricercando foto, scrivendoci sotto piccoli testi, creavo così dei piccoli libri, non lo sapevo ma stavo impaginando.
Ha poi continuato a “giocare” anche da adulta con le immagini, facendole diventare l’oggetto del suo lavoro…
Dice bene “giocare”, il gioco è una cosa molto seria in cui per avere il massimo del divertimento bisogna imparare a lasciarsi andare e non barare con se stessi.
Come germoglia e si sviluppa il suo essere artista?
Credo sia nato in casa, il primo ricordo che ho è di mia madre che mi costruisce bamboline con la carta di caramella (le Rossana!) e il corpo di mollica di pane. Lunghi pomeriggi a disegnare, sfogliare con lei giornali per ritagliare i colori che sarebbero serviti a fare i collage e a disegnare. Ma anche il grande mondo che mi si aprì quando ragazzina incontrai Il tormento e l’estasi, vita di Michelangelo, gli sceneggiati in televisione su Leonardo, la corrispondenza tra Theo e Van Gogh e alla fine il veto di mio padre per il liceo artistico. È stato forse il più grande stimolo a continuare a leggere, a studiare storia dell’arte in modo autonomo. Ma anche il magico incontro con due professori, uno di storia dell’altre, l'altro di comunicazione visiva. A loro devo molto perché mi hanno insegnato come trasmettere sensazioni con le immagini, come comunicare con esse. Crescendo, ho continuato a creare, ma solo per gli amici. Poi, due anni fa, per riprendermi da una sberla della vita, ho iniziato a produrre una serie di ritratti di donne (collage materici) che, per diversi motivi e in diversi campi, mi hanno affascinato. È nato così il progetto Donne ritagliate nel nostro tempo, che si propone di riportare tra noi, nel nostro tempo, donne che per motivi diversi, con la loro esistenza hanno contribuito positivamente e in modo significativo alla nostra civiltà, a molte delle quali è mancato il giusto riconoscimento sociale o sono state vittime di violenze psicologiche e fisiche. Tra queste ci sono anche figure - modelli della fantasia che mi hanno aiutata a crescere, come Pippi calze lunghe o Jo di Piccole donne. E poi ci sono le "Stanze", dove abitare la mente e il cuore, sono delle piccole accurate installazioni che ambiscono a raffigurare la personalità di chi me le richiede.
Sembrano proprio preziosi palcoscenici miniaturizzati che contengono storie per immagini in tridimensione. Come racconterebbe le sue opere d’arte?
Non so farlo. quando mi chiedono come mai questa donna è ambientata così o vestita cosà non so mai rispondere. È molto istintivo tutto quello che produco, l’idea arriva di colpo e si trasforma e sviluppa nel mentre la realizzo. È il soggetto stesso (o la conoscenza che ne ho) che suggerisce i colori, le forme. Credo di essere pop nell’anima, ma non sono interessata molto alle definizioni. La grande sfida è quando mi chiedono di realizzare dei ritratti o “stanze” su commissione di persone, amiche, fidanzate. Cerco di conoscerle attraverso i racconti di chi me le chiede e mi faccio dare fotografie del soggetto da ritrarre. Entro così in contatto con la vita privata di queste persone ed è una strana sensazione.
Ha realizzato eventi importanti in cui ha esposto le sue creazioni…
Sono stata incaricata di realizzare un quadro che diventasse l'immagine coordinata di una serie di eventi intitolata Il voto alle donne: non solo 70 anni!, a cui hanno partecipato diverse associazioni ed enti, tra cui l’Unione Femminile Nazionale e la Fondazione Kuliscioff. Ho creato poi un’installazione, un collage materico tridimensionale, sul tema del femminicidio che ho presentato alla Libera Università delle Donne di Milano, una realtà importante che esiste da trent’anni, attiva e fattiva, un luogo importante di pensiero e pratica femminista. Entrambe le situazioni sono state arricchenti per me, culturalmente e umanamente, ho potuto conoscere e lavorare al fianco di autrici, storiche, saggiste, poetesse, ma soprattutto donne capaci per onestà intellettuale, ricchezza personale e di rara integrità di pensiero. Mi sento una privilegiata.
Ci può illustrare qualche sua opera?
