Un Ginepro millenario viveva arroccato sulla montagna al margine del Bosco Sacro. Era l’albero più alto della Foresta e per contenere il suo tronco non sarebbero bastate le braccia di dieci bambini. I suoi aghi argentati erano così fitti che nonostante l’età si sarebbe potuto credere che fosse un giovanotto. La sua postura eretta e i suoi rami elegantemente orientati verso l’alto lo facevano sembrare un esemplare guerriero. Di certo dal suo legno duro erano stati ricavati i più svariati strumenti, forse armi, forse polene per le navi dei navigatori degli oceani. Il suo legno virile era servito ai più vecchi sacerdoti del tempio per costruire coltelli dalle lame taglienti, affilate con pietre di granito rosa e basalto. Più efficaci del metallo, questi coltelli non prendevano fuoco e non si scheggiavano, per questo erano senza dubbio preferiti nelle cerimonie sacre dove si sacrificavano selvaggina o candidi agnelli.
Questo Ginepro gigantesco era piantato su una parete rocciosa, le sue radici penetravano nelle viscere delle rocce, si nascondevano dentro grotte buie e si abbeveravano in laghetti azzurri e immoti, attorcigliandosi sulle stalattiti, scorrendo dentro le fessure del granito, gli inghiottitoi e le doline. Ormai non produceva più frutti, troppo impegnato com’era ad accrescere le sue foglie aghiformi e a fortificare il suo legno. Era il simbolo del coraggio maschile, sfidava tormente e temporali, pioggia e grandine, fulmini e tuoni. Troneggiava d’inverno nel suo abito bianco, regale e distinto come solo i più forti monarchi sanno essere. La sua veste risplendeva al canto della luna nelle tiepide notti d’estate riflettendo il cielo come un lago argenteo e si incendiava al calore del mezzogiorno quando i tordi cercavano un riparo all’insopportabile calura. Il bell’aspetto e la salute di cui godeva la splendida pianta piacevano a una piccola Gineprina, di certo molto giovane e con i rami ancora delicati e sottili. Il suo legno morbido e liscio era, però, già abbastanza resistente per fare le travi di legno delle case, dei nuraghi, per costruire piatti e bicchieri sui quali poter intagliare figure di animali e personaggi delle leggende. La sua capigliatura ispida e pungente aveva un non so che di elegante e misterioso in quel suo fusto profumato e rossastro. Era carica di bacche dal sapore acre e speziato che attraevano le altre piante del bosco. La sua massima avvenenza si coglieva negli inverni pieni di neve, quando, al chiaro di luna, il riflesso dei raggi argentei dell’astro notturno riverberavano negli occhi dei maschi del bosco favorendo i loro sorrisi. Erano tanti i giovani abeti pronti a offrirle un loro ramo, e diversi i pini attratti dal suo aspetto sensibile. Un maturo carpino la corteggiava da una radura vicina e un astuto maggiociondolo le offriva il mantello innevato, ma lei non aveva occhi che per il millenario Ginepro. Forse perché le loro nature erano simili, indipendentemente dall’età, le loro anime solitarie inseguivano la luce di uno sguardo per colmare la distanza che divideva i loro tronchi. La Gineprina protendeva il fusto nella direzione del suo albero prediletto, ma era troppo piccola ed esile per farsi notare, nascosta dagli altri alberi. Lui la guardava attraverso le fessure del bosco, nei riflessi dei raggi solari che illuminavano il suo sorriso, negli aliti di vento che spostavano il fogliame che la celava ai suoi occhi. Il loro amore era già vecchio quando gli uomini abitavano le grotte, scheggiavano la pietra e scavavano ipogei per seppellirvi i morti, eppure la lontananza dei ceppi lo rendeva impossibile.
In una notte di temporale, spaventosa e attraente come i tuoni e i lampi che la accendevano rombando nel silenzio del bosco, scese un fulmine immenso. Esso colpì le piante interposte tra loro innescando un incendio terrificante. Il fuoco divampò per tre giorni e tre notti e tutto il bosco fu illuminato a giorno. La Gineprina tremava di paura, aspettando che le fiammate incenerissero il suo bel busto. Il Ginepro millenario era così forte che il rogo non riusciva nemmeno a scalfirlo e il suo coraggio non temeva gli attacchi della natura. Una moltitudine di uccelli si rifugiò al riparo dei suoi rami, nell’intricato intreccio che faceva scudo verso il potente calore che sprigionava il legno ardente. Non sapeva cosa si sarebbe salvato dei legni che lo circondavano, ma era certo che lui sarebbe stato risparmiato. La speranza che anche la Gineprina ce la potesse fare era una chimera, un fusto così giovane ed esile avrebbe senz’altro ceduto alle lusinghe della fiamma. All’alba del quarto giorno, dopo la terza notte insonne, l’incendio si spense e la prima luce mostrò l’aspetto lugubre dei resti carbonizzati delle piante. Il Ginepro millenario si scosse tutto, diresse la sua attenzione verso l’infinito e il suo sorriso brillò. Nonostante l’incendio l’avesse lambita per tutto il tempo, il carattere di alberello pungente e l’asprezza dei suoi frutti l’aveva resa coriacea e impenetrabile alla distruzione del fuoco. La Gineprina era tutta raggomitolata su se stessa, impaurita e stanca per il mancato riposo, ma era intera e viva come non mai. Allora stiracchiò i rami e allungò il fusto elastico sciogliendo al vento la sua capigliatura. In quel momento incrociò lo sguardo del Ginepro e si sentì immensamente turbata. Che magia potersi ammirare per intero, in ogni particolare e dettaglio, potersi sorridere, poter protendere i rami per tentare d’avvicinarsi, abbandonarsi al respiro dell’altro, ai profumi intensi portati dal vento. Potevano guardare insieme l’azzurro del cielo, scaldarsi al sole di mezzogiorno, farsi accarezzare dalla pioggia e sferzare dalla grandine. Mancava ancora il toccarsi, sfiorarsi, avvolgersi in un abbraccio.
Ci vollero anni di tenero amore e dedizione per costruire un impercettibile avvicinamento, ma li aiutò un’altra calamità della natura. Una scossa di terremoto, certo tremenda e inquietante, fece precipitare nel sottosuolo un masso di granito, due lembi di terra s’avvicinarono e una sorgente d’acqua sgorgò dalla fenditura che si era prodotta. Lo scroscio d’acqua diede una grande energia alle due piante. Il Ginepro si bagnò, il suo legno divenne morbido e fresco come la carne giovane, le sue radici poterono muoversi nella terra ed espandersi. La Gineprina si riempì di germogli, di frutti succosi e intensamente colorati, i rami e le foglie si moltiplicarono sviluppando una capigliatura foltissima, il suo fusto divenne infuocato di passione. Ma fu il Ginepro a fare il gran passo verso di lei. Estrasse una enorme radice dalla terra e l’affondò accanto al busto di lei, poi si protese verso la Gineprina e l’avvolse con le sue potenti braccia. Lei estese tutto il suo corpo e s’abbandonò a quell’energica forza. Di giorno in giorno il loro Amore crebbe nell’intreccio dei loro rami che ora non si distinguono più. Ai loro piedi la sorgente ha creato uno splendido lago popolato di pesci e uccelli variopinti e gioiosi.
Ogni bell’albero che si rispetti
non può restare in spazi ristretti
cresce e s’allunga quando lo vuole
e si ricopre di foglie al sole.
Quando però divampa un bel fuoco
che poi sconvolge le regole al gioco
la solitudine lei più non vuole
e s’abbandona all’abbraccio d’amore.