Una donna che mi ha conquistato con la sua vita fin da giovane, attraverso i suoi scritti, ma soprattutto con le sue poesie, è stata Nina Berberova, autrice russa. Fin da ragazza ho provato un’enorme simpatia e ammirazione per il suo stile di scrittura ma anche per la sua vita che ha saputo gestire in modo ironico. Mi sono scoperta a realizzarne il ritratto con una sorta di frenesia febbrile, dimenticandomi qualsiasi cosa per un giorno intero, un flusso irrefrenabile di puro divertimento! Nel realizzare l’Arte-fatto Basta, opera sul femminicidio che rappresenta tutte le 97 donne uccise nel 2015, ho dovuto immergermi nella crudeltà dei fatti, per ricercare le fotografie, i volti delle donne assassinate. È stato un percorso molto lungo e anche psicologicamente faticoso, ma volevo assolutamente mostrarle in viso, restituire loro un’identità e dignità. Lo sconcerto è stato scoprire che le fotografie di molte di queste donne sono state pubblicate in internet con i cognomi dei loro assassini, mariti o ex compagni, un’ulteriore violenza. Così le ho lette, cercate, ricostruite, vestite e messe simbolicamente al riparo. Nel tentativo di farle rivivere, almeno per un momento, nella memoria di tutti e risvegliare nella coscienza collettiva la responsabilità sociale di ognuno di noi alla costruzione di una corretta cultura del rapporto tra generi.
Si verifica una speciale collaborazione tra l’intelligenza della mente e quella delle mani, dalla loro sintonizzazione prendono forma e significato tante storie. È possibile tradurre in parola questo percorso così intimo che sfocia nella realizzazione artistica?
Ci provo. Quando penso a qualcosa che devo scrivere, il cervello è sempre più veloce della matita o della tastiera, ma quando realizzo quadri o oggetti con le mani avviene il contrario: il cervello ha tempo di respirare e concentrarsi mentre le mani vanno da sole e spesso suggeriscono alla mente nuove forme e soluzioni. È una forma di concentrazione molto intensa ed estremamente rilassante per la mente e per il corpo.
Lei è un’innamorata della bellezza in qualsiasi forma si manifesti, è un argomento di cui è possibile parlare?
Ommamma... non credo esista una bellezza assoluta dal punto di vista estetico, i canoni variano per motivi culturali, sociali. Nel campo dell’arte, credo che esista una bellezza riconosciuta dai più, quando il fine non è l’estetica stessa, ma quando è portatrice di contenuti, che poi siano comprensibili o coincidenti tra il pensiero dell’autore e quello dell’osservatore, non importa, ma sicuramente diventa motivo d’attrazione.
C’è un filo rosso che collega il suo essere giornalista, photo editor e artista?
È la passione per l’immagine. Da 37 anni svolgo ricerche iconografiche, assemblo immagini e le propongo ad uso editoriale. I miei arte-fatti sono un’osmosi tra la mia professione e la mia passione, i miei interessi. Le due cose sono esattamente coincidenti.
Chiara Corio e Milano: quali aspetti, angoli, luoghi di incontro milanesi segnerebbe nel suo “taccuino d’oro”?
La Casa delle Donne di via Marsala è un luogo d’incontro, un’occasione per Milano di scambi e fucina di attività con donne provenienti da diverse realtà, un punto di riferimento edificante. La mia passeggiata preferita è quella che parte dalla chiesa di Sant’Ambrogio e si snoda nel dedalo di viuzze che arriva sino all’incanto di Piazza Mercanti. Altro luogo d’elezione per me è la chiesa di san Bernardino alle ossa, che possiede un’ossario ma soprattutto ospita, meno conosciuta, la cripta, un luogo affascinante. Ma Milano è anche Via Padova, un territorio fertile per una costruttiva integrazione tra le culture, il mercato domenicale di piazza Tirana, dove si fanno incontri di varia umanità, l’Hangar Bicocca, il Gam, Galleria d’Arte contemporanea con i suoi giardini, dove ci si può sempre prendere una pausa dalla vita.
Se pensasse a un omaggio-Corio per la sua città, che cosa le verrebbe da inventare?
Una piazza, un luogo centrale di Milano dedicata per qualche giorno all’arte femminile, dove troverebbero ospitalità le tante valide artiste che popolano questa città. Lo scenario ideale, il Castello Sforzesco, diventerebbe un luogo incantato dove le artiste potrebbero esporre le loro opere, ma più che esporre renderne partecipi gli abitanti. Insomma, una grande mostra. Personalmente esporrei una grande Eva che porta su di sé tutti i logaritmi del mondo, ma in grado di accogliere e dare espressione all’intelligenza femminile